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Lo sfincione “del lapino”, la ricetta di Giusina in Cucina

La Cucina Italiana

dario palermo

La cucina di casa di Giusina in cucina

Il bello è sperimentare, e con questo libro si può fare, scoprendo anche un altro lato, più intimo, di un personaggio come Giusina, che da quattro anni entra nelle nostre case con il suo programma. «Desideravo molto fare un passo oltre con questo libro, raccontare che io non faccio solo cucina siciliana nella mia vita, e soprattutto che c’è una persona dietro a un personaggio. Ho deciso di mettere su carta la mia quotidianità culinaria con quelle ricette semplici da cui sono partita e che mi hanno consentito di diventare un volto noto, e di essere amata da tanti», racconta l’autrice.

«Ora la gente mi cerca, mi scrive, mi premia, ci sono mamme che mi raccontano di bambini che mi seguono. Per me è una gioia immensa, che mi è capitata per caso perché io ho studiato per seguire un altro percorso. Eppure eccomi qua, estremamente grata», conclude la conduttrice. Intanto è già pronta per la nuova stagione del programma, per lo speciale natalizio, la nuova edizione di Ci vediamo al bar, insieme a Paolo Briguglia, e un tour che toccherà l’Italia intera con le presentazioni del suo libro (a Bologna il 15 ottobre, Verona il 21, Roma il 25, e Taormina il 28). E quando ne parla, nonostante i mille impegni – è anche mamma di due gemelli di 7 anni e contemporaneamente ha un lavoro impegnativo nell’ambito della comunicazione – non le manca il sorriso.

Non siamo gli unici a notarlo. Antonino Cannavacciuolo, chef tre stelle Michelin e altro amato volto televisivo, nonché suo caro amico, lo ha perfino messo per iscritto nella prefazione del libro. «Questa sua gioia incommensurabile mi ha colpito subito, e la cosa più bella è che traspare in lei quando cucina. Percepisco che è innamorata di quello che fa e della sua amata Sicilia». Ed è anche questo – aggiungiamo noi – che ce la fa amare.

La ricetta dello sfincione «del lapino» di Giusina in Cucina

Ingredienti

  • 500 gr di farina 00
  • 500 gr di farina di rimacinato di grano duro
  • 10 g di lievito
  • 750 ml di acqua
  • Un cucchiaio di zucchero
  • 15 g di sale
  • 20 ml di olio evo

Per il condimento

  • 4 cipolle
  • 2 pomodori maturi
  • Olio evo
  • 3 cucchiai di estratto di pomodoro
  • Pangrattato
  • Caciocavallo grattugiato
  • origano

Procedimento

Per il condimento

  1. Tritate finemente la cipolla, quindi mettetela in una tegame con un filo d’olio e tre dita d’acqua e l’estratto di pomodoro.
  2. Fate cuocere per una trentina di minuti. Aggiustare di sale.

Per l’impasto:

  1. Sciogliete il lievito nell’acqua, unite lo zucchero aggiungete a poco a poco la farina. Impastate.
  2. Mettete l’olio e il sale. Dovete ottenere un impasto morbido e appiccicoso. 
  3. Fate lievitare un’oretta, quindi prendete dei pezzi di impasto e stendete a forma ovale su una teglia ben oleata. 
  4. Stendete un po’ del condimento sull’impasto, quindi mettete sopra delle fette di pomodoro e fate lievitare ancora un paio d’ore. 
  5. Infornate cospargendo di pangrattato, origano, olio evo e un po’ di caciocavallo grattugiato. Cuocete a 230 gradi per 10/15 minuti.

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Renato Bosco torna in tv con “Na Pizza”. Pronti a impastare?

La Cucina Italiana

«Stavolta sono persino più emozionato» confessa Renato Bosco alla vigilia della seconda edizione di Na Pizza, la trasmissione prodotta da Food Media Factory che torna dal 2 al 9 ottobre, dal lunedì al venerdì, alle 18.15, su Sky e in streaming su NOW. Sei nuove puntate in cui Renato Bosco, il “pizza-ricercatore” – che ha fatto scuola con le sue pizze contemporanee, digeribili, “supercrunch”, onnipresente nelle grandi guide con la sua omonima pizzeria di San Martino Buon Albergo (Verona) – ci guiderà alla scoperta della pizza contemporanea

Le novità di Na Pizza

«Si è alzata l’asticella, il progetto è di respiro ancora più ampio, avremmo nuovi ospiti d’eccellenza: con noi ci saranno Devis Lovatel e Pier Daniele Seu» annuncia Bosco, introducendo i nuovi compagni di viaggio che con lui ci racconteranno le grandi innovazioni in ambito tecnico e stilistico della pizza. Due avanguardisti: Lovatel per la pizza di montagna con un impasto sottile e croccante che valorizza i grandi prodotti delle Dolomiti, e Seu per la pizza territoriale e innovativa con impasti leggeri e condimenti originali.

Saranno al fianco di Bosco durante ogni puntata, e in ciascuna proporranno una propria ricetta che realizzeranno con lui a quattro mani. «È stato un confronto molto costruttivo per sapori e saperi. Pier Daniele Seu mi ha molto colpito per la ricerca sul territorio e mi ha trasmesso la passione per la frittura. Denis Lovatel mi ha spinto ad andare ancora più a fondo nella ricerca dei produttori, degli ingredienti, e la sua idea di applicare il foraging alla pizza è molto interessante» prosegue Bosco. In questa intervista ci racconta come sta cambiando il mondo della pizza, ma anche dei pizzaioli.

Intervista a Renato Bosco

La pizza sta diventando un grande banco di prova per i professionisti. Perché, secondo lei?
«Sicuramente negli ultimi vent’anni la figura del pizzaiolo è profondamente cambiata, ed è profondamente cambiato l’atteggiamento del pizzaiolo, che si è messo alla prova ascoltando i clienti. Per esempio per tanto tempo si è pensato che la pizza non fosse digeribile, e questo ha contribuito a rendere centrale il tema degli impasti e a lavorarci molto. Contemporaneamente hanno fatto tanto anche le scuole, formando nuovi professionisti sempre più preparati».

Com’è cambiata la pizza?
«Si è moltiplicata, non esiste più una sola pizza. La pizza napoletana resta la tradizione, il punto di partenza, poi però sono cambiate le forme della pizza, anche in base alle regioni. È il momento delle pizze territoriali».

Come si adegua la pizza contemporanea alle nuove esigenze e stili alimentari?
«Si lascia stimolare. Intolleranze e allergie che purtroppo riguardano sempre più persone per noi pizzaioli sono diventate un’opportunità di sperimentazione. Fino a qualche anno fa non si pensava di poter fare una pizza senza fiordilatte, mentre ora i prodotti senza lattosio, ma anche senza glutine, si sono moltiplicati, e offrono grandi opportunità di studio e lavoro».

Lei è stato tra i primi a sperimentare con gli impasti, ha scalato tante classifiche, e ora è sempre più spesso in tv. Come vive questo cambiamento?
«Lavorare in televisione mi ha fatto cambiare prospettiva, mi consentito di crescere anche perché ho dovuto imparare a delegare, ma senza mai perdere di vista l’obiettivo o cambiare la visione. Io vivo il mio ruolo con grande responsabilità: dover rappresentare la pizza è un grande orgoglio, sia dentro sia fuori la tv».

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Ci sono ingredienti che non cucina?
«Non cucinerò mai l’insalata, le interiora, i volatili: non ce la faccio. In generale cucino solo ciò che mi piace mangiare, con eccezioni tipo la carne rossa, che ai miei figli piace. Per il resto non mi pongo limiti. Claudio (Santamaria, il marito di Francesca Barra, ndr) mi invita sempre a provare qualche corso di alta cucina, ma non è la mia preferita: io sono per i piatti da trattoria».

Come prende per la gola suo marito?
«Gli piacciono molto i miei dolci, e questo è bizzarro perché io i dolci li mangio solo con la ricotta e prima di incontrarlo non li facevo nemmeno tanto spesso. Poi ama molto i cibi attraenti, tipo la pasta fatta in casa, le paste al forno, o in crosta. A lui lascio carbonara, gricia, amatriciana e tutte le paste tipiche di Roma, la sua città».

Nel libro affronta anche il tema delle pratiche sessuali con il cibo, come lo “sploshing”, che consiste nel ricoprire o ricoprirsi di sostanze appiccicose come cioccolata o panna, citando diversi studi di esperti americani sul tema. Crede sia così diffuso anche in Italia?
«Certo, non è stato inventato nulla di nuovo. Se ne parla poco perché parlare di eros e sesso è sempre un tabù. Anche per questo ho deciso di scattare una foto di copertina liberatoria. Dovremmo imparare a fare i conti con il fatto che non c’è niente di cui vergognarsi, che siamo assolutamente liberi. Nel caso specifico dello sploshing credo che molti abbiano semplicemente paura di raccontarlo, e non lo fanno anche perché in Italia abbiamo un rapporto con il cibo differente: la nostra tradizione ci insegna che il cibo non è un gioco». 

Cosa vorrebbe sapere sul cibo che non sa ancora?
«Non saprei, perché ogni volta che ho una curiosità la soddisfo, motivo per cui io – per quanto riguarda il cibo – spesso organizzo viaggi che partono dall’esperienza gastronomica. Si capisce moltissimo di una cultura attraverso ciò che porta in tavola. Solo una volta ho avuto difficoltà: in Finlandia, a casa di Lapponi che mi hanno offerto uno stufato di renna. L’odore era fortissimo, io poi non mangio carne, ma cosa fai in questi casi?»

Lei cosa ha fatto?
«Ho scambiato il mio piatto con le persone che erano con me e avevano già finito di mangiare, ma ne volevano ancora».

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