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Trentino: i tour gastronomici da fare in e-bike

Trentino: i tour gastronomici da fare in e-bike

Mangiare a chilometro zero. Anzi no: a calorie zero. Perché di chilometri se ne fanno parecchi, ma in modo ecologico e salutare in sella a una e-bike. Un tour montano che è un piacere per occhi e palato

Un tour che più che a chilometro zero, potremmo chiamare a calorie zero! Dove si pedala tanto (ma con un aiutino) per degustare i prodotti del territorio

Tutti in bici, anzi in e-bike

Si chiama Kilometrozero bike tour, l’itinerario nato in Trentino nella zona di Comano, chiamata anche Valle Salus grazie alle sue antiche terme di origine romana, dove il trend delle e-bike (mountain bike con pedalata assistita) sta davvero conquistando tutti, anche i meno sportivi.

Pedalando su delle comode e-bike di ultima generazione per circa 50 km si può godere della meraviglia dei paesaggi montani, con scorci molto diversi tra loro, dalle Dolomiti del Brenta, ai canyon sul torrente Limarò, fino alle ampie vallate dell’altopiano di Comano con i suoi borghi dipinti.

Il percorso KilometroZero bike tour.
Il percorso KilometroZero bike tour.

A ogni tappa un prodotto locale diverso

Tramite un voucher acquistabile all’ufficio dell’APT di Comano si possono prenotare 4 tappe gastronomiche a scelta tra le varie proposte, per un percorso personalizzato secondo i propri gusti.

Il consiglio è di pernottare in un Agriturismo o B&B dove si affittano e-bike (come al Garnì Lilly) e partire la mattina seguente alla volta dell’Agritur Il Ritorno di San Lorenzo in Banale o alla Locanda Fiore di Poia.
Qui si possono degustare un tagliere di formaggi locali e la ciuìga: la tipica salsiccia, orgoglio Slow Food della vallata, che in origine era un vero e proprio alimento della tradizione contadina, fatto con gli scarti di lavorazione del maiale e con l’aggiunta di rape per darne più volume, per poi essere leggermente affumicato. Oggi per fare questo salume si usano invece le parti più nobili del maiale, per un prodotto d’eccellenza.
La ciuìga può essere mangiata in versione stagionata, tagliata a fette come un salame, oppure gustata nella versione “fresca” e bollita, accompagnata da patate lesse, rigorosamente della varietà Montagnine del Lomaso, oppure dalle patate viola, anch’esse tipiche della zona.

Il nostro consiglio è di non saltare la tappa da Agrilife, un’azienda agricola dove si coltivano piccoli frutti e producono confetture con abbinamenti originali come fragole e menta o si utilizzano bacche poco conosciute come l’aronia.
Ma il vero motivo per fermarsi qui sono i docilissimi asini che vi accoglieranno, allevati per il latte d’asina a uso cosmetico.

Attraversando diversi piccoli e incantevoli villaggi, tra cui Balbido, chiamato anche Il paese dipinto, per i suoi murales sulle facciate delle case, si raggiunge Rango, uno dei borghi più belli d’Italia e famoso per i suoi mercatini di Natale.
Qui si può assaggiare la squisita torta di noci del Bleggio all’Osteria Il Catenaccio.

La ricompensa di questa giornata sportiva non potrà che essere un bel gelato fatto con latte di montagna, alla gelateria M’Ami di Comano. Un coraggioso progetto nato dall’idea di tre giovani che sono partiti con tre mucche e un piccolo negozio fronte strada, e che poco dopo, visto il successo, sono riusciti a realizzare un bellissimo locale dove gustare i gelati di produzione propria.

Questo tour gastronomico in bici può essere la soluzione perfetta per unire un po’ di sano sport alla scoperta delle bontà locali, e cosa non trascurabile… il bilancio delle calorie a fine della giornata sarà zero!

Smacafam trentino – La Cucina Italiana

Smacafam trentino - La Cucina Italiana

In Trentino, prima dell’arrivo della Quaresima, la lucanica dà il meglio di sé con questa torta salata di cui esistono numerose varianti, anche con pancetta e farina di grano saraceno. Mentre l’alto Adige è il regno della segale e del pane di Fiè. Magari con lo speck

La “focaccia” di Carnevale? Esiste, eccome se esiste: si trova in Trentino ed è lo smacafam, una sorta di torta salata che funge anche da merenda perfetta tra l’Adamello e le Dolomiti. Una preparazione semplice e sostanziosa già dal nome, che in dialetto trentino significa “schiaccia fame”. “Onto e bisonto soto tera sconto, sconto ‘n te ‘na cassetta se te ‘ndovini ten dago ‘na fieta”, recita un antica filastrocca trentina dedicata allo smacafam. Che infatti viene cotto sotto la cenere e ha come ingredienti farina bianca, latte, olio, lucanica fresca, pancetta affumicata, burro e sale.

Una salsiccia molto particolare

Per preparare lo smacafam occorre, innanzitutto, far rosolare la lucanica trentina, sotto forma di pasta o sbriciolata e ridotta in piccoli pezzi. La lucanica è uno degli ingredienti-simbolo della gastronomia trentina: a dispetto del nome non è una comune salsiccia (luganega) ma viene preparata con carne di suino di prima scelta con l’aggiunta di grasso morbido, sale, pepe macinato e aglio tritato. Il tutto infilato in un budello lungo circa 15 centimetri, diviso in due e poi, dopo l’asciugatura, stagionato per un periodo minimo di 3 settimane. Più ci si avvicina all’Alto Adige e maggiore è la probabilità di trovare anche la variante affumicata della lucanica. Mentre non mancano le varianti in cui compare anche la carne bovina, ovina, caprina o addirittura la selvaggina.

Il procedimento

Dunque, dopo aver rosolato la lucanica fino a renderla croccante, si passa alla preparazione dell‘impasto, a base di farina bianca, uova, latte, sale e pepe. Si aggiunge la lucanica rosolata e il lardo e poi si schiaccia l’impasto su una teglia unta con dell’olio. La cottura in forno termina solo con la doratura della superficie. Il risultato è ottimo, non si finirebbe mai di mangiare questo smacafam. Anche se, come si accennava sopra, la procedura tradizionale prevede la cottura sul fuoco, anzi sotto la cenere. Le ricette variano comunque da valle a valle, e tra gli ingredienti spesso figura la pancetta affumicata o il grana, mentre non mancano nemmeno le varianti preparate con farina di grano saraceno.

Verdure come contorno

Lo smacafam si accompagna perfettamente con le verdure fresche, come il tarassaco (ricordate? L’ultima volta lo abbiamo visto con una particolare guastedda in provincia di Enna, all’altro capo d’Italia!), oppure con patate e fagiolini. Ma anche con i crauti, prendendo in prestito il tipico accompagnamento della lucanica trentina. Ed è buono anche il giorno dopo, se è vero il detto trentino “lo smacafam per ancoi e… per doman”. Certo è che lo smacafam nasce come ricetta tipicamente casalinga, trionfo di carne prima dell’inizio della Quaresima. Le origini sono probabilmente legate alla stessa affermazione della lucanica trentina, avvenuta nel Medioevo e affermatasi definitivamente tra il XIV e il XV secolo.

Gli schüttelbrot altoatesini

E in Alto Adige? Qui la focaccia tipica non ha nulla a che vedere con il Carnevale ed è il pane di Fiè o schüttelbrot (“pane scosso”), il pane croccante schiacciato preparato con farina di frumento e di segale e lievito. Si formano dei piccoli panetti che vengono lasciati riposare in un luogo umido per 10 minuti, e poi schiacciati e cotti in forno. Di solito son arricchiti con finocchietto selvatico, cumino o trigonella. Il pane di Fiè viene tipicamente farcito con speck, formaggi o altri salumi. Si tratta di uno dei prodotti di punta della tradizione panificatoria altoatesina: si può trovare in tutto il territorio della provincia, anche se il nome lascia pensare a una lontana origine nei masi di Fiè allo Sciliar, ai piedi dell’omonimo, imponente massiccio dolomitico. Dove i contadini elaborarono questo pane gustoso, adatto per essere conservato a lungo.

Il viaggio

Smacafam e pane di Fiè entrano quindi a far parte del nostro viaggio tra pizze, focacce e piadine d’Italia. Ecco le puntate precedenti: gofri piemontesi, pizza al padellino torinese, focaccia novese, piscialandrea imperiese, focaccia genovese, schiacciata mantovana, schizzotto padovano, pinza onta polesana, pinzone ferrarese, chisola piacentina, erbazzone reggiano, crescentina modenese, crescente bolognese, piadina romagnola, schiacciata toscana, crescia marchigiana, chichì ripieno ascolano, torta al testo umbra, pizza bianca romana, pizza scima abruzzese, pizza napoletana, fucuazza e strazzata lucana, focaccia barese, pitta calabrese, focaccia messinese, scacciata catanese, scaccia ragusana, pastizzu modicano, guastedde e nfigghiulate ennesi, fuata nissena, sfincione palermitano, rianata trapanese, mustazzeddu sulcitano, pane modde logudorese.

Il vino della settimana: Trentino Nosiola Conzal 2018 Cavit

Il vino della settimana: Trentino Nosiola Conzal 2018 Cavit

Dall’unica varietà autoctona a bacca bianca del Trentino, nasce un nuovo vino bianco, profumatissimo e molto territoriale

Apprezzata già ai tempi del concilio di Trento, la nosiola è l’unica uva autoctona a bacca bianca del Trentino. Non è una varietà facile da coltivare, perché è sensibile al marciume e vuole terreni particolari per esprimere al meglio il suo carattere delicato. Questo è uno dei motivi per cui oggi occupa appena il 2% della superficie vitata della regione. Ma le cose potrebbero cambiare, grazie al lancio sul mercato del Conzal, il nuovo vino di Cavit, presentato all’ultimo Vinitaly e in vendita da maggio.

Nata nel 1950, Cavit è oggi è un consorzio cooperativo di secondo grado, che raggruppa dieci cantine associate seminate in tutto il territorio trentino, per un totale di 4.500 soci che coltivano 5.500 ettari di vigneti. Insomma, una corazzata del vino, che distribuisce ed esporta le sue etichette in buona parte del mondo.

Le uve per il Conzal, prodotto nell’annata 2018 in 6.600 bottiglie, arrivano dai vigneti sulle pendici dei monti di Calavino, nella valle dei Laghi, in una zona molto vocata per il vitigno, ben ventilata e a un’altitudine di circa 350 metri; le vigne sono coltivate con il tipico sistema della pergola trentina su piccoli terrazzamenti, poggiano su suoli franco argillosi, calcarei e marnosi e i grappoli per il Conzal sono scelti dalle piante che hanno almeno 30-40 anni di età.

Il nome del vino si rifà al termine dialettale che indica la bigoncia, ovvero un piccolo contenitore conico in legno che i viticoltori usavano per trasportare l’uva a spalla, a testimoniare una piccola quantità, e quindi la limitatissima diffusione del vitigno.

Una volta versato nel calice, si scopre un vino profumatissimo di fiori bianchi, albicocca e mela verde, con note di frutta secca come la nocciola, che dà nome al vitigno e che appare raffigurata sulla bella etichetta. All’assaggio, è un bianco secco, sapido, delicato, ma anche saporito, grazie alla leggera macerazione sulle bucce. In più, ha solo 12,50 gradi alcolici, il che lo rende ancora più invitante e facile da bere.

Perché adesso: è una novità appena uscita sul mercato, che merita di essere scoperta.

Com’è fatto: dopo la selezione dei grappoli, avviene una leggera macerazione in pressa; dopo la pigiatura, il vino fermenta e affina in acciaio per circa sei mesi.

Da abbinare con: primi piatti con pesci e verdure, prosciutto crudo, trota e pesci di mare.

Servitelo a: 12 °C

Prezzo: 12 euro.

Cavit.it

Le nostre ricette in abbinamento:

 

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