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Congelare e riattivare il lievito madre

Congelare e riattivare il lievito madre
                                       

Questa è solo una parte dei miei lieviti. Durante la quarantena ho consumato quasi tutta la mia scorta, tra lievitati a go go ed esperimenti di moltiplicazione e conservazione, l’ho quasi finita. 

Credo di aver trattato il lievito di birra e il lievito madre in ogni modo.

Riguardo al lievito madre ho un ultimo (forse) passaggio da condividere con voi: come congelarlo e successivamente riattivarlo.

Procedimento

Per conservarlo in congelatore, una volta rinfrescato e lasciato raddoppiare l’impasto, 

basterà stenderlo con il mattarello a formare una sfoglia alta più o meno 1 cm, 

avvolgerla nella carta forno,

nella pellicola trasparente

ed infine in un foglio di alluminio. 

Segnare la data di congelamento

e riporre in congelatore. Il lievito così conservato avrà una scadenza di non oltre tre mesi.

Per riattivarlo, togliere il panetto dal congelatore e riporlo in frigorifero per 24 ore.

Trascorso il tempo in frigo possiamo aprire il pacchetto e, nel caso all’apertura del pacchetto notiamo che si è formata una crosticina, possiamo rimuoverla sollevandola leggermente con la lama di un coltello.

Quando il panetto ha raggiunto la temperatura ambiente si può procedere al rinfresco pesando la pasta madre, unendo lo stesso peso in farina (la stessa utilizzata per l’impasto iniziale) e poco meno della metà del peso in acqua (es. 100 g di lievito madre + 100 g farina + 40 ml di acqua a temperatura ambiente). Formare un panetto, metterlo in una ciotola, coprire con pellicola e lasciare lievitare per 24 ore a temperatura ambiente.

Nel caso trascorse le 24 ore il lievito non si sia attivato, procedere con un’altro rinfresco, tenendo sempre l’impasto coperto e a temperatura ambiente.

– A me è capitato di dover fare tre rinfreschi prima che la pasta madre fosse di nuovo attiva.

Spaghetti allo yogurt, un primo tutto da scoprire

Spaghetti allo yogurt, un primo tutto da scoprire

Ecco come utilizzare lo yogurt anche nella preparazione di un primo a base di pasta: i consigli dello chef Fabrizio Albini e la speciale ricetta degli spaghetti con merluzzo, peperoncino e yogurt

Quando pensiamo allo yogurt ci vengono in mente colazioni e merende, dalle più golose con miele, gocce di cioccolato e cereali alle più salutari con aggiunta di frutti rossi e affini. Oppure, in alternativa, dolci vari ed eventuali, che possono spaziare dai soffici plumcake fino a tutta la gamma possibile di semifreddi. Difficilmente, però, la parola yogurt ci potrebbe far pensare a un primo, soprattutto se a base di pasta. Ecco però che a mettere fine a questo pregiudizio arriva una curiosa ricetta firmata Fabrizio Albini, chef del Bianca sul lago di Oggiono, in provincia di Lecco: spaghetti di grano Matt con merluzzo, peperoncino e yogurt.

Yogurt cremoso o in polvere?

«In questo piatto avevo bisogno di un ingrediente che potesse andare a bilanciare la sapidità e la grassezza del merluzzo con una buona dose di acidità: lo yogurt, in questo senso, è perfetto», ci spiega lo chef. A questo punto, però, sono due le possibili alternative: utilizzare lo yogurt magro così, come da barattolo, stando però attenti a calibrare bene le proporzioni con il resto degli ingredienti per non eccedere nella cremosità (e non trasformare la nostra pasta in una sorta di strana pietanza da colazione); oppure optare per la polvere di yogurt, reperibile per lo più online o presso rivenditori specializzati, che consente di insistere maggiormente sull’acidità senza incidere sulle consistenze del piatto.

Gli altri abbinamenti dello yogurt

«Nella nostra mente lo yogurt viene automaticamente incasellato nella categoria “colazione” o  “merenda”, ma la verità è che si tratta di un latticino in piena regola, proprio come i formaggi o i diversi tipi di panna. Per questo è molto più versatile di quello che si possa pensare», precisa Albini, che nel suo menu invernale è solito proporre un’entrée a base di yogurt, sarde essiccate e cavolfiore. «Il mix di sapidità, croccantezza e cremosità, in questo caso, è davvero interessante». Ecco allora che può davvero valere la pena superare i timori dettati dalla consuetudine e iniziare a sperimentare tutte le possibilità di un buon yogurt in cucina. Magari incominciando proprio dalla ricetta del gustoso primo che troviamo qui sotto.


Spaghetti di grano Matt, merluzzo, peperoncino e yogurt
dello chef Fabrizio Albini

Ricetta per 4 persone

Per il merluzzo
100 g di baccalà bagnato (meglio parti grasse)
50 g pelle di baccalà
40 g scalogno
1 cucchiaio da caffè di peperoncino fresco delicato
150 g olio evo del Garda

Scaldare in una pentola piccola l’olio extravergine di oliva con lo scalogno tritato e il peperoncino, cercando di mantenere la temperatura a circa 80° C. Preparare in una ciotola di acciaio il merluzzo e la pelle fatti a pezzetti e aggiungere pian piano, a filo come per una maionese, l’olio a 80 °C continuando a mescolare fino al raffreddamento.

Per gli spaghetti
320 g spaghetti Matt Monograno Felicetti
20 g di miele
30 g olio evo del Garda

Cuocere gli spaghetti, scolarli e mantecarli a freddo con il miele e l’olio evo.

Impiattamento
20 steli di erba cipollina
10 g di polvere di yogurt magro oppure 50 g di yogurt magro
Buccia di limone verde

Con l’aiuto di una pinza ed un mestolo posizionare gli spaghetti al centro dei piatti, coprire il più possibile con la crema di merluzzo, spolverare con la polvere di yogurt o aggiungere alcune gocce di yogurt. Completare con erba cipollina tagliata fine ed una grattata di buccia di limone verde. Da abbinare con un bianco profumato e strutturato, come Lugana Doc Demesse Vecchie di Famiglia Olivini.

Gli sgabei della Lunigiana – La Cucina Italiana

Gli sgabei della Lunigiana - La Cucina Italiana

Un fritto speciale tipico della Lunigiana che si può gustare anche a Milano. Con la ricetta originale

Chissà se quest’estate potremo andare in Lunigiana a mangiare gli sgabei. In caso non fosse possibile, vi raccontiamo prima che cosa sono e poi dove trovarli anche a Milano, insieme ad altri prodotti di questa terra magica, come i panigacci o i testaroli al pesto. Stiamo parlando di Testami, primo e unico locale di cucina lunigiana in città, aperto nel 2017, ma nato in realtà molto prima, da una storia d’amore.

Testami e l’amore per la Lunigiana

Della Lunigiana non ci si può non innamorare. È una terra di passaggio, accessibile solo in apparenza, poiché si svela solo a chi si dà la pena di lasciare l’asfalto e inoltrarsi qualche chilometro per le sue strade secondarie, quelle di breccia e terra battuta che portano in luoghi come i castagni di Camporaghena, o verso Zeri con i suoi agnelli e le sue patate, oppure intorno a Bagnone, alla scoperta della cipolla di Treschietto; o ancora a Fivizzano, tra i boschi in direzione del Passo del Cerreto. Ed è proprio qui che anni fa due venditori di tessuti, Piergiulia e Andrea Vitolo, milanesi doc, si innamorarono della Lunigiana e decisero di prendervi casa. Pur continuando a vivere a Milano, passavano le loro estati qui, trasmettendo l’amore per questa terra anche ai loro figli Marco e Simona. La Lunigiana divenne così la loro terra di appartenenza di cuore, tant’è che nel 2005 i due fratelli aprirono un locale proprio nel centro di Fivizzano: la paninoteca Brera. In seguito è stato più forte il desiderio di portare un po’ di Lunigiana a Milano, di far conoscere quel territorio ancora poco noto anche nella grande città, quella Toscana così fuori dall’iconografia più classica. L’idea iniziale era un food truck di soli sgabei, poi nel 2017 Marco aprì Testami, un piccolo bistrot con cucina e vendita di anche altri prodotti (e vini) della Lunigiana. Da gennaio in cucina c’è Dario Tonghini, originario di Piacenza, che dopo varie esperienze (tra cui anche quella da Carlo e Camilla), ha iniziato ad abbracciare la causa della Lunigiana. E a friggere gli sgabei alla perfezione.

Quell’infinito mondo delle paste lievitate fritte

Il mondo della paste lievitate fritte è tanto vario quanto antico. Sono secoli, infatti, che l’uomo frigge un impasto tanto semplice, a base di acqua, farina e lievito, per poi mangiarlo da solo o accompagnato da altri ingredienti. In apparenza gli sgabei potrebbero ricordare i più noti gnocchi fritti della confinante Emilia, o le crescentine bolognesi o, ancora, la panzanella di alcune zone della Toscana (dove non indica la preparazione sempre toscana a base di pane e pomodoro); così come la pizz’onta in Abruzzo e Marche, o a Napoli e Caserta, dove c’è un universo di paste fritte: dalle paste cresciute alle zeppole con le alghe, spesso regalate per strada, fino alle montanare con pomodoro e basilico, alle pizzelle senza lievito o agli angioletti più lunghi che si trovano sia dolci che con pomodorini e rucola. Non da meno il mondo arabo, come ad esempio in Tunisia, dove è frequente imbattersi in friggitori seriali di paste come la ftira. Ma non solo nel Mediterraneo: la pasta fritta è emigrata anche in Sud America, soprattutto in Uruguay e Argentina, dove si trova la torta frita, consumata più dolce con una spolverata di zucchero, o con il Dulce de Leche. Eppure, c’è qualcosa che rende gli sgabei unici e diversi da tutte le altre paste fritte.

Gli sgabei

Il nome deriva dal latino skabellum, che indica sia lo sgabello che la scarpa, probabilmente per la forma. Gli sgabei, infatti, hanno sempre una forma e una dimensione ben precisa che li distingue: 15 centimentri di lunghezza e 5 di larghezza. Inoltre, a differenza ad esempio dello gnocco fritto, la pasta all’interno rimane vuota: «non è facile, dice Marco, a volte non riesce nemmeno a noi!» Per questo sono fondamentali lo spessore e la lievitazione, di almeno 3 o 4 ore. A tal proposito Marco ha fatto una vera e propria ricerca antropologica, andando a chiedere trucchi e segreti alle signore che ancora lo preparano come una volta. Ma la risposta è stata quasi sempre la stessa: “a occhio, Marco, si fa tutto a occhio!». Il loro segreto, infatti, sta tutto nella manualità trasmessa da generazioni, dai tempi in cui le donne li preparavano come pranzo per i loro uomini che lavoravano nei campi, con la pasta avanzata dalla produzione del pane, poi fritta nello strutto. Oggi non si friggono più nello strutto per ovvie ragioni di salute, ma in realtà non è cambiato molto: gli sgabei si trovano ancora in tutta la Lunigiana, preparati soprattutto dalle signore in occasione di sagre e feste di paese, in particolare a Sarzana e dintorni, dove si mangiano come un panino, che fa da piatto unico. Nei ristoranti, invece, si trovano più come antipasti, in abbinamento ad altri prodotti; l’importante è che sempre di prodotti della Lunigiana si tratti, così sarà l’occasione per provare altre delizie di questa terra. Per Marco «la morte sua è con la salsiccia cruda, lo sgabeo che vendiamo di più», ma anche con formaggi e altri salumi quali pancetta, lardo locale, fatto con sale di Cervia (e non quello della vicina Colonnata). Ma il mare non è affatto lontano, per cui gli sgabei si trovano anche con le acciughe. Per i più golosi, invece, non manca l’abbinamento dolce con miele o cioccolato. Infine, se di abbinamenti si parla, immancabile è un calice di vino autoctono, come il Pollera. Ecco, questa è la Lunigiana di Testami, anche a domicilio.

Ricerche frequenti:

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