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Aglio al miele: come si prepara e perché fa bene

La Cucina Italiana

Avete provato l’aglio al miele? È una di quelle preparazioni facilissime da tenere sempre in dispensa che possono valorizzare anche il più semplice dei piatti dando un twist di sapore particolarmente piacevole e inaspettato.

Come si prepara l’aglio al miele

Basta prendere gli spicchi d’aglio e metterli nel miele, naturalmente con tutte le precauzioni necessarie affinché non si sviluppino spore di botulino, specie in fase di sterilizzazione dei vasetti e in fase di chiusura (per questo le migliori istruzioni da seguire restano quelle dell’apposito documento del Ministero della Salute). In questo modo si avvia la fermentazione: gli spicchi di aglio disperdono il loro succo nel miele, che ne prende i sapori e gli aromi. Servono circa due settimane perché il processo si completi e, se ben preparato e conservato, un vasetto può durare fino a 12 mesi.

Come usare in cucina l’aglio al miele

Provatelo sulle verdure lesse o crude, sulle bruschette con il formaggio a pasta molle, oppure solo sul formaggio, e anche come salsa di accompagnamento delle carni alla brace. E poi sbizzarritevi in base ai gusti e alle ricette. Il figurone è assicurato, e poi l’aglio al miele è un modo per proporre l’aglio a chi non lo ama particolarmente per quel suo sapore acre dato che il miele lo addolcisce, ma anche una versione alternativa (e senza troppi effetti collaterali per l’alito e la digestione) per chi invece l’aglio lo ama moltissimo.

Perché tutti vogliono assaggiare l’aglio al miele

Una ricetta molto facile, appunto, che nell’ultimo periodo è tornata di gran moda, e non solo per questioni “culinarie”. L’aglio al miele, infatti, è un modo furbo per rinforzare il sistema immunitario messo a dura prova specie nei mesi invernali. Come tutti i cibi fermentati, contiene probiotici e cioè organismi in grado di riequilibrare il microbiota intestinale rinforzando la barriera che tiene i patogeni sotto controllo. Il processo di fermentazione, infatti, amplifica i benefici dei due alimenti, già di per sé considerati antibatterici naturali. L’aglio, in particolare, stimola la produzione di allicina che, oltre ad abbassare la pressione sanguigna, funge da antivirale oltre che da antibatterico. Il miele, oltre ad aiutare a rinforzare il sistema immunitario, svolge azione fluidificante in caso di tosse e raffreddore.

Perché vale la pena provare

Non un rimedio per tutti i mali, ovviamente, ma sicuramente l’aglio al miele è un’idea in più per variare a tavola e per arricchire un’alimentazione sana, bilanciata, prevalentemente vegetale che – come ormai la scienza ha ampiamente dimostrato – è alla base di una vita lunga e sana. Insomma il miglior modo per prevenire malattie e disturbi cronici.

La ricetta dell’aglio al miele

Ingredienti

  • 2 teste d’aglio
  • 1 vasetto da 400 g di miele
  • 1 vasetto da circa 500 g con un coperchio nuovo
  • Se vi piace, un peperoncino fresco

Procedimento

  1. Sterilizzate il vasetto: lavatelo in lavastoviglie al massimo dei gradi o fatelo bollire per 30 minuti (i coperchi vanno messi gli ultimi 10 minuti). Fate raffreddare e asciugate. In alternativa mettete il vasetto nel microonde per 30 secondi.
  2. Sbucciate accuratamente l’aglio, e ciascuno degli spicchi.
  3. Pulite accuratamente gli spicchi eliminando eventuali parti rovinate.
  4. Posizionate gli spicchi ordinatamente nel vasetto sterilizzato.
  5. Scaldate leggermente il miele in modo che diventi fluido.
  6. Versate il miele nel vasetto facendo in modo che penetri nelle cavità degli spicchi d’aglio aiutandovi con un cucchiaino.
  7. Se il miele è ancora caldo, fate raffreddare.
  8. Chiudete il vasetto ermeticamente, pastorizzandolo. Va immerso in acqua calda (che deve superare di 5 centimetri il vasetto) e fatto bollire per circa 20 minuti.
  9. Una volta raffreddato, prima di conservarlo fate la prova del click: se si sente il “click” facendo pressione sul coperchio vuol dire che c’è ancora aria e quindi va ripetuta la pastorizzazione.
  10. Una volta pronto, conservate l’aglio al miele in un luogo fresco e asciutto.

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I 10 cibi più pericolosi per la salute: lista Coldiretti 2023

La Cucina Italiana

Salmonella, aflatossine, pesticidi e non solo. C’è di tutto nella lista dei 10 cibi più pericolosi appena pubblicata da Coldiretti: una black list aggiornata ogni anno in base alle elaborazioni del Sistema di Allerta Rapido Europeo, rete da cui partono gli “allarmi”, cioè le informazioni relative ai gravi rischi per la salute di alimenti che arrivano per importazione nel territorio comunitario. Alimenti che nella maggior parte vengono rintracciati e tolti dal commercio, ma che potrebbero anche finire nel nostro carrello dato che i controlli non sono a tappeto.

La lista dei 10 cibi più pericolosi di Coldiretti

Quest’anno Coldiretti ha presentato la lista dei cibi pericolosi in occasione dell’apertura del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione e ancora una volta contiene alimenti che per la maggior parte provengono dall’estero: 8 sui 10 cibi più pericolosi finiti nella black list sono stranieri. I numeri sono questi: sul totale dei 317 allarmi rilevati nel 2022, 106 sono scaturiti da importazioni da altri stati dell’Unione Europea (33%) e 167 da Paesi extracomunitari (53%). Solo 44 (il 14%) allarmi hanno riguardato prodotti con origine nazionale. Un quadro articolato, che tra le righe racconta un altro dato: i rischi non arrivano solo dagli alimenti prodotti in Paesi in via di sviluppo, ma anche da altri Paesi Comunitari e non solo.

Quali sono i cibi che fanno male alla salute?

Andando nel dettaglio, i pericoli maggiori riguardano i fichi secchi della Turchia per le aflatossine, seguiti dal pesce spagnolo per l’alto contenuto di mercurio, mentre al terzo posto c’è la carne di pollo polacca contaminata da salmonella e al quarto cozze e vongole spagnole sempre con salmonella insieme al batterio dell’escherichia coli. E ancora, nella lista compaiono erbe e spezie indiane, ostriche francesi. Eccola completa:

La lista dei cibi pericolosi per la salute – 2023

  1. Fichi secchi – Turchia – Aflatossine
  2. Pesce spada – Spagna – Mercurio
  3. Carni di pollo – Polonia – Salmonella
  4. Cozze e vongole – Spagna – E.Coli e Salmonella
  5. Pistacchi -Turchia – Aflatossine
  6. Ostriche – Francia – Norovirus
  7. Pistacchi – Usa – Aflatossine
  8. Erbe e spezie – India – pesticidi
  9. Pistacchi – Iran – Aflatossine
  10. Litchi – Cina – Pesticidi
    Fonte: Elaborazioni Coldiretti su dati Rapporto Rassf 2022

Come tutelarsi dagli alimenti pericolosi

La soluzione resta la consapevolezza: guardare bene cosa compriamo, quali garanzie ci dà chi produce, e dove produce. Un’informazione cruciale: l’Italia è tra i Paesi con le politiche più rigide in tema di sicurezza alimentare, ed è anche per questo che i nostri prodotti sono una garanzia. Secondo i dati dell’ultimo Rapporto pubblicato da Efsa nel 2023 relativo ai dati nazionali dei residui di pesticidi, i cibi e le bevande stranieri sono oltre dieci volte più pericolosi di quelli Made in Italy, con il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari oltre i limiti di legge che in Italia è stato pari al 6,4% nei prodotti di importazione, rispetto alla media dello 0,6% dei campioni di origine nazionale.

Il fatto è che non possiamo sempre sapere da dove viene ciò che compriamo: le informazioni riguardo la provenienza per ora sono reperibili solo una determinata lista di cibi. Dal 2025 le cose miglioreranno, perché questa lista diventerà più lunga e comprenderà anche alimenti come frutta secca, funghi non coltivati e zafferano per i quali fino ad allora non vigerà l’obbligo, ma – come fa notare Coldiretti – restano fuori molti altri alimenti che sono una presenza fissa nelle nostre dispense, che vanno dai succhi di frutta ai legumi in scatola, fino ai biscotti. «È necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute» afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, che da tempo, tra le altre, porta avanti una battaglia sulla trasparenza in etichetta che consenta a chi produce nel rispetto delle regole di distinguersi, e a noi di scegliere.

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Perché abbiamo voglia di cibi grassi? La spiegazione scientifica

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Perché abbiamo voglia di cibi grassi e dolci? Tutto sta nel nostro cervello: sono in grado di aumentare il livello di dopamina, neurotrasmettitore da cui dipende la sensazione di piacere. Insomma, rendono felici, anche se è una felicità illusoria: la soddisfazione presto svanisce, perché questi alimenti provocano infiammazioni intestinali dovute al repentino aumento di glicemia, che fa venire fame. La scienza però non smette di approfondire la questione: i cibi grassi sono i principali responsabili dell’epidemia di obesità nei Paesi occidentali (Italia inclusa) e non è ancora chiaro perché, nonostante si sappia che fanno male alla salute, in molti non riescano a farne a meno. 

Perché abbiamo voglia di cibi grassi? Lo studio di Oxford

L’ultima novità è una ricerca di un team di scienziati di Oxford pubblicata sul Journal of Neuroscience che, combinando nuovi approcci di ingegneria alimentare con il neuroimaging funzionale, ha indagato su quanto conti la consistenza di questi cibi grassi con il nostro desiderio di volerli mangiare. Si è concentrata in particolare sui frullati, che sono i più semplici e veloci da deglutire, perciò potenzialmente più “pericolosi”.

Cosa succede nel nostro cervello se si mangiano grassi

Nella prima fase dell’esperimento il team di ricercatori ha scelto una serie di frullati differenti per contenuto di grassi e zuccheri, per individuarne il cosiddetto “coefficiente di attrito radente”: quanto cioè ciascun frullato tra quelli proposti fosse in grado di “scivolare” sulla lingua. Nella seconda fase, questi stessi frullati sono stati offerti a 22 volontari che, dopo l’assaggio, hanno quantificato la cifra che sarebbero stati disposti a pagare per berne un altro bicchiere pieno. Nel frattempo ciascuno dei volontari è stato sottoposto a una scansione cerebrale per misurare il livello di attività della corteccia orbitofrontale (coinvolta nell’elaborazione cognitiva del processo decisionale, e che in particolare determina le decisioni in base alla ricompensa), a seconda della consistenza dei liquidi grassi ingeriti.

Alla fine, mettendo a confronto l’offerta economica per il bis di frullato di ciascuno, e la rispettiva attività della corteccia orbitofrontale, gli studiosi hanno visto che i più disposti a “spendere” erano i soggetti che avevano provato più piacere nel bere quei frullati. La conclusione? Il nostro comportamento alimentare dipende da valutazioni economiche soggettive che il cervello fa di volta in volta: è come se decidessimo quanto possa convenirci o meno mangiare un determinato alimento in base al fascino che esercita, e questo fascino può dipendere anche dal livello di “attrito” del cibo, dalla sensazione di ricchezza di gusto che dà.

Un meccanismo assolutamente soggettivo: è letteralmente questione di gusti. Gli scienziati hanno infatti provato che i partecipanti allo studio più sensibili alla consistenza dei liquidi più grassi, sono quelli che abitualmente mangiano cibi più grassi. Questo grazie a una sorta di sotto-esperimento in cui i tester sono stati invitati a un pranzo a base di piatti curry con quantità di grassi differenti.

La scienza contro l’obesità

Siamo predestinati? Sicuramente l’inclinazione soggettiva conta molto: la capacità di “controllarsi” anche in fatto di cibo varia da individuo a individuo. Questi esperimenti sono fatti apposta: l’obbiettivo dei ricercatori, di Oxford e non solo, è infatti progettare dei cibi che abbiano lo stesso impatto di quelli grassi, a livello di consistenza e gusto, sul nostro cervello, ma a basso contenuto calorico. Un esempio? Il biscotto anti-fame che sta mettendo a punto l’Università Cattolica di Piacenza. È la nuova frontiera della scienza alimentare, che potrebbe essere un valido aiuto per milioni di persone obese nel mondo. 

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