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Zuppa inglese con Nutella ®: la ricetta

Zuppa inglese con Nutella ®: la ricetta

Monoporzione e adatta a tutta la famiglia, la nostra zuppa inglese sfida i canoni della tradizione per trovare una nuova forma. Senza cambiare la sostanza

La zuppa inglese a Londra non l’hanno mai sentita nominare, ma in Emilia Romagna è il dolce più tipico ed insieme a tortellini e piadine fa parte dell’identità di un’intera ragione. La paternità se la contendono fra Ferrara e Firenze, dove o una tata inglese o un cuoco della famiglia Estense avrebbe riprodotto un trifle con quello che si ritrovava per le mani, ossia crema e biscotti. Se ne sono occupati sia l’Artusi che storici moderni senza venirne ancora a capo, segno che la cucina è frutto di influenze, di evoluzioni, di intuizioni, e che cercare “la prima versione” di storie così antiche è davvero difficile. Quello che importa è il risultato: la si mangia a casa e al ristorante e seppur non esista una “ricetta originale” codificata, tutti concorderebbero nel direi che è un dolce al cucchiaio a strati, di pan di Spagna (o savoiardi, poco importa), intervallati da crema pasticciera, crema al cioccolato, e impreziosita da un bel colore rosso. Il merito è dell’alchermes, tipico liquore italiano che colora tanti dolci tipici, ma che non piace a tutti ed esclude sempre i più piccoli dalla festa. Ecco perché la nostra versione prevede una riduzione di frutta – e ovviamente strati di cremosa Nutella® .

Per interpretare la zuppa inglese abbiamo scelto Catherine​ e​ Lorenzo, belga e bolognese di adozione lei, bolognese doc lui, perfetti interpreti di cosa significa tradizione oggi. Rezdora e figlio d’arte di una famiglia di sfogline, Lorenzo ha incontrato la futura moglie all’università e insieme hanno fatto evolvere il pastificio della nonna sino a renderlo una moderna attività di ristorazione con due sedi a Bologna e Casalecchio di Reno. Hanno trovato il modo per tramandare la tradizione della pasta fresca con un format contemporaneo, prima che questo sapere si perdesse per sempre e andando incontro alle nuove generazioni. Con noi hanno fatto la stessa cosa con la zuppa inglese.

Loro di solito la zuppa inglese la mangiano ogni Natale, ma la prepara il suocero (perché a Catherine proprio non piace farla): questa volta invece lei ha accettato la sfida e l’ha preparata per noi. Avrà battuto il maestro?

Zuppa inglese con Nutella ®

Per 10 bicchierini monoporzione da 100g

Per il pan di Spagna
2 uova grandi
30 g farina
30 g fecola patate
60 g zucchero
vaniglia1⁄2 baccello

Per la crema pasticciera
400g latte
100 g panna fresca
4 tuorli
25 g maizena
40 g zucchero
1 baccello vaniglia

Per la riduzione rossa
100 g acqua
80 g lamponi o polpa di arance
50 g zucchero
150 g Nutella® granella di nocciole q.b.

Procedimento
In un pentolino cuocere 100 g di acqua, lamponi e zucchero fino a che il frutto risulti ben appassito e cotto, filtrare e raffreddare – tenete da parte un paio di lamponi per la decorazione finale.
Versare le uova a temperatura ambiente. In una ciotola e sbatterle con le fruste mentre versate lo zucchero un po’ alla volta. Lavorare per una decina di minuti o finché il composto non diventa chiaro e spumoso.
Quindi sistemare un colino nella ciotola e versate al suo interno la farina e la fecola di patate. Incorporare le polveri all’impasto facendo movimenti delicati dal basso verso l’alto e assicurandovi che non restino residui sul fondo della ciotola. Versare l’impasto in uno stampo da 18 cm precedentemente imburrato e infarinato o su una teglia con carta forno, cuocere in forno preriscaldato, in modalità statica a 170°per 2025 min.

Per la crema versare latte e panna in un pentolino, estrarre i semi di vaniglia, tenendoli da parte dal baccello e versare quest’ultimo nel pentolino. Fare scaldare lasciando sfiorare il bollore. Intanto versare la polpa di vaniglia sui tuorli aggiungere lo zucchero, sbattere rapidamente e poi setacciare l’amido di mais. Mescolare e a questo punto latte e panna dovrebbero essere caldi, quindi scartare il baccello e versare un paio di mestolate nel composto di uova per diluirlo. Dopodiché riversare nel tegame e mescolare con una frusta mentre cuocete per qualche minuto. Non appena la crema si addensa potrete spegnere la fiamma.

Recuperate il pan di Spagna pronto e raffreddato, utilizzatene 70 g, tagliatelo con un coppa pasta della dimensione dei bicchieri che avete a disposizione, o in alternativa a fette verticali spesse 1 cm rifilando affinché i pezzi possano entrare in bicchieri da circa 150 ml di capienza. Spennellate il pan di Spagna su entrambi i lati e sui bordi con la bagna al lampone.

Iniziate ora a comporre la zuppa inglese alternando gli strati con la seguente sequenza dal basso: pan di Spagna, Nutella ®, crema, pan di Spagna, Nutella®, crema e per finire spolverata di granella di nocciole. Completate la zuppa inglese con l’aggiunta di un paio di lamponi freschi.

Credits:
Protagonisti: Catherine Vancaenegen e Lorenzo Scandellari
Casa di produzione: MIA production

Executive producer: Vanessa Valerio – Luca Caliri Regia: Alberto Cozzutto
Food stylist: Elisa Lanci

i frutti esotici coltivati a Bergamo. Ma non solo

i frutti esotici coltivati a Bergamo. Ma non solo

Lo sapevate che in realtà solo quattro frutti sono d’origine europea? Ecco perché il Tropico dei Colli ha iniziato a coltivare in Italia alcune varietà esotiche finora sconosciute

In provincia di Bergamo c’è un’azienda, Tropico dei Colli, che sta rivoluzionando il mondo dei frutti esotici in Italia. Infatti, se molti più frutti di quelli che pensiamo non sono originariamente europei, perché non provare a coltivare anche altre varietà, fino a qualche anno fa impensabili? Più o meno è così che è nata questa giovanissima azienda, che ha giustamente anche vinto diversi premi per l’innovazione del prodotto nel settore agroalimentare.

La nascita dell’azienda

Mirko Roberti nasce a Osio, in provincia di Bergamo, e fin da piccolo nutre una passione viscerale per le piante e in generale il mondo della natura. Per anni si dedica alla collezione di alcune varietà rare, poco conosciute in Europa, ma che secondo i suoi studi sarebbero potute crescere ugualmente. «Non vedevo l’ora di assaggiare i frutti che avevo piantato, di sentire come venivano in un territorio diverso». E da questi primi esperimenti (riusciti), capisce che cosa vuole fare nella vita: progettare parchi e giardini utilizzando piante esotiche, che sono più resistenti, necessitano di meno trattamenti e hanno una bella fioritura. Così si iscrive ad Architettura Ambientale al Politecnico di Milano ed è proprio durante questi viaggi da pendolare che conosce Giulia, studentessa di Agraria, che faceva lo stesso percorso per andare all’Università. I due scoprono subito di avere talmente tante cose in comune che nel giro di poco decidono di provare a coltivare frutti esotici e di aprire un’attività insieme: ecco come nasce il Tropico Dei Colli. «Alla fine non ho nemmeno finito gli studi», racconta Mirko, «perché mi sono buttato a capofitto in questa cosa». Il punto iniziale di tutto è stato la scoperta che ad avere un’origine europea sono in realtà pochi frutti, come prugne, ciliegie, castagne e alcuni piccoli frutti come ribes, lamponi e more (anche se sul tema ci sono opinioni contrastanti). Quindi se altri frutti non sono originariamente europei, ma fanno ormai parte della nostra alimentazione, e soprattutto cultura, perché non essere pionieri e iniziare a coltivare in Italia anche altre varietà? Dopo vari studi e tentativi, individuano alcuni frutti che crescono in luoghi dove il clima è molto simile al nostro. E nel 2015 piantano i loro primi frutti esotici su una superficie di circa due ettari sui Colli di Bergamo, senza l’utilizzo di alcun trattamento. Perché, alla fine, questi frutti ritenuti esotici finiscono per essere più sostenibili di molti ritenuti locali che consumiamo abitualmente, ma che in realtà subiscono trattamenti continui, con un impatto negativo sull’ambiente.

I frutti esotici del Tropico dei Colli

I frutti esotici piantati dal Tropico dei Colli sono principalmente tre. Uno è la feijoa, il frutto nazionale della Nuova Zelanda, molto diffuso anche in Georgia e Azerbaigian, così come in Sud America, sugli altopiani montani di Brasile, Uruguay e Argentina. Eppure Mirko aveva notato la sua presenza anche sul Lago di Garda e in Toscana, perché, ci spiega, «cresce dove cresce l’ulivo, con l’esigenza di un agrume, quindi è perfetto per il nostro territorio». Si tratta di un frutto molto profumato, che ricorda un po’ il lime e il limone, perfetto per cocktail, gelati e sorbetti. Poi c’è il kiwi arguta rosso, chiamato mini-kiwi, che si trova nell’estremo Oriente, in particolare in Corea e  nel nord della Cina. È caratterizzato da una buccia rossa che indica la maturazione, per cui è facile capire quando è il momento di iniziare la raccolta, di solito tra fine agosto e settembre. Inoltre, la sua buccia è talmente liscia e sottile che si mangia, infatti viene anche chiamato «il kiwi che non si sbuccia»; la polpa al suo interno, dolce e succosa, ricorda un po’ la ciliegia. E infine l’asimina, che si raccoglie nello stesso periodo, quando è molto cremosa e si può mangiare al cucchiaio nel pieno della sua maturazione. È un piccolo albero che ha origine negli Stati Uniti, in particolare sul bacino del Mississippi, dove attualmente lo stanno riscoprendo anche lì. Ma non finisce qui: «Stiamo lavorando su una produzione di mirtillo siberiano, diverso da quello classico, ma con un buon potenziale vista l’alta quantità di vitamine concentrate. Inoltre ha un sapore molto intenso, che ricorda un po’ un insieme di frutti selvatici, una vera esplosione di aromi in bocca». E la ragione del successo di questi frutti è proprio questa: oltre a essere prodotti localmente in modo sostenibile, sono prima di tutto e soprattutto gusti nuovibuoni da mangiare.

Dove, quando e come trovarli

Questi frutti ormai li trovate anche in altre regioni, perché nel tempo un numero sempre crescente di aziende agricole ha iniziato a informarsi, seguire le loro orme e coltivare questi frutti. Così, nel giro di pochi anni, Mirko e Giulia hanno capito che l’unione sarebbe stata la loro forza e hanno reso il Tropico dei Colli un marchio nazionale, a cui è possibile affiliarsi, tant’è che oggi hanno una rete di circa cinquanta realtà tra Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia Romagna. Come “azienda madre” Tropico dei Colli, si occupano di seguire passo per passo la gestione dell’impianto, scegliendo insieme i frutti più idonei al tipo di terreno, al territorio e al clima, fornendo tutto il necessario fino all’organizzazione della raccolta e al ritiro della merce. L’importante, sottolinea Mirko, è che continuino a essere fedeli alla filosofia d’origine, cioè a coltivare (in Italia) piccoli appezzamenti di frutti esotici, senza trattamenti che abbiano un impatto negativo sull’ambiente e che siano quindi il più biologici possibile. Inoltre, continua Mirko, «i nostri prodotti si trovano solo ed esclusivamente nel periodo di maturazione, che va da settembre a dicembre, perché è fondamentale mangiare frutti di stagione». Nel periodo giusto, quindi, li trovate sia online, che in vari mercati, basta seguirli sulle varie pagine social per sapere dove si trovano. Ma in realtà ci sono delle novità: Mirko sta portando avanti un’innovazione nell’azienda con la creazione di un sistema dati estremamente all’avanguardia, che renderà tutta la rete del Tropico dei Colli più unita e connessa, tanto nella gestione quanto in quello che continua a essere l’intento, ovvero produrre frutti esotici biologici in Italia.

Sayadieh: il piatto simbolo della Striscia di Gaza

Sayadieh: il piatto simbolo della Striscia di Gaza

Sulla Striscia di Gaza si prepara da sempre un piatto squisito a base di pesce locale, simbolo della tradizione marinara dei pescatori in Palestina

L’unica parte palestinese rimasta che si affaccia sul mare è la Striscia di Gaza. Qui c’è una grandissima tradizione marinara di pescatori, che nel tempo, per ovvi e noti motivi, si è sempre più indebolita. Ma quello che invece non si può cancellare o occupare è l’abitudine nelle case dei gazawi, gli abitanti di Gaza, di preparare il sayadieh, uno dei pochi piatti a base di pesce in Palestina, visto che si tratta di un paese prevalentemente agricolo e quindi di una cucina più a orientata su carne e verdure.

La tradizione marinara della Striscia di Gaza

La Striscia di Gaza, che prende il nome dalla sua città principale, è una regione costiera della Palestina che si affaccia sul mar Mediterraneo: 360 km² di superficie, confinanti con l’Egitto, e un’antica tradizione marinara legata alla pesca. Tradizione che negli anni, a causa dell’occupazione israeliana, è stata sempre più limitata. Com’è noto, infatti, Israele controlla qualsiasi movimento che entra o esce da Gaza (e in generale dalla Palestina); e il settore della pesca è solo uno dei tanti. Così i pescatori gazawi nel tempo sono diminuiti, anche perché le restrizioni di accesso al mare sono diventate sempre più rigide, fino al colpo finale dello scorso agosto, quando Israele ha chiuso del tutto l’area di pesca. Prima è stato bloccato il transito commerciale di Kerem Shalom, uno dei tre passaggi principali di Gaza verso Israele ed Egitto, impedendo l’attraversamento di qualsiasi bene, fatta eccezione per aiuti umanitari essenziali e carburante. Poi è stata ridotta l’area di pesca disponibile per i pescatori da 15 a 8 miglia nautiche di distanza; e infine è stato tutto interrotto, incluso il passaggio di carburante. E il mare non è l’unico problema che c’è con l’acqua in Palestina: basta trovarsi lì in un giorno di pioggia per accorgersi delle disastrose condizioni in cui riversano i sistemi di scarico. Eppure, questo non ha impedito ai gazawi di continuare a preparare il sayadieh, un piatto semplice e molto diffuso a base di pesce.

Che cos’è il sayadieh

Il sayadieh è il piatto simbolo della tradizione marinara di Gaza, quello preparato da sempre nelle case dei pescatori e, in generale, dei palestinesi che vivono in questo piccolo pezzo di costa che è loro rimasto. Si tratta della versione di mare del maqloubeh, visto che anche in questo caso, dopo aver cotto tutti gli ingredienti insieme, bisogna capovolgere la pentola di riso sul vassoio di portata. Nel sayadieh, però, al posto di carne e verdure, si utilizza il pesce fresco locale che c’è a disposizione, di solito bianco, come ad esempio merluzzo, nasello o coda di rospo. Come condimento, invece, non mancano mai una serie di spezie, tra cui lo zaatar, che in Palestina è considerata l’erba dell’anima. Il nome deriva da una varietà di timo che cresce selvatica nei campi, ma indica un insieme con sommacco, semi di sesamo e altre variabili a seconda del mix. Ma anche questa pianta è ormai a rischio estinzione, visto che Israele ha iniziato a vietare la raccolta. Per questo lo zaatar è diventato una sorta di simbolo di resistenza, l’emblema delle controversie e della resilienza. «Non ci piegherete mai, resisteremo a sale e zaatar», si dice. Infatti, è uno degli ingredienti più utilizzati nella cucina palestinese, soprattutto per marinare carni e pesci, proprio come nel sayadieh. Per questo, se decidete di preparare questo piatto a casa, non fatevi assolutamente mancare lo zaatar, anche perché ormai si trova praticamente ovunque.

La ricetta del sayadieh

Per preparare questo piatto, potete utilizzare qualsiasi pesce bianco e sodo. Per il riso, invece, è perfetto il ribe, ma anche il carnaroli; oppure, se preferite, potete usare anche il basmati. Qualcuno accompagna il sayadieh con una salsina a base di tahina, acqua, prezzemolo, limone e peperoncino, ma resta una variante a piacere. E, mi raccomando, come nel caso del maqloubeh, fate sempre molta attenzione al momento del rovesciamento del riso!

Ingredienti

1 kg di filetti pesce
1/2 kg riso
1 cipolla
2 pomodori
2 cucchiai di succo di limone
1 cucchiaio di cumino
1/2 cucchiaino di zenzero
½ cucchiaio di cannella
qb pepe nero
qb peperoncino
qb aglio
qb zaatar
qb sale
qb acqua
qb farina
qb bicchiere d’olio d’oliva

Procedimento

1. Mettete a bagno il pesce sfilettato e tagliato a pezzi con aglio, cumino, sale, limone e zaatar, per circa mezz’ora (più tempo sta, meglio è).
2. Fate un soffritto di cipolla tagliata a strisce; poi scolatela e lasciate l’olio in padella.
3. Impanate con la farina il pesce e friggetelo in quell’olio.
4. Nel frattempo sciacquate il riso con acqua calda in modo da togliere parte dell’amido, poi mettetelo in una pentola.
5. In una pentola grande mettete la cipolla precedentemente rosolata, i pomodori tagliati a fette e uno strato di pesce. Aggiungete il riso e fate cuocere a fuoco alto continuando ad aggiungere acqua bollente (alcuni usano anche il brodo) in quantità variabili a seconda della varietà di riso scelta.
6. Quando il riso è pronto, lasciatelo riposare. Poi rovesciate la pentola su un vassoio da portata, proprio come avevate fatto con il maqloubeh.
7. Decorate a piacere con pomodorini e prezzemolo, se volete accompagnate con la salsina di tahina e infine servite ai vostri ospiti. Vedrete come saranno contenti!

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