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Come utilizzare la parte finale bianca di asparagi

Come utilizzare la parte finale bianca di asparagi

Dell’asparago non si butta via niente, o almeno ci proviamo. Ma che farci con la parte finale bianca del gambo, quella legnosa? Qui qualche consiglio pratico

Primavera, parola d’ordine: asparagi. Ottimi da cotti, per zuppe, risotti o paste, sono buonissimi anche da crudi in insalata.In questo periodo invadono i banchi del mercato, in tutti i loro colori, sono uno spettacolo per gli occhi e una festa per il palato. 

Tutti sappiamo però che nel mondarli, va prelevata la parte finale del gambo, più dura e filamentosa. Il prezzo degli asparagi non è mai troppo economico per via della loro particolare coltivazione, per cui buttare via quasi un terzo di ogni asparago dispiace parecchio. In un’ottica di riciclo alimentare e di stop allo spreco, vediamo insieme come utilizzare la parte finale bianca degli asparagi, invece di farla finire nella busta dell’umido. 

Dal brodo all’insalata fino alla zuppa, ecco quindi qualche pratico consiglio per riutilizzare la parte finale bianca degli asparagi in cucina. Sfogliate anche la nostra photo gallery, troverete qualche spunto di ricetta con gli asparagi da fare subito: buon appetito!

Come utilizzare la parte finale bianca degli asparagi:

parte finale asparagi
Cosa fare della parte finale asparagi?

Fateci il brodo!

Con la parte finale del gambo degli asparagi ci si può fare un ottimo brodo. Fate così: pelate il gambo dell’asparago con un pelaverdure, poi tagliatelo dal resto dell’ortaggio e mettetelo a bollire insieme agli altri pezzi di asparago e alle altre verdure. Otterrete così del brodo vegetale, perfetto come base per minestre o risotti. Non volete utilizzarlo tutto subito? Versatelo negli stampi dei cubetti per ghiaccio e congelatelo, pronto all’uso.

Fateci una zuppa!

Come prima, pelate il gambo dell’asparago con il pelaverdure, poi asportatelo dal resto dell’ortaggio. Fatelo lessare, poi unitelo a patate o zucca e cipolle e frullate il tutto con il mixer. Aggiungete due cucchiai di panna da cucina e otterrete una vellutata da leccarsi i baffi.

Aggiungeteli all’insalata

Come sempre, pelate il gambo, tagliate la parte finale e fatela lessare. Poi tagliatela a rondelle finissime e aggiungetele all’insalata o alla pasta fredda: darà quel tocco in più che non vi aspettate!

Polenta bianca: cos’è e come cucinarla

Polenta bianca: cos'è e come cucinarla

Curiosi di scoprire la polenta bianca, classica preparazione veneta? Seguite i consigli degli chef de La Scuola de La Cucina Italiana sulla cottura e gli abbinamenti!

La polenta bianca è utilizzata nella cucina veneta, in particolare nelle provincie di Venezia, Treviso e Padova. La sua diffusione in questa zona d’Italia è dovuta alla tradizionale presenza delle coltivazioni di mais bianco, chiamato anche Biancoperla. Qual è la differenza fra polenta bianca e polenta gialla? La polenta bianca, ottenuta dalla macinazione di questo tipo di mais, è tendenzialmente più delicata di quella gialla e la sua grana, inoltre, è più fine.

Quale pentola utilizzare per la cottura?

La polenta viene tradizionalmente preparata utilizzando dei paioli di rame: questo materiale permette di diffondere il calore in modo uniforme. In alternativa, si può utilizzare una pentola alta e stretta, così da non far evaporare troppo velocemente il liquido; il materiale da preferire in questo caso è l’alluminio, così che la conduzione del calore sia uniforme. La temperatura del fornello deve sempre essere tenuta abbastanza bassa.

Come rendere la polenta bianca cremosa?

Se volete ottenere una polenta dalla consistenza più cremosa, basta semplicemente aggiungere più acqua durante la fase di cottura. Per una versione, invece, ancora più avvolgente potete preparare la polenta in anticipo, lasciarla riposare e, al momento del servizio, aggiungere alla polenta del latte o della panna, amalgamando il tutto con una frusta elettrica. Il risultato sarà estremamente delicato e potrà essere il perfetto accostamento per preparazioni croccanti.

Qual è l’abbinamento migliore?

La polenta bianca è tipica della regione Veneto e tradizionalmente viene abbinata a pietanze di questa zona. Il consiglio è quello di abbinarla a preparazioni a base di pesce; la polenta bianca è, infatti, più delicata della polenta gialla e permette, quindi, di esaltarne i sapori. Inoltre, avendo un colore molto particolare, è possibile giocare con il contrasto, abbinando la polenta bianca a ingredienti dai colori accesi.

Una ricetta: Polenta bianca con seppie mantecate al nero e olio al prezzemolo

Martedì 19 novembre si è tenuta, a La Scuola de La Cucina Italiana, una cena speciale in collaborazione con Cantine Maschio: è stata un’occasione unica per scoprire una terra ricca di sapori e di paesaggi dalla collina Trevigiana del Prosecco, da poco patrimonio Unesco, alla verdeggiante pianura tra il Piave e il Sile.

In abbinamento ai vini della cantina, sono state realizzate da Marco Cassin, chef de La Scuola, quattro portate, ispirate alla cucina tradizionale veneta. Se siete curiosi di scoprire il menu preparato, guardate le immagine nella gallery! In questa occasione abbiamo, inoltre, raccolto una ricetta per utilizzare la polenta bianca anche nei vostri piatti. Scopritela qui sotto!

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Ingredienti per 4 persone

1 litro Acqua
600 g Seppie
250 g Farina di mais bianco
100 ml Olio extra vergine di oliva
45 g Nero di seppia
30 g Prezzemolo
Sale

Procedimento

Far bollire l’acqua; aggiungere il sale e aspettare che sia completamente sciolto. Aggiungere la farina delicatamente, continuando a girare con la frusta. Una volta creata la massa principale, continuare a girare con un mestolo di legno. Dopo circa 40 minuti la polenta sarà pronta.
Preparare un’acqua aromatizzata con sedano, alloro, porro, chiodi di garofano e bacche di ginepro; salarla e portarla a bollore. Dopo aver pulito le seppie, sbollentarle per pochi secondi.
Mettere il nero di seppia in un pentolino con un po’ di acqua; una volta raggiunto il bollore, aggiungere le seppie e completare la mantecatura.
Sbollentare il prezzemolo in acqua salata; aggiungerlo all’olio e frullarlo. Infine, filtrarlo. Servire, posizionando la polenta alla base e le seppie al nero sopra; terminare con delle gocce di olio al prezzemolo.

Siete curiosi di scoprire altri consigli utili in cucina? Iscriviti a uno dei corsi de La Scuola de La Cucina Italiana: clicca qui per guardare il calendario!

Testi di Caterina Limido

In Veneto tra le Ville del Palladio che ispirarono la Casa Bianca

In Veneto tra le Ville del Palladio che ispirarono la Casa Bianca

La più famosa è La Rotonda, ma tante sono le ville nobiliari che meritano una visita tra Padova e Vicenza. Da girare anche pedalando tra i vigneti

Sono tante, una più bella dell’altra e si fa davvero fatica a scegliere quale visitare. Parliamo delle Ville Palladiane del Veneto, patrimonio Unesco dal 1996, e tra i tesori più o meno nascosti del nostro Paese. La mano – o per meglio dire la testa – che le ha progettate nella maggior parte dei casi è la stessa (Palladio appunto), l’epoca in cui sono state costruite anche, eppure queste dimore sono molto diverse tra di loro, e risultano ognuna unica e speciale a modo suo.

Ci troviamo a pochi chilometri da Venezia, in un fortunato (tri)angolo di campagna padana tra Vicenza, Padova e Treviso, dove vigne e terra fanno l’amore per regalare al mondo il loro vino migliore. Qui, in un periodo di pace e di grande ricchezza (per alcuni), i nobili veneti del Rinascimento fecero edificare dimore di rappresentanza, presso cui sovrintendere al lavoro estivo nei campi. Colui che per primo ebbe il guizzo fu Andrea Palladio (Padova, 1508 – Maser, 1580), architetto ufficiale della Serenissima, a cui si deve l’invenzione della villa aperta come la conosciamo oggi. «Nel ‘500 non c’erano più le guerre che avevano caratterizzato il tempo precedente, il castello per difendersi non serviva più e la villa dava proprio l’idea di una struttura aperta al mondo e perfettamente integrata nel contesto naturalistico e paesaggistico circostante», spiega Tiziana Spinelli, segretaria della Fondazione La Rotonda, cui fa capo una delle ville più famose.

Villa La Rotonda

Venne eretta tra il 1560 e il 1565 e in realtà non si chiama così, bensì Villa Almerico Capra, come il cognome dei suoi primi proprietari: Paolo Almerico, il fondatore, e i marchesi Capra, a cui il figlio di Almerico vendette tutto dopo aver sperperato l’intero patrimonio di famiglia. L’appellativo più famoso lo deve alla forma circolare della cupola (e non solo di quella), che richiama chiaramente il Pantheon di Roma, di cui imita anche il buco alla sommità, ma anche il colle di San Sebastiano che la sovrasta. Tutto, per Palladio, doveva essere infatti armonioso e conforme alle regole e alla geometria, proprio come lo era stato per i greci e per i romani, da cui riprese anche le colonne e i timpani degli antichi templi. A sua volta, però, anche Palladio fu ripreso, addirittura esportato: la Casa Bianca con il lungo colonnato è ispirata proprio alle sue ville, così come il Campidoglio, sede del Congresso americano, che evoca le linee di La Rotonda. Fu il terzo presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson a prendere spunto dal Palladio per dare (anche) alla sua nazione una connotazione artistica, bella e culturale.

Oggi Villa La Rotonda appartiene ai conti Valmarana, che ogni tanto – beati! – trascorrono a palazzo i weekend. Curiosità: proprio come nel Rinascimento quando la villa era solo una dimora di rappresentanza, a La Rotonda il mobilio si scopre a metà marzo, «e a metà novembre si ricopre», racconta Tiziana Spinelli. Tra marzo e novembre, la struttura è aperta al pubblico tutti i venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18, e solo le visite guidate sono da prenotare.

Villa Valmarana “ai Nani”

È vicinissima a La Rotonda, ci si arriva attraversando la strada in pochi metri. Come suggerisce già il nome, anche questa appartiene ai conti Vismara e prende l’appellativo ai Nani per via delle statue di nani poste sul suo muro di cinta. Risale al Diciassettesimo secolo ed è opera dell’architetto Francesco Muttoni. Si narra che la figlia degli antichi proprietari, Layana, fosse nata piccolina e loro, per non farla sentire inferiore, decisero di costruirle attorno un mondo altrettanto piccolo, fatto di servitori ad altezza contenuta, barchesse mignon (ossia gli ambienti di servizio tipici di queste ville) e, appunto, nani di pietra. La storia fin qui è molto tenera, poi cambia registro e si trasforma in tragedia: la piccola s’innamora di un ragazzo alto, scopre che il mondo non è piccolo come lei e si toglie la vita. Sigh.

La Villa è formata da tre edifici – palazzina (1669), foresteria e scuderia (1720) – situati in un grande parco con giardino all’italiana e costruito in maniera perfettamente simmetrica. Qui, l’elemento di maggiore interesse è dato dagli affreschi di Giambattista e Giandomenico Tiepolo, chiamati nel 1757 dal proprietario Giustino Valmarana a decorare la palazzina e la foresteria. Villa Valmarana si può visitare tutte le domeniche alle 10:30 e alle 11:30 e, in questo caso, si consiglia di prenotare.

La Malcontenta

Torniamo a Palladio, che la progettò nel 1559, e ci troviamo a Mira, in provincia di Venezia. A rendere speciale questa villa, di proprietà dei Foscari di Venezia (che ne sono ancora oggi i custodi), è soprattutto il contesto naturale in cui si trova, proprio sulle rive del Naviglio del Brenta, che da Palladio fu perfettamente inglobato nella sua architettura. Prima di entrare, bisogna lasciare l’auto nel parcheggio del paese perché qui si arriva rigorosamente a piedi.

Una leggenda narra che la villa debba il soprannome di Malcontenta a una dama misteriosa di casa Foscari, che visse qui da sola per trenta lunghi anni, ma non venne mai vista uscire né affacciarsi dalle finestre. Più prosaicamente, è possibile che il nome derivi dall’espressione Brenta mal contenuta, dato che il fiume straripava spesso.

La villa è aperta tutti i fine settimana dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30.

Tour in e-bike

Se oltre a visitare queste ville meravigliose desiderate perdervi – per modo di dire – tra stradine e filari, perlopiù ciclabili e pianeggianti, prenotate un’e-bike presso l’agenzia Palladian Routes: ogni bici – ce ne sono a disposizione 120 – è dotata di un Gps integrato che vi guiderà lungo le tappe principali del vostro tour palladiano. A voi non resterà solo che pedalare.

Per dormire

Non sarà stata disegnata dal Palladio, ma è comunque una villa ricca di fascino e storia. Circondata dal verde, è vicina alle uscite dell’autostrada Vicenza Est e Vicenza Ovest ed è un ottima base per tour palladiani, ciclabili ed enogastronomici: La Locanda degli Ulivi, dimora storica del Settecento, ha soltanto 10 camere, e offre un’ospitalità autentica. Oltre che una bella vista sul lago di Fimon.

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