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Peperone Crusco, l’ortaggio dalle tinte infuocate

La Cucina Italiana

È il turno del Peperone Crusco. Non c’è Paese al mondo con tanta ricchezza e varietà di prodotti, naturali come li regala il territorio o lavorati da mani esperte in modi semplici, che sono antichi e insieme i più contemporanei. Prosegue il viaggio alla scoperta delle nostre bontà, da quelle più conosciute a quelle meno note lontano dalla zona di produzione.

Peperone Crusco

Sembrano parole ostiche, eppure rappresentano una delle bontà identitarie della Basilicata. Il dialettale źafaranë crušchë in italiano diventa peperone crusco. L’aggettivo (si riferisce all’effetto della lavorazione, non a una varietà botanica) forse deriva dal latino crustum che indicava il biscotto ricoperto da una crosta, quindi croccante. Se l’etimologia si perde nella notte dei tempi, invece l’origine della coltivazione del piccolo, rosso e lungo peperone a forma appuntita, tronca o a uncino risale al Seicento, quando a Senise, nell’attuale provincia di Potenza, arrivò dalle lontane Antille. Merito di Chanca di Siviglia, medico al seguito di Cristoforo Colombo.

La caratteristica principale è la dolcezza. Contenendo poca acqua e avendo buccia sottile è ideale per l’essiccazione. Che segue regole immutate da secoli, tutte rigorosamente eseguite a mano: piantato in febbraio-marzo, viene raccolto in piena estate quando i peperoni sono maturi e rossi. Nel giro di pochi giorni il peduncolo si ammorbidisce e diventa più facile insertare con ago e spago un peperone dopo l’altro creando quelle magnifiche collane (le serte, lunghe fino a due metri), successivamente esposte al sole, finché il colore non diventa rosso vinaccia. Solo dopo la frittura nell’olio extravergine di oliva lo strepitoso ortaggio conquista la qualifica di peperone crusco, riconosciuto come Pat (Prodotto agroalimentare tradizionale). 

Carta d’Identità

LA STORIA – La varietà di peperone da cui deriva è originaria delle Antille, dove fu scoperta durante le esplorazioni di Cristoforo Colombo. Si coltiva nell’area del Pollino dal Seicento. Quello di Senise è riconosciuto come Igp.

CARATTERISTICHE – Piccolo, lungo, dolce. Per diventare crusco, cioè croccante, viene essiccato e fritto. In vendita nelle tradizionali collane lunghe fino a due metri, singolarmente, oppure in polvere.

CONSERVAZIONE – Dura a lungo in luogo fresco e asciutto (se fresco in frigo per una decina di giorni). Dopo l’essiccazione il peduncolo resta ben attaccato alla bacca (a differenza di altre varietà).

USO – Come antipasto insieme con formaggi e salumi, in composte per completare arrosti e grigliate. Sul baccalà e nelle zuppe. In polvere, come una spezia, per dare sapore e colore ai salumi.

Filetti di alici, fino in fondo nel sapore. Storia e ricette

Filetti di alici, fino in fondo nel sapore. Storia e ricette

È il turno dei filetti di alici. Non c’è Paese al mondo con tanta ricchezza e varietà di prodotti, naturali come li regala il territorio o lavorati da mani esperte in modi semplici, che sono antichi e insieme i più contemporanei. Prosegue il viaggio alla scoperta delle nostre bontà, da quelle più conosciute a quelle meno note lontano dalla zona di produzione.
Filetti di alici: una sapidità concentrata e ricca di sfumature, che diventa speciale grazie al carattere dei mari italiani e alla qualità delle lavorazioni.

Filetti di alici

Le più pregiate sono quelle del mar Cantabrico, le più economiche arrivano dal Marocco, ma solo in Italia troviamo l’alta qualità diffusa e i prodotti artigianali più ricercati, anche se si tratta delle popolari acciughe (peraltro ricchissime di antiossidanti, proteine e vitamine). La pesca va da marzo a ottobre e si pratica nell’Adriatico, dove le acciughe sono delicate e quasi prive di grasso; nel Tirreno, in cui hanno carni più sode, e nel Canale di Sicilia, le cui correnti garantiscono grandi ricambi d’acqua e di sostanze nutritive. Costante è l’attenzione alla pesca sostenibile fatta con l’antico metodo a lampara (lampada) e cianciolo (rete da circuizione) o usando la menaica, barca attrezzata di rete a maglie larghe per trattenere solo le alici grandi, lasciando scappare le piccole. Nel giro di poche ore dal termine del lavoro degli uomini in mare, sono poi prevalentemente le donne impiegate nelle industrie a confezionare i filetti ben ordinati, dopo aver provveduto alla scapatura manuale (l’eliminazione di testa e visceri) e fatto «maturare» la carne nelle vasche in salamoia. A quel punto, serve ancora la stessa cura per dissalare parzialmente il pesce, ripulirlo dalle squame e sfilettarlo. Infine, in vasetti di vetro o in piccole confezioni di latta, sotto sale, sott’olio, aromatizzate, trasformate in colatura, da pesce definito povero, ecco le alici diventare un’eccellenza gastronomica

Filetti di alici: carta d’identità

STORIA – Le alici venivano conservate già ai tempi dei Greci e dei Romani, che ne ricavavano anche una salsa, il garum, facendole fermentare sotto sale insieme con i visceri.

NOME – Alice o acciuga? Non c’è differenza: il piccolo pesce azzurro della specie Engraulis encrasicolus si può chiamare in tutti e due i modi. L’uso però definisce «acciuga» il pesce fresco o sotto sale, e «alice» quello ridotto in filetti, in genere sott’olio.

DENOMINAZIONI – Sono Igp le acciughe sotto sale del mar Ligure, Dop la colatura di alici di Cetara, un condimento tipico del Salernitano.

SCELTA E CONSERVAZIONE – In vetro o in scatolette, scegliete sempre filetti interi. Che sia sotto sale o sott’olio, il pesce raggiunge la piena bontà dopo due mesi dal confezionamento. Si conserva in ambienti freschi (non in frigo).

TRADIZIONI – L’acciugata con capperi, burro e olio è una salsa toscana per i bolliti; le acciughe al verde sono un antipasto piemontese preparato con prezzemolo, aglio e olio di oliva.

10 ricette con le alici

Soave, assaggi di storia per l’ora dell’aperitivo

La Cucina Italiana

È il turno del Soave. Non c’è Paese al mondo con tanta ricchezza e varietà di prodotti, naturali come li regala il territorio o lavorati da mani esperte in modi semplici, che sono antichi e insieme i più contemporanei. Prosegue il viaggio alla scoperta delle nostre bontà, da quelle più conosciute a quelle meno note lontano dalla zona di produzione. Per il vino la stagione chiama la mineralità del Soave.

Il Soave

Il Soave è tra i più importanti bianchi del nostro Paese per la sua storia e per i particolari terreni in cui nasce (in parte vulcanici), tanto che già nel 1816 il Catasto napoleonico ne elenca per la prima volta ufficialmente i vigneti e, nel 1931, con Regio Decreto, il Soave diventa zona vinicola riconosciuta e primo «Vino bianco tipico italiano». Occorre aspettare il 1968 per la Doc, mentre nel 1998 il Recioto ottiene la Docg: è la prima della regione Veneto. L’area di produzione si estende per 6300 ettari, in 13 Comuni a est della città di Verona, e l’area storica, nota come Soave Classico, si caratterizza per le sue particolari colline e valli, formatesi oltre 90 milioni di anni fa. Elementi caratteristici del paesaggio sono la forma di allevamento a pergola veronese, che protegge le uve in caso di siccità e di grandine, i muretti a secco e i terrazzamenti, dove la coltura della vite è affiancata a quella dell’olivo, e le tante aree boschive, che garantiscono un’importante biodiversità. Queste peculiarità hanno fatto sì che, nel 2016, il Soave sia stato il primo comprensorio vitivinicolo italiano a essere inserito nel Registro nazionale dei Paesaggi rurali di interesse storico e nel 2018 l’area sia stata riconosciuta come Patrimonio agricolo di rilevanza mondiale. La produzione oggi si attesta su circa 50 milioni di bottiglie all’anno, suddivise tra i bianchi secchi Soave, Soave Colli Scaligeri, Soave Classico, Soave Superiore e Soave Superiore Classico, e i passiti, Recioto di Soave e Recioto di Soave Classico. 

Carta d’Identità del Soave

VITIGNI – Almeno il 70% di garganega, cui si può aggiungere fino al 30% di trebbiano di Soave o di chardonnay.

CARATTERISTICHE – È un bianco delicato, elegante, con un finale minerale in grado di sfidare molto bene il tempo.

TEMPERATURA DI SERVIZIO – Sugli 8 °C per i vini più giovani, sui 10‐12 °C per quelli invecchiati o più importanti. Servite il Recioto di Soave a 12‐14 °C.

ABBINAMENTI – Le bottiglie giovani sono perfette come aperitivo, con formaggi freschi e preparazioni vegetariane; a tavola accompagnano le zuppe e i risotti con verdure. Le tipologie Superiore o i vini con qualche anno di affinamento sposano le ricette di pesce, anche di lago, le carni bianche con condimenti delicati e il sushi. La tradizione li vuole in abbinamento con la sopressa. Il Recioto accompagna la pasticceria secca, le crostate, i lievitati, i formaggi erborinati.

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