Categoria: Ricette veloci

un tassello essenziale del paesaggio

un tassello essenziale del paesaggio

La zuppa di legumi e grano: la ricetta che identifica la comunità di Matera e la civiltà contadina

Non si può capire cosa è la crapiata se non si capisce cosa è il Borgo La Martella di Matera e i Sassi. Se, tra tante specialità della gastronomia materana, è proprio questa semplice zuppa di legumi ad aver aperto i festeggiamenti di Matera Capitale Europea della Cultura, ci deve essere un motivo molto profondo, legato alla stessa intima natura di quelle architetture di pietra che ne hanno definito lo spazio e poi il tempo.

La crapiata e il Borgo La Martella

Il tempo di una volta a Matera, così come nell’intera Basilicata, era scandito dalla ciclicità della natura e dei suoi raccolti. La crapiata era il pasto della ricompensa: quando l’anno agricolo terminava con l’ultimo raccolto e se ne potevano gustare i frutti. La crapiata era il dono dello sforzo collettivo: quando tutti i contadini si riunivano per “mangiare insieme” e festeggiare. La crapiata era il risultato di tutti e non del singolo: tutte le donne materane portavano un pugno di ciò che era rimasto del raccolto precedente. Ogni pugno offriva grano, ceci, fagioli, lenticchie, cicerchie, fave… offriva quello di cui si viveva per l’intero anno. E si viveva di poco, ma quel poco era condiviso: perché la terra ha bisogno di tutti, non del singolo.

A metà secolo scorso, tra il 1951 e il 1954, il Borgo La Martella sorgeva dal paesaggio materano, destinato a ospitare tutti gli sfollati dai Sassi, gli stessi considerati la “vergogna d’Italia” dopo la denuncia del Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi. La “questione” Sassi e Matera divennero il simbolo del meridionalismo e del grande sogno per realizzare una vera Italia Unita. La visione fu quella delle migliori menti del tempo e si incarnò in una nuova architettura, nata dalle caratteristiche del territorio per dare forma alla cultura di coloro che vi abitavano. A capo di questo esercito di grandi rivoluzionari c’era Adriano Olivetti e il suo concetto di “Città Comunità: Matera come Ivrea, il Sud dentro la Comunità Italia”. Il Neorealismo di architetti come Ludovico Quaroni, Federico Gorio, Pier Maria Lugli, Michele Valori e Luigi Agati progettò lo spazio per accogliere la comunità. La Martella: emblema storico del Borgo contadino. Parametri e regole: ambiente, paesaggio, territorio, cultura locale. Il Borgo sorse dall’orografia del luogo e poi fu adagiato sul territorio, seguendone i segni e le forme. Ricrearono due elementi fondamentali della struttura dei Sassi: l’atmosfera della “corte interna” e del “vicinato”, incastonate sulle curve del territorio agricolo materano. Obiettivo: un’armoniosa continuità tra il nuovo e il vecchio paesaggio. Anche a livello tattile e visivo furono richiamate le tradizioni e i colori dei Sassi grazie all’utilizzo dei materiali autoctoni come il tufo e i cocci di argilla cotta. Le abitazioni furono previste con la presenza di un piccolo orto, un pozzo e anche una stalla per dare continuità al tempo che era sempre stato in quel luogo. Perfino il Teatro del Borgo aveva una struttura per svolgere la funzione aggregativa, che lì doveva essere ancora più forte: non aveva sedie né poltrone, ciascuno doveva portarsi la propria sedia da casa e accostarla al compagno.

Il senso e il sogno delle architetture del Borgo sopravvivono ancora oggi nel nome e nella crapiata. La Marted (La Mortella) è il nome di un’aromatica mediterranea spontanea: il mirto che, ancora oggi, è usato per la preparazione delle olive in salamoia. La zuppa è il sapore che gli sfollati dei Sassi hanno ricreato tutti insieme, chicco su chicco come mattone su mattone, per “architettare” in un nuovo tempo quello che sempre fu.

Ricordare e ricreare Comunità con la crapiata

A metà degli anni 70, quando tutti i sogni si infransero e ogni ricostruzione mostrò il proprio lato oscuro, anche il Borgo La Martella andò in crisi. Una crisi di comunità: gli anziani contadini che avevano vissuto nei Sassi si spensero senza poter passare il testimone, complice anche l’eterna piaga dell’emigrazione. L’individualismo cominciò a disgregare la comunità così come il capitalismo cominciava a sradicare i vecchi valori contadini. Paladino Raffaele, il factotum di allora del Borgo, sempre molto attento ai luoghi e alla propria gente, cominciò a ricreare aggregazione intorno alla crapiata, l’antica zuppa patrimonio comune di tutti i suoi concittadini. Si circondò di amici e contadini per ritrovare e tramandare l’antica “ricetta della comunità”, quella che concedeva solo un pizzico di sale ai “pugni” dei braccianti.
Cosa fondamentale: i legumi devono essere necessariamente secchi, perché residui dell’anno precedente. È col seme del passato che si alimenta il raccolto del futuro.

Così nacque la Sagra della Crapiata che, ancora oggi per i festeggiamenti del 70° anniversario del Borgo, fa transitare la comunità da un secolo all’altro: «Per il nostro Borgo, la crapiata è stata ed è un momento di grande aggregazione», conferma Paolo Grieco, presidente dell’associazione Amici del Borgo. «Il primo agosto è un appuntamento imperdibile non solo per noi che siamo qui, ma anche per tutti i martellesi andati via».

La ricetta della crapiata

La ricetta della crapiata è così antica che anche del nome, oggi, non si ha una interpretazione univoca. Per alcuni deriverebbe dal greco krambe, che indica una leguminosa. Per altri arriverebbe dalla vicina Calabria, dove crapia sarebbe il vecchio treppiede su cui si metteva il grande pentolone per cuocere la zuppa collettiva. E, ancora, potrebbe derivare da crapa poiché la domenica successiva alla festa si uccideva e mangiava una capra. Qualunque sia la sua vera origine, per i martellesi e per i materani, la crapiata è un “insieme di legumi secchi”, una mescolanza di elementi diversi in cui la diversità di ciascuno contribuisce alla ricchezza di gusto dell’intera zuppa.

La ricetta originale vorrebbe solo sale, olio e qualche patatina novella per la crapiata, ovvero solo ciò che si possedeva nel momento in cui si doveva portare il proprio “pugno” alla comunità; altri aromi e ingredienti freschi sono stati aggiunti solo successivamente. Anche le dosi conservano il mistero della tradizione: sono sempre eccessive perché pensate per sfamare tutti i contadini che partecipavano al raccolto, non una sola famiglia o alcuni amici. Oggi, per le nostre case, potremmo utilizzare un dosaggio e gli ingredienti rielaborati come segue.

Ingredienti per 6 persone

100 g di fave non decorticate
100 g di farro
100 g di ceci
100 g di cicerchie
100 g di piselli
100 g di fagioli bianchi
100 g di fagioli occhio nero
200 g di lenticchie piccole
200 g di grano duro
6 piccole patate novelle
1 carota
1 costa di sedano
1 cipolla
Olio extravergine di oliva qb
2 foglie di alloro
4 pomodorini
Acqua qb
Sale qb

Procedimento

Il giorno prima ammolla in abbondante acqua tutti i legumi secchi. Dopo 24 ore, scolali e sciacquali. Pulisci bene le patate novelle lasciando la buccia. Metti tutti i legumi e le patate novelle in una pentola e copri il tutto di acqua di circa un paio di centimetri. Fai cuocere a fuoco lento per circa 45 minuti. Aggiungi poi il resto degli ingredienti e un po’ di sale (metti interi il sedano, le carote e la cipolla mentre tagliuzza a tocchetti i pomodorini).
Fai cuocere per altri 45 minuti circa.
A cottura ultimata, elimina il sedano, le carote e la cipolla, aggiungi un filo di olio extravergine d’oliva a crudo, un po’ di peperoncino in polvere (secondo i tuoi gusti) e pane abbrustolito. Servi ben caldo, accompagnato da un buon vino rosso, meglio se un Matera Doc.

Il panettone da regalare in base al segno zodiacale

Il panettone da regalare in base al segno zodiacale

Al cioccolato, al pistacchio, ai frutti di bosco, al cioccolato bianco, e ancora altri panettoni golosi da regalare e regalarsi: scegliamo in base all’oroscopo?

Chi ha inventato il panettone? I milanesi non hanno dubbi: l’hanno inventato loro e per amore, tra l’altro. L’amore è quello di Messer Ulivo degli Atellani per la figlia del fornaio, Algisa. Anche gli svizzeri però dicono la loro e tirano fuori la leggenda di uno sguattero ingegnoso, Toni appunto, da cui il nome “Panettone” ovvero “il pane di Toni”. Qualsiasi sia la sua origine, sul panettone non abbiamo ancora smesso oggi di litigare: con la glassa di nocciole, senza canditi, col cioccolato, senza uvetta, ripieno e arricchito fino ai trasgressori dichiarati che preferiscono addirittura il pandoro. Solo su una cosa siamo tutti d’accordo: si tiene sul calorifero per mezz’oretta prima di mangiarlo. Per cercare di mettere un po’ di ordine, ecco il consiglio di un panettone per segno zodiacale, da regalare o regalarsi!

Ariete

Il tuo segno zodiacale è legato, simbolicamente, al colore rosso che è anche il colore di Marte, il pianeta che governa appunto l’Ariete. E dato che il rosso è anche il colore del Natale non vogliamo mettercene un po’ addirittura nel panettone? Per fortuna una delle varianti del dolce più amate è quella con i frutti di bosco che gli danno un colore amaranto nell’impasto bellissimo. 

Toro

Dato che litigare non ti piace per niente, soprattutto sotto Natale, tu di panettoni ne prenderai due (almeno): uno tradizionale e uno con le gocce di cioccolato al posto dei canditi… che poi è quello che ti fa tornare ai ricordi di quando eri bambino e toglievi tutti i canditi con le piccole dita. Ma lo sai che il 3 febbraio è San Biagio e la mattina sarebbe tradizione mangiare un’ultima fetta di panettone per preservarci dal mal di gola? Te lo ricordo dato che tu sei il segno zodiacale legato proprio a questa parte del corpo. 

Gemelli

Sarà lo spirito curioso o sarà forse il desiderio irrefrenabile e birichino di fare sempre il “bastian contrario” ma se c’è una stranezza tu di sicuro ti ingolosisci. A Genova esiste una variante del panettone tradizionale che si chiama “pandolce“: è senza uvette e canditi ma con i pinoli, i sempre più rari semi tipici della Liguria. Che dici, la proviamo?

Cancro

Nel tuo caso gli zuccheri non sono mai abbastanza soprattutto nel periodo natalizio quando il massimo del piacere è fare merenda davanti al camino con la copertina da divano, i calzettoni e la tv che manda lo stesso cartone animato della Disney che vedevi quando eri bambino. Quindi direi che il tuo panettone può reggere anche un’extra dolcezza come la versione ai marrons glacés con tanto di crema di marroni. Poi dieta!

Leone

Lo sai Leone che è stato creato un panettone appositamente per Pio XI intorno alla fine del 1800? Era a forma di fungo, lievitatissimo e altissimo tanto che per trasportarlo servì una carrozza. Soffice e soprattutto regale perché nel tuo caso anche il dolce di Natale è meglio che non passi inosservato. Ovviamente è bene che venga rigorosamente accompagnato con delle bollicine che riequilibrino il gusto del dolce. 

Vergine

La semplicità della quale ti piace circondarti, anche a tavola, qualche volta sfiora il minimalismo. “Essenziale e puro” vale anche per il panettone: ma che ne dici di provare la variante piemontese? E’ piuttosto bassa, senza canditi e uvetta ma ha (almeno) una glassa di nocciola e zucchero. Mi pare un buon compromesso tra la tua “verginità” e lo sgarro al dolce tipico delle festività natalizie. 

Bilancia

Quando si riesce a farti sgarrare dall’amore per la tradizione più classica, cara Bilancia, ti abbandoni volentieri al piacere inebriante di un sapore leggermente alcolico come quello del panettone al limoncello. Perché si sa che se tu sei il segno alla continua ricerca di un equilibrio, sei anche il segno più attratto dagli opposti: un dolce invernale e una crema che sa di sere d’estate. 

Scorpione

Stuzzicare è il tuo forte Scorpione, anche quando si tratta di palato… Perché sai che l’eros e il cibo vanno di pari passo, vero? Anche nella simbologia astrologica. Per questo credo che tu possa apprezzare una variante davvero creativa del panettone, chiamata ‘ndujattone. Un prodotto da forno di alta qualità che rispetta la tradizione… della ‘nduja calabrese! Piccantissimo, proprio come te. 

Sagittario

L’amore per la sperimentazione e la curiosità nel mischiare sapori diversi e origini lontane per te è davvero di un’attrattiva irresistibile. Quindi? Anche sul panettone è possibile darsi a divagazioni sul tema tradizionale: ti propongo un impasto classico ma con l’aggiunta del pistacchio vero siciliano e della glassa al cioccolato bianco. 

Capricorno

Tu non vuoi proprio sentire ragioni, Capricorno. Sei uno dai solidi principi e amante delle tradizioni, anche quelle culinarie e sul panettone non si scherza: lo si ordina a Sant’Ambrogio (anche detto 7 di Dicembre) nella pasticceria migliore della città e lo si ritira il 24 pomeriggio facendo la coda perché anche questo fa parte della tradizione. Ci vogliono i canditi, l’uvetta, la lievitazione lenta e il riposo a testa in giù dopo la cottura. Anzi, quasi quasi chiedi un piccolo reportage fotografico al panettiere! 

Acquario

Se c’è uno che è disposto ad andare oltre le tradizioni sei proprio tu, caro Acquario. Quindi ti togli dalla diatriba canditi sì – canditi no e ne apri un’altra, ancora più aspra e agguerrita: panettone o pandoro? Anzi, dato che ti piace essere un leader in controtendenza ti farai tu caposcuola della fazione degli amanti del pandoro. Sempre di pasticceria, sia chiaro, e magari anche arricchito di zuccheri (come se ce ne fosse bisogno) con un’ottima crema al mascarpone fatta in casa. 

Pesci

Anche con le gambe sotto al tavolo per te lo storytelling (dei prodotti) ha un valore inestimabile… Nulla deve essere scontato e gli abbinamenti impossibili ti fanno venire in mente gli amori ostacolati delle favole. Per questo ho pensato di suggerirti un mix di sapori davvero eccitante come il panettone artigianale al caramello e sale nero dell’Himalaya: quando il dolce e il salato sanno trovare un legame magico e indissolubile. 

Uovodiseppia: Pino Cuttaia arriva a Milano con la cucina della mamma

Uovodiseppia: Pino Cuttaia arriva a Milano con la cucina della mamma

La Sicilia del popolo, le nuove ricette, il piacere di stupire senza esercizi di stile: il grande chef de La Madia ‘firma’ il bistrot del raffinato Ariosto Social Club. Per raccontare ai milanesi e ai viaggiatori la sua grande cucina della memoria

«Una volta si veniva a Milano per cercare lavoro. Oggi un siciliano come me, viene a comunicare la propria cultura, a raccontare le radici di un popolo ricco di valori, tradizioni e contraddizioni. Come un ambasciatore. Partendo dalla stagionalità, da un gesto domestico». Pino Cuttaia è sbarcato a Milano ed è un arricchimento per la capitale italiana del cibo: non lascerà La Madia, il bistellato Michelin nella sua Licata, da dove – con coraggio e fatica – ha costruito una seconda vita (di successo) dopo la prima che lo ha visto operaio alla catena di montaggio a Torino. Il locale si chiama Uovodiseppia, esattamente come il suo piatto più iconico e come la dispensa-laboratorio non lontano dal ristorante in Sicilia. Ma sotto la Madonnina, si va ben oltre:  dalla prima colazione alla cena, ogni momento della giornata sarà buono per gustare le proposte studiate da Cuttaia. «Costruirò un’alchimia fra la mia Sicilia e il Nord Italia, alcune ricette avranno ispirazioni, tecniche o ingredienti del Settentrione, come il risotto allo zafferano con ragù di triglia e finocchietto che, alla fine, non è altro che un’arancina scomposta» racconta lo chef Cuttaia.

Praticamente in centro

Ha scelto un luogo decisamente particolare quale l’Ariosto Social Club, al 22 di una bella via milanese, a quattro fermate di metropolitana Rossa dal Duomo. « E’ un grande orgoglio per me, da siciliano, poter contare su uno chef del calibro di Pino Cuttaia. Il suo arrivo rappresenta un tassello importante a completamento del nuovo progetto». A parlare è Emanuele Vitrano Catania, dinamico imprenditore di origini palermitane da anni operativo nel mondo dell’hotellerie meneghina con il Gruppo Brera Hotels. Insieme alla caffetteria-bistrot, la struttura ospita venti appartamenti di lusso per affitti brevi, arredati con pezzi di design italiano che possono essere acquistati dagli ospiti; una lounge con cucina e terrazza per eventi privati; una palestra d’avanguardia con personal trainer altamente specializzati e percorsi su misura, una boutique con abiti, oggetti e accessori originali di artigiani italiani (in prevalenza donne) selezionati personalmente dalla scrittrice e proprietaria dello store Valeria Benatti. Per chi soggiorna all’Ariosto Social Club una coccola in più: la possibilità di aver serviti i piatti dalla brigata di cucina direttamente nell’intimità del proprio appartamento. Non male, davvero.

Due ricette per Milano

Torniamo a Cuttaia. Nel bistrot che è aperto per tutta la settimana (dalle ore 12 alle ore 14 e dalle ore 19 alle ore 23.30) servirà un menu con i suoi classici. Citiamo l’Arancina di riso con ragu di triglia e finocchietto selvatico (nella foto di apertura), il Macco di fave con gnocchetti di seppia, il Merluzzo all’affumicatura di pigna, la Cornucopia di cialda di cannolo con ricotta di Cammarata…Ma ha anche pensato a due piatti inediti, in omaggio alla città che lo attende curiosa. Il primo è lo Spaghetto “alla milanese” con mollicata alle cipolle: pochi sanno che fa parte della tradizione siciliana, ossia uno spaghetto a base di finocchietto selvatico che si rifà alla pasta con le sarde. «Quando non c’era il pesce si era soliti chiedere “come la fai la pasta oggi? ” e la risposta era “alla milanese” per evocare il fatto che a Milano non c’è il mare. In questo piatto ho aggiunto le acciughe e un po’ di masculino, un’acciuga più piccola, richiamando alla variante catanese. C’è anche il pane atturrato, che è tostato e rappresenta il formaggio dei poveri» spiega lo chef di Licata.

Poesia e semplicità

Il secondo è l’Uovo a cotoletta, un cibo quotidiano che si veste da festa. «La cotoletta è il piatto più tipico e conosciuto della tradizione meneghina e non potevo trascuralo. Nella cucina della mamma, l’uovo, un ingrediente quotidiano, si vestiva da festa quando veniva impanato come una cotoletta con mollicata di pane, aglio e prezzemolo. Dalla cottura si sprigionavano così gli stessi profumi della carne, anche se non lo è, facendo sentire l’atmosfera della domenica» racconta Cuttaia. Due ricette in cui c’è l’essenza del cuoco bistellato, fatta di poesia e ingredienti semplici, spesso basici ma che sa interpretare come pochi in Italia. «C’è un solo ingrediente di cui non posso fare a meno ed è la memoria» ci dice per l’ennesima volta. E se lo guardi perplesso, pensando che in fondo è quasi impossibile non trovare chef senza un minimo di memoria, centra maggiormente il pensiero con un sorriso dei suoi «È una zavorra se non ti confronti, ma nel momento in cui lo fai con il contemporaneo ne trai energia: viaggi e torni per avere occhi nuovi con cui guardare il paesaggio e i tuoi ingredienti in modo diverso. Usando magari gli stessi ma con gesti diversi, l’innovazione è nel recupero del gesto». Ecco perchè, gustando i piatti (ri)assaggiati a Milano, bisogna una volta di più ringraziare – oltre all’autore degli stessi – la mamma e la nonna di Pino Cuttaia.

 

Proudly powered by WordPress