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Che differenza c’è tra una, due e tre stelle Michelin

Che differenza c’è tra una, due e tre stelle Michelin

Per un ristorante non c’è riconoscimento maggiore di quello assegnato dalla prestigiosa stella Michelin. Ma qual è la differenza tra una, due e tre stelle?

L’assegnazione della prestigiosa stella della Guida Michelin è il massimo riconoscimento che un ristorante possa ottenere. Questa storica guida rappresenta, infatti, un fondamentale punto di riferimento per chi è in cerca dell’eccellenza nell’ambito della ristorazione, nonché un ambizioso obiettivo che molti chef nel mondo bramano di raggiungere o di incrementare. Ottenere o perdere una stella può realmente decretare le sorti di un ristorante, nonché una grande responsabilità.

Partendo dalla storia di questo segno distintivo di qualità culinaria riconosciuto a livello internazionale, andiamo allora a scoprire in cosa consiste il processo valutativo, in base a quali criteri vengono stabiliti questi riconoscimenti e soprattutto quale sia la differenza tra una o più stelle Michelin.

La Guida e le stelle Michelin, un po’ di storia

La raffinata Guida Michelin aveva un aspetto decisamente diverso quando venne lanciata nel 1900 dalla nota società di pneumatici; all’epoca, infatti, venne creata come supporto cartaceo per gli automobilisti francesi per trovare, tra le altre cose, posti decenti in cui alloggiare e mangiare mentre erano in viaggio. Il manuale arriva in Italia nel 1956, mentre le prime stelle nazionali compaiono nel 1959.
All’inizio i ristoranti italiani con una stella erano solamente 81, mentre nell’edizione numero 64 del 2019 sono ben 367, su i quasi 3000 in tutto il mondo. Da sempre, per l’assegnazione delle stelle e la valutazione dei ristoranti, la Michelin ricorre alle temute visite anonime degli ispettori, esperti di cucina, catering e ospitalità.

Criteri di classificazione: stelle e forchette

Non ci è dato da sapere esattamente cosa cercano e cosa valutano gli ispettori, ma la Michelin afferma di osservare cinque criteri basilari nel giudizio:

1) Qualità dei prodotti
2) Padronanza di sapori e tecniche di cottura
3) La personalità dello chef
4) Rapporto qualità-prezzo
5) Coerenza tra le visite

Il sistema “stellare” è inoltre affiancato a un meno noto, seppur importante, metro di giudizio, ovvero quello rappresentato con una forchetta.
Con questo simbolo, che va da 1 a 5, vengono infatti valutati il servizio, l’ambiente, il comfort, gli arredi, la carta dei vini, ovvero, in poche parole, la qualità dell’esperienza fornita; la Michelin ha precisato, quindi, che tutti questi fattori non vengono considerati nella premiazione con le stelle.

Differenza tra 1, 2 e 3 stelle

Veniamo allora a un aspetto cruciale per la ristorazione e per la clientela, ovvero il significato delle stelle Michelin.
Con una stella si indica una cucina di alta qualità in cui si avverte la mano dello chef, il ristorante merita una sosta. Due stelle premiano una cucina eccellente e di alto livello in cui si avverte chiaramente il tocco personale e la bravura dello chef, in questo caso il ristorante merita una deviazione. Tre stelle simboleggiano, infine, una cucina eccezionale e dettagli impeccabili, che merita un viaggio speciale.

Per quanto una stella sia un grande traguardo per uno chef, la Michelin ci tiene a precisare che i premi sono soprattutto pensati per essere a beneficio dei consumatori piuttosto che dei cuochi. Inoltre, nel 1997, la guida ha introdotto un premio chiamato “Bib Gourmand” che descrive come “non proprio una stella” ma un cenno di approvazione per tutte le “strutture amichevoli che servono buon cibo a prezzi moderati”. Tuttavia, questo non significa che un ristorante debba essere costoso per vincere una stella Michelin, basti pensare al famoso piatto stellato di Singapore (pollo alla salsa di soia con riso o noodle) che costa meno di 2 euro.

Foto: Dolce del ristorante stellato Vertig’O a Genova_Wikimedia Commons_Hotel de la Paix Genève  

Ricetta Risotto con robiola di capra e salamella

Ricetta Risotto con robiola di capra e salamella
  • 300 g salamella
  • 300 g riso Carnaroli
  • 120 g robiola di capra
  • carota
  • sedano
  • cipolla
  • vino rosso
  • vino bianco secco
  • pelati
  • brodo vegetale
  • alloro
  • zucchero
  • olio extravergine di oliva
  • sale

Per la ricetta del risotto con robiola di capra e salamella, sgranate la salamella e rosolatela in casseruola in un velo di olio per 8-10′ a fiamma media. Scolate poi il grasso, aggiungete un nuovo filo di olio, mezza carota, mezzo gambo di sedano e mezza cipolla ridotti a dadini di mm 2 (brunoise) e, dopo qualche istante, un bicchiere di vino rosso.
Cuocete per 10-12′, fino a quando il sugo si sarà quasi “caramellizzato”, quindi unite 3 mestoli di brodo, un pizzico di zucchero, 2 cucchiai di pelati sminuzzati, correggete di sale, se serve, e proseguite la cottura per altri 25′ (sugo di salamella). Soffriggete mezza cipolla tritata in casseruola con un velo di olio e una foglia di alloro per 2-3′, tostatevi poi il riso per 1′, sfumatelo con g 100 di vino bianco e portatelo a cottura in 18-20′ con g 750 circa di brodo. A fine cottura, mantecate il risotto con la robiola tagliata a dadini e servitelo subito con il sugo di salamella.

» Pandorini – Ricetta Pandorini di Misya

Pandorini

La sera prima preparate il mix aromatico mettendo in una ciotola la buccia grattugiata dell’arancia, il miele, la vaniglia e il rum. Mescolate fino ad ottenere un composto omogeneo, coprite la ciotola con la pellicola e fate riposare per circa 8 ore .


Preparate ora il lievitino mettendo in una ciotola la farina con l’acqua, il miele ed il lievito e lavorate nell’impastatrice mettendo la foglia fino ad ottenere una pastella. Coprite la ciotola con la pellicola e fate lievitare per circa 2 ore.


Quando la pastella sarà raddoppiata di volume, potete procedere con l’impasto.
Versate nella ciotola dell’impastatrice, dove c’è la pastella, la farina, lo zucchero, il latte e il mix aromatico. Mettete il gancio e iniziate a lavorare l’impasto a velocità bassa.
Fate amalgamare poi aggiungete l’uovo, e lavorate fino a far quasi incordare l’impasto.
Unite quindi il cioccolato bianco fuso ma freddo.

Poi, man mano, unite all’impasto il burro a cubetti ed il sale.

Di tanto in tanto spegnete la planetaria, per farla raffreddare, rovesciate l’impasto su un piano, poi riprendete a lavorare

Dovrete lavorare l’impasto per circa 30 minuti o fino ad ottenere la classica velatura.

Pirlate ora l’impasto portando con le mani verso il vostro ventre la palla, in modo che risulti perfettamente liscia in superficie.
Mettete l’impasto in una ciotola, coprite con la pellicola e fate lievitare in forno spento con la luce accesa per circa 4 ore o fino a che l’impasto non sarà triplicato.


Poggiate ora l’impasto su un piano e cercando di non schiacciare le bolle di lievitazione all’interno, prelevate dei pezzetti di impasto e formate delle palline di 50 gr ciascuna.
Mettete le palline ottenute con la superficie più liscia verso la base degli stampi per pandorini ben imburrati.
Coprite lo stampo con la pellicola e fate lievitare fino a quando i pandorini non escano fuori dagli stampini, ci vorranno circa 4 ore.


Cuocete nella parte media del forno a 175° per 20/25 minuti circa.
Sfornate i vostri pandorini e toglieteli dagli stampini, quindi lasciateli intiepidire

Ricopriteli con lo zucchero a velo e servite i vostri pandorini. In alternativa, metteteli subito in una busta di plastica per alimenti e sigillate bene il tutto.

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