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Ossibuchi alla milanese – Ricetta di Misya

Ossibuchi alla milanese - Ricetta di Misya

Innanzitutto mondate la cipolla, tagliatela a rondelle sottili e fatela dorare con olio abbondante in una padella antiaderente.

Sfumate con metà del vino e continuate la cottura a fiamma media per circa 10 minuti, in modo da farle ammorbidire.

Infarinate per bene gli ossibuchi con la farina condita con sale e pepe.

Togliete le cipolle dalla padella e tenetele da parte, aggiungete dell’altro olio, fateci sciogliere dentro il burro e rosolate la carne da entrambi i lati, 4-5 minuti il primo lato e 2-3 minuti il secondo.
Sfumate con il vino rimasto e, una volta evaporato, aggiungete il brodo e le cipolle, coprite con coperchio e lasciate cuocere per 35 minuti a fiamma medio-bassa.
Dopo 35 minuti girate gli ossibuchi, coprite nuovamente con coperchio e fate cuocere per altri 25 minuti.

Nel frattempo mondate e tritate aglio e prezzemolo.

Spegnete la fiamma, aggiungete il trito e aglio e prezzemolo e mescolate brevemente per insaporire, infine aggiustate di sale e aggiungete anche la buccia di limone.

Gli ossibuchi alla milanese sono pronti, serviteli ben caldi.

La milanese della nonna | La Cucina Italiana

La Cucina Italiana

Noi le abbiamo sempre chiamate bistecche impanate: perché la milanese, quella classica, di vitello e con l’osso, non la si faceva quasi mai, in famiglia. Soprattutto mia nonna non la faceva mai. Nata nel 1910, aveva vissuto tutte le difficoltà della guerra, con una famiglia da nutrire, nonostante le ristrettezze. E anche molti anni dopo,  in tempi più sereni, l’attitudine al risparmio era rimasta radicata saldamente in lei. Quando noi nipoti andavamo a trovarla per pranzo, ci preparava sempre piatti che considerava di festa: la bistecca impanata era tra quelli, insieme a un altro grande classico, il risotto alla milanese (semplice, senza ossobuco). Com’erano, quindi, le sue bistecche impanate? Fettine di carne, quasi sempre fesa di vitello, quella delle scaloppine, per intenderci, impanate e poi fritte in padella. Le batteva con il batticarne, per renderle più grandi (eh… anche l’occhio voleva la sua parte!), le passava nelle uova sbattute con il sale, infine nel pangrattato. Poi finivano in padella, dove bastavano pochi minuti per cuocerle, nell’olio misto a poco burro. Ma non finiva qui! 

Le mele, per non sprecare

Quasi sempre avanzava un po’ di uovo sbattuto e del pangrattato ormai “sporco” di uovo, e quindi non recuperabile. Ecco entrare in scena le mele, allora, da trasformare in irresistibili frittelle. Sbucciate, detorsolate e tagliate in fettine tonde, con il buco in mezzo. Le passava nell’uovo (salato) e poi nel pangrattato e le cuoceva proprio come le bistecche. Le adoravo, addirittura le preferivo alla carne che lei considerava più preziosa. Le rubavo appena fritte, per gustarmele ancora calde, prima ancora di mangiare la bistecca: mi piaceva moltissimo il contrasto tra la dolcezza delle mele e il gusto salato della panatura. Ecco come mia nonna riusciva a preparare una milanese speciale e delle frittelle croccantine, per non sprecare proprio neanche un po’ di uovo e nemmeno una briciola di pane. 

La milanese della nonna, la ricetta

Ingredienti per 4 persone

4 fettine di vitello
2 uova
2 bicchieri di pangrattato
2 mele
olio extravergine di oliva
burro, sale

Procedimento

Ripulite le fettine di vitello da eventuale grasso in eccesso, quindi battetele con il batticarne per assottigliarle. Se diventano troppo grandi, tagliatele a metà, anche per friggerle con più agio.
Sbattete due uova con una forchetta, in un piatto fondo, e salatele. Se volete, aggiungete anche una macinata di pepe. Versate anche il pangrattato in un vassoietto. 
Passate le bistecche nell’uovo sbattuto, poi nel pangrattato, premendo bene con le mani, in modo che la panatura aderisca bene alla carne.
Friggete poi le bistecche in una larga padella, abbastanza grande da non dover sovrapporre le bistecche: basteranno 1-2 minuti per lato, essendo molto sottili. Regolatevi secondo la padella e la forza del fuoco e cuocete finché non diventano dorate
Appoggiate le bistecche su carta da cucina.
Sbucciate le mele, detorsolatele con l’apposito detorsolatore (se non ce l’avete, tagliatele a fette, poi eliminate il centro con i noccioli e il torsolo utilizzando un coltellino. 
Passatele nell’uovo e nel pangrattato, quindi friggetele nella padella, rinnovando olio e burro
Appoggiate anch’esse su carta da cucina. Salate leggermente carne e mele e servitele.

Dal Milanese: il ritorno della cucina meneghina, con un tocco nuovo

Dal Milanese: il ritorno della cucina meneghina, con un tocco nuovo

Un segnale importante per il nuovo corso: una trattoria-bottiglieria che vuole rilanciare i piatti della storia cittadina, in un ambiente informale e curato. Un format ambizioso, firmato da Luca Guelfi, da sempre anticipatore di tendenze

Non parliamo di rinascita o di ripartenza, soprattutto a Milano. Parliamo di nuovi locali, che nella capitale del food italiano saranno fondamentali per riprendere il filo interrotto un anno fa e che ha avuto qualche buon sprazzo tra una chiusura e l’altra. Tra queste novità, in marzo, ci sarà Dal Milanese, che merita un approfondimento per varie ragioni. La prima: è l’ennesima idea di Luca Guelfi, uno dei più bravi imprenditori del food & drink italiani. Ha iniziato nel 1994 – a 23 anni – con Julien, aprendo successivamente una ventina di locali tra Milano e il mondo. Spaziando tra ostriche, tapas e piatti vietnamiti. In location mai banali, molto amate da un pubblico etichettato (malamente) come superficiale o incompetente, ma in realtà con la voglia di stare bene, mangiando “in scioltezza” e in ambienti molto curati. Guelfi è uno che anticipa le tendenze, conosce benissimo i gusti del pubblico e colpisce sempre nel segno: ecco perché è interessante l’imminente apertura della nuova trattoria-bottiglieria, all’angolo tra via Archimede e viale Premuda. Non è solo un luogo, ma un segnale.

Un format esportabile

«È un’idea che mi è venuta durante l’anno più complicato della mia avventura imprenditoriale, con i locali chiusi, che spero di riaprire ovviamente, e la creazione di una dark kitchen», racconta Guelfi. «Ho pensato non solo in chiave imprenditoriale, ma anche in omaggio alla mia città. Milano ha dato tantissimo a me e a migliaia di persone: è ora che ci impegniamo per farla tornare come era e forse ancora meglio. Dal Milanese è il mio primo locale di cucina tradizionale e, se funzionerà, il mio sogno è quello di esportare il format all’estero. In tutto il mondo il brand Milano è visto con ammirazione e la nostra cucina è una delle migliori in Italia, quindi del mondo. Prima tappa Los Angeles». Ed ecco Dal Milanese, aperto dalla mattina sino a notte. Perché oltre al pranzo e alla cena – nello stile delle vecchie bottiglierie – sarà pronto per un aperitivo con i mondeghili, una merenda “rinforzata” o un calice di vino (lombardo, sia chiaro) prima di andare a dormire.

Menu a due facce

Una sessantina di coperti tra interno e dehors, arredi originali (in parte degli anni Venti, perché il negozio di panetteria ristrutturato era del 1927), ma niente foto in bianco e nero del Duomo o dei Navigli. «La mia Milano è quella che ho sentito raccontare e che vissuto a partire dagli anni Ottanta, con richiami alla tradizione, ma non folclore o banalità. Poca scenografia, grande accoglienza, un prezzo medio tra 30 e 40 euro. E una grande informalità: se c’è una cosa in questo disastro che abbiamo imparato è il bisogno di stare bene, nei locali di qualsiasi tipologia. Lavorando bene, ma senza prendersi troppo sul serio» Il menu? A parte i taglieri di salumi e formaggi (rigorosamente lombardi), c’è una doppia visione: da un lato i classici della cucina milanese, in versione integralista. Dall’altro una sezione “moderna” con piatti comunque riferibili al territorio quali i fiori di zucca fritti al ripieno di gorgonzola o gli asparagi bianchi di Civalegna con uova strapazzate.

Risotti e bolliti

«Il fiore all’occhiello saranno le sette preparazioni a base di riso, da ordinare per almeno due commensali e portate nel tegamino di rame in stile paella. Poi voglio far tornare il piacere del servizio al tavolo con il carrello dei bolliti e la preparazione della “tartara” al momento», sottolinea Guelfi che si sta divertendo un sacco a girare la regione per trovare i fornitori giusti. Del resto è la prima volta nella sua intensa carriera che si cimenta su un format di tradizione, per quanto con aspirazioni internazionali. E lancia un messaggio di ottimismo. «Quando tutto tornerà davvero normale, i locali saranno pieni sette giorni su sette. Pranzo e cena. Un’invasione. Bisogna farsi trovare pronti. Tutti hanno immensamente voglia di uscire, abbracciarsi, uscire fuori casa e non avere più paura di stare vicini. I prossimi anni saranno bellissimi, soprattutto a Milano». Sì, andra così.

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