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Pane frattau: la ricetta sarda col pane carasau

La Cucina Italiana

A una prima occhiata potrebbe sembrare quasi una pizza un po’ strana, ma guardate più da vicino: questo è pane frattau (o pane fratau, con una sola t), un piatto della tradizione sarda, originario della Barbagia, zona centrale della Sardegna.

Il pane frattau consiste in una base di pane carasau ammorbidito nel brodo e condito con pomodoro, l’immancabile pecorino e un uovo cotto in camicia. Una ricetta semplice e antica, da provare a casa con alcuni consigli preziosi da parte di chi lo prepara ogni giorno. Ma partiamo dalle origini.

Pane frattau: origine

Secondo la leggenda, il pane frattau fu inventato dalle massaie sarde in occasione della visita in Sardegna del re Umberto I, per sorprenderlo con i pochi ingredienti che avevano a disposizione: pane carasau, conserva di pomodoro, pecorino grattugiato e uova del pollaio. Un piatto povero che entrò presto a far parte della tradizione dell’Isola.

La storia del pane frattau è da ricercare anche nel suo nome, che ne svela l’anima anti spreco. Fratau significa infatti grattugiato o ridotto in pezzi: in origine, i pastori in transumanza portavano con sé il pane carasau, l’acqua e un pezzo di pecorino o di salsiccia, il tutto riposto nella taschedda, un piccolo zaino in pelle; al ritorno a casa, il pane carasau che si era rotto in piccoli pezzi veniva recuperato proprio in questo modo, bagnandolo nell’acqua o nel brodo per ammorbidirlo e abbinandolo ai semplici ingredienti della tradizione contadina.

Pane frattau: ricetta

Come si prepara il pane frattau? L’abbiamo scoperto in un luogo dove il pane è protagonista: la Panefratteria di Sassari, una vera e propria trattoria del pane, guidata dal cuoco Paolo Pintus. Pane fratau, zuppa gallurese e zichi, tipico pane sardo, sono alcune delle specialità da assaggiare, ricette tramandate grazie alla passione di suo padre Giovanni e all’esperienza nel suo storico ristorante Li Lioni di Porto Torres, aperto 40 anni fa e guidato ancora oggi dagli altri fratelli Pintus.

Omaggio vincente alla trota sarda di chef Serusi

Omaggio vincente alla trota sarda di chef Serusi

Nato e cresciuto in un paese di montagna dell’isola, il giovane chef ha conquistato i giurati del Premio Mesa con il suo piatto gourmet a base di trota

Detesta gli sprechi alimentari e adora la parte meno nota della sua Sardegna: l’entroterra montuoso e incontaminato dov’è nato e cresciuto. Andrea Serusi è un giovane chef desideroso di dare risalto e dignità alla cucina sarda di montagna, a partire da ingredienti autoctoni poco considerati o caduti in disuso. Arrivato primo all’edizione 2021 del Premio Mesa, concorso regionale dedicato ai giovani chef emergenti promosso da Cantina Mesa, azienda vinicola fondata da Gavino Sanna nel Sulcis Iglesiente, Andrea Serusi si è guadagnato un master di alta formazione presso l’Accademia Niko Romito, proposto con l’obiettivo di aumentare il patrimonio di competenze da poter restituire al territorio. Ad aver conquistato i giurati è stato il suo piatto Tottu trota, inaspettato omaggio alla trota, specie autoctona, un tempo molto consumata nell’entroterra sardo, e oggi sulla via dell’estinzione. Ecco cosa ci ha raccontato il giovane chef del ristorante Pizzeria Triku di Olbia.

Tottu trota.
Tottu trota.

Come sei venuto a conoscenza di questo premio?

«Devo dire grazie a mio zio Giuseppe, che dopo aver saputo del concorso mi ha inviato il link al modulo di iscrizione, invitandomi a partecipare. Ricordo di essere rimasto colpito dall’intento di dare risalto alla nuova cucina sarda. Cantina Mesa ha visto giusto, intercettando un reale bisogno di noi giovani chef dell’isola».

Com’è nata l’idea per il tuo piatto?

«La mia volontà era quella di proporre un piatto fuori dal coro. Desideravo trovare una ricetta del territorio capace di rappresentare la tradizione della montagna senza banalità. Ed ecco l’intuizione di dare nuova vita alla trota. Anni fa questo pesce di torrente era molto presente nell’entroterra sardo. La sua carne molto dolce, dal sapore minerale dato dall’ambiente acquatico e ricco di pietre in cui vive, mi ha definitivamente convinto a renderla protagonista del mio piatto».

Quali sono i punti di forza della preparazione che ti ha fatto arrivare primo?

«La trota è l’elemento principale e del pesce ho voluto sfruttare tutto. Sono partito dal filetto, che ho prima cotto a bassa temperatura, per poi scottarne la pelle col cannello per dare un tono di arrostitura e infine laccarlo col suo fumetto ristretto per accentuarne il sapore. In accompagnamento al filetto ho preparato una crema, ricavata dal fegato dello stesso pesce, che ho prima cotto a vapore e poi emulsionato sempre col suo fumetto. Sopra il fegato ho grattugiato la bottarga di trota, che ho lasciato essiccare completamente, dando sapidità al piatto. Ho proseguito con della carota osmotizzata al miele amaro di corbezzolo e una cipollina autoctona del mio paese, Fonni, preparata in agrodolce. Ho accompagnato il tutto con una salsa agrodolce al Rosa Grande della Cantina Mesa e con ombelico di Venere, un’erbetta dolce, minerale e acquosa, sempre autoctona, per dare più rotondità al piatto».

Andrea Serusi.
Andrea Serusi.

Quali sono gli elementi sardi più riconoscibili nel tuo modo di cucinare e di intendere la tavola?

«Mi piace utilizzare gli ingredienti del posto, a partire dall’immensa varietà di erbe selvatiche di cui l’isola è ricca. Tengo sempre lo sguardo rivolto alla montagna e, in particolare, al territorio del mio paese, che si trova a 1000 metri di altitudine».

Cosa speri di apprendere presso la prestigiosa scuola di Niko Romito?

«Premesso che Niko Romito è un mito, sono certo che il corso supererà qualsiasi aspettativa. Imparerò l’arte della panificazione da chi, come Romito, sa rendere il pane un elemento di spicco. Vorrei imparare quanti più segreti e tecniche di lavorazione, anche perché quello del pane è un mondo che mi affascina tantissimo. Il mio preferito, ovviamente, è il pane carasau, sottile e capace di conservarsi a lungo, nato come alimento che le mogli preparavano ai mariti pastori durante il periodo della transumanza».

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto dal punto di vista professionale?

«Mi piacerebbe avere un locale tutto mio, dove esprimere la mia idea di cucina. Se riuscissi nella mia Folli, poi, sarebbe il massimo. Valorizzare i territori meno noti dell’isola è un mio obiettivo. E le sue ricette, nate da una tradizione povera, ma ricca di gusto e sostanza».

Ci sono chef sardi ai quali ti ispiri?

«Roberto Petza e Stefano Deidda sono due grandi chef stellati che considero mentori e maestri. Aver avuto l’opportunità di lavorare con loro mi ha permesso di apprendere moltissimo. Ho grande stima dello chef Mauro Ladu di Abbamele Osteria, apripista nella valorizzazione del territorio sardo con ricette contemporanee e tantissima ricerca. E poi Roberto Paddeu dei locali Frades, così geniale da introdurre nei suoi ristoranti una ricercatissima bottega con vendita dei migliori e meno noti prodotti sardi».

Foto di apertura: Andrea Serusi e Gavino Sanna.

Ricerche frequenti:

Lorighittas, la pasta sarda artigianale fatta dalle donne

Lorighittas, la pasta sarda artigianale fatta dalle donne

Le lorighittas, un particolare tipo di pasta fresca sarda della provincia di Oristano, vengono preparate e intrecciate artigianalmente dalle donne del paese da oltre 100 anni

Alle pendici del monte Arci, nella Sardegna occidentale, sorge il paese di Morgongiori in provincia di Oristano, di circa 800 abitanti, conosciuto a livello regionale per i suoi tappeti e arazzi artigianali. Questo paesino, in realtà, custodisce anche un segreto che viene tramandato di generazione in generazione, ovvero la ricetta e la tecnica di preparazione della lorighittas, una pasta dal formato speciale, intrecciata a mano, che può essere considerata una vera e propria perla della tradizione gastronomica sarda.

Le lorighittas, tra tradizione e racconti popolari

La prima testimonianza scritta riguardante le lorighittas risale al XVI secolo, all’interno di un rapporto sulle attività economiche regionali stilato per il re di Spagna, che all’epoca aveva il controllo su gran parte del Sud Italia, tra cui Sardegna, Napoli e Sicilia. In questo documento veniva infatti menzionata una particolare pasta sarda, intrecciata e a forma di anello. La tradizione delle lorighittas fu a lungo legata alla celebrazione della festa di Ognissanti, il 1° novembre. Era infatti consuetudine che le donne del paese si radunassero nelle cucine, nei giorni precedenti, e trascorressero il tempo insieme, impastando farina di semola e acqua e intrecciando la pasta su tavoli di legno. Le lorighittas venivano poi disposte su canestri di vimini, con un ordine ornamentale che ricordava i centrini di pizzo, e lasciate ad asciugare. Era durante questo momento di attesa che si procedeva con la preparazione della salsa, ovvero un sugo di pomodoro arricchito con carne di galletto ruspante, a volte sostituito con carne di maiale o di cinghiale nelle famiglie più abbienti.

Allora, come oggi, la preparazione è fatta esclusivamente a mano e richiede destrezza, meticolosità e molto tempo. Si pensi che solamente per la preparazione dell’impasto, una lavorazione che include la graduale aggiunta di acqua salata per rendere le lorighittas più morbide, servono almeno 30 minuti.
Inoltre, il fatto che da tradizione a occuparsi di questa pasta artigianale locale siano da sempre le giovani donne del paese, che tramandano poi la ricetta alle generazioni successive, lo si deve probabilmente alla cultura pastorale sarda in base alle quale era dovere delle donne prendersi cura delle preparazioni alimentari mentre gli uomini erano impegnati nei campi.
Sull’origine del nome, lorigas, tante sono le teorie e le storie popolari. Si racconta, ad esempio, che la pasta fosse chiamata così perché ricorda le escrescenze del collo delle caprette o dei maiali, o dalla traduzione letteraria “anelli di ferro” perché la forma è simile a quella degli orecchini a cerchio intrecciati che indossavano le donne o degli anelli di ferro che un tempo erano fissati alle mura delle case locali per legare cavalli e buoi quando gli uomini tornavano dai campi.

Le lorighittas oggi

Mentre nelle case di Morgongiori le donne portano avanti la tradizione, la produzione viene portata avanti, sempre con procedimento artigianale e manuale, anche da alcuni laboratori. Dal 2006, inoltre, il consiglio comunale grazie a un programma finanziato dalla Ue, ha lanciato un progetto, Asso Lori, che si occupa della valorizzazione, del rilancio e della tutela di questa pasta unica al mondo, supportando così i produttori locali. Sebbene la pasta sia ancora poco nota al di fuori della Sardegna, la richiesta da parte dei consumatori aumenta sempre di più.
Oggi le lorighittas sono un piatto forte di molti ristoranti sardi e tanti sono gli chef che propongono ricette originali con prodotti di terra e di mare.
Inoltre la città di Morgongiori continua a dedicare la prima domenica di agosto alle lorighittas in un festival cittadino chiamato Sagra delle lorighittas, così da mettere in mostra il suo prezioso patrimonio culinario.

Foto: Lorighittas pasta sardegna_fugzu_Flikr.jpg; Lorighittas @Instagram https://www.instagram.com/p/Br-A0XxF5Je.

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