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Cos’è il vino cotto delle Marche

Cos'è il vino cotto delle Marche

Il vino cotto è dolce e suadente, perfetto per accompagnare dolci e castagne. Una preparazione rurale, tramandata nelle famiglie contadine e dal forte valore simbolico, che oggi rivive grazie al lavoro di venti cantine dopo un lungo periodo di clandestinità

Una delle tradizioni più antiche e ataviche della campagna marchigiana: il vino cotto. Immaginate un grande calderone di rame adagiato su un fuoco di legna dove sobbolle un mosto d’uva fresco. Si tratta forse di uno dei prodotti meno conosciuti a livello nazionale, anche perché il vino cotto è una preparazione rurale, iper locale, tramandata nelle famiglie contadine e dal forte valore simbolico. L’usanza di bollire il mosto risale all’epoca dei Piceni, la popolazione che abitava il centro sud delle Marche già da prima dei romani, e proprio in questo areale, la tradizione di cuocere il mosto d’uva si è protratta fino ai giorni nostri. Il vino cotto è la bandiera del piccolo comune di Loro Piceno, in provincia di Macerata. Qui ad agosto si tiene da anni una festa che ripercorre l’antica tradizione. Ma la stessa usanza vale anche in alcune cittadine della provincia di Fermo e Ascoli Piceno e, pur con modalità diverse, in Abruzzo, nella provincia di Teramo.

Vino cotto e sapa: dolci simboli atavici della campagna marchigiana

A vari livelli di riduzione del mosto tramite bollitura corrispondono prodotti diversi. Da una parte c’è la sapa, il sostituto rurale dello zucchero: denso sciroppo che deriva dalla riduzione di tre quarti del mosto bollito e che si usa nella preparazione di dolci o per condire la polenta. Il vino cotto, invece, rimane un vino a tutti gli effetti. Durante l’ebollizione viene schiumato di frequente, si eliminano le impurità e a fine cottura viene travasato in piccole botti di legni vari. L’aroma e il vigore aumentano con il tempo. Quello che più racconta il calore di questo vino è il colore ambrato (si chiama “occhio di gallo”). Il sapore è dolce e in campagna serviva come carburante per i lavori più difficili e pesanti. A livello simbolico basti pensare ai riti che lo vedevano protagonista. Durante la cottura infatti venivano spenti nel mosto bollente dei tizzoni ardenti di legno di quercia, o dei ferri infuocati, come a infondere la forza nel nettare. Gli arti dei neonati venivano “unti” con del vino cotto per donare loro forza, come pure valeva l’usanza di riempire una botte di vino cotto in occasione di una nascita. Dote preziosa di vino, che sarebbe stato conservato fino al giorno delle nozze dello stesso figlio. Veniva inoltre somministrato ai buoi per dargli vigore e usato contro le malattie più comuni come il raffreddore, attraverso i suoi fumenti.

Lavorazione del vino cotto nelle Marche.
Lavorazione del vino cotto nelle Marche.

La storia del vino cotto

Si produceva già nel Cinquecento, come documentato dal farmacista Andrea Bacci, umanista, medico e naturalista marchigiano, che in epoca rinascimentale riprendendo fonti antiche parla e descrive il vino cotto marchigiano. Ma come si fa? Il mosto viene concentrato sul fuoco in calderoni di rame e si riduce di un terzo o, addirittura, fino alla metà. Nelle Marche, almeno, fino a due secoli fa, la viticoltura è sempre stata residuale e relegata alla sussistenza dell’agricoltore. I filari contornavano i bordi dei campi e, specie nel centro e nel sud della regione, i vitigni presenti non erano reputati come particolarmente pregiati. Spesso, dunque, accadeva che l’uva non arrivasse a piena maturazione e il vino non raggiungesse il minimo dei dieci gradi alcolici. Per valorizzare queste uve e renderle alimento calorico, il mosto viene dunque cotto, lasciato raffreddare e messo in botti di legno di rovere (in passato botti di castagno). A questo punto si aggiunge mosto crudo, per far ripartire la fermentazione che dura circa due settimane e che tornerà a rifermentare di nuovo durante la stagione estiva. Dopo un anno sarà pronto, ma il vino cotto più buono è quello più vecchio. La soglia minima per un buon prodotto è di cinque anni, anche se i più pregiati restano nel legno fino a 40 o 50 anni.

Clandestino. Come il mistrà

Nel 1962 una normativa prescriveva che il vino cotto dovesse essere prodotto separatamente dal vino comune. Quindi, dovendo scegliere, le aziende vinicole locali abbandonarono questa produzione. Ma un prodotto di così lunga tradizione continuò a vivere clandestinamente nelle campagne, così come avveniva da secoli. Un po’ la stessa sorte che ha investito il mistrà, distillato marchigiano di vinacce aromatizzato all’anice. La situazione è durata fino all’agosto del 2015 quando fu abrogata questa norma e alcuni produttori hanno ripreso a produrlo e addirittura a esportarlo, tanto che oggi è elencato a pieno titolo tra le produzioni tipiche della Regione Marche.

Lavorazione del vino cotto nelle Marche.
Lavorazione del vino cotto nelle Marche, cantina Castrum Morisci.

I produttori del vino cotto

Attualmente sono almeno venti le aziende che lo fanno. Chi ne ha fatto una bandiera è la cantina Il Lorese. Cristian Ercoli e Simone Forti utilizzano il metodo originale, cuocendo il mosto in grandi calderoni di rame adagiato su fuoco vivo di legna senza alcuna camera d’aria. Per non far disperdere le particelle di rame, fin quando il mosto non bolle viene messa una verga di ferro che per elettrolisi attira le micro particelle di rame.
Non esistendo un vero e proprio disciplinare di produzione, ogni cantina ha il proprio metodo produttivo. Il Lorese ne lancia sul mercato circa 6mila bottiglie all’anno. Ogni botte ha un sapore, ogni produttore un timbro. La cantina ne produce sette diverse etichette: “Il Lorese”, invecchiato 5-8 anni, metodo Soleras, cioè un blend di diverse annate, fino ad arrivare al “Decimo” e al “Varco 41” (vino cotto di una singola botte). Poi c’è il “Cerrone 70”, una riserva speciale (ne vengono vendute soltanto 20 bottiglie all’anno). Dentro c’è il vino cotto dell’annata 1970, con aggiunta di rimbocco del 2004 e imbottigliato nell’anno in corso.

Altro produttore è la cantina Castrum Morisci di Luca Renzi e David Pettinari a Moresco (FM). Sotto l’etichetta “Focagno”, oltre ad alimentare il mercato locale, il vino cotto raggiunge anche gli Usa, l’Australia, la Svizzera e l’Europa dell’Est. L’azienda lo lavora con uve miste: passerina, sangiovese e malvasia. Secondo la tradizione, infatti, viene fatto con uve bianche e rosse mescolate, per un prezzo che va dai 10 ai 20 euro per bottiglia da mezzo litro. La cottura avviene in calderoni di acciaio.

Il gusto del vino cotto e come abbinarlo

Ma come si riconosce un buon vino cotto? Il colore va dal marrone ambrato al marrone vivo e si definisce color “occhio di gallo”. All’olfatto prevalgono i sentori di frutta caramellata; marmellata di prugne; mela cotogna e uva passa spesso con note di affumicato. Il sapore è dolce, caldo, avvolgente, con sentori di frutta matura. Gli abbinamenti più consoni sono con il dessert. Pasticceria secca, crostate rustiche, ma anche formaggi erborinati e gorgonzola. Il piatto locale con cui si abbina meglio sono le caldarroste. Senza il vi’ cotto le castagne nemmeno si mettono sul fuoco. Un vino da meditazione, da gustare davanti allo scoppiettìo della legna nel camino.

Cioccolato: arriva il talent show per maître chocolatier

Cioccolato: arriva il talent show per maître chocolatier

Il 20 novembre debutta il talent show Maître Chocolatier – Talenti in sfida, il primo nel suo (goloso) genere. In attesa di vederlo, godetevi i consigli dell’esperto

Amanti del cioccolato sintonizzatevi: è il vostro momento. Dal 20 novembre, per 5 settimane, ogni sabato alle 19.15 su TV8, il canale in chiaro di Sky arriva Maître Chocolatier – Talenti in sfida.

Si tratta del primo talent show italiano per aspiranti maîtres mhocolatiers e vedrà dieci professionisti, massimi esperti nell’arte del cioccolato, gareggiare per entrare nella squadra dei maîtres mhocolatiers di Lindt Italia: 10 i concorrenti, 5 le puntate per 1 solo vincitore.

Una giuria di eccezione

Il programma sarà condotto dallo chef stellato e giudice di MasterChef Italia Giorgio Locatelli, che seguirà gli aspiranti maestri del cioccolato passo dopo passo, coinvolgendo gli spettatori anche nelle loro storie. Accanto a Locatelli il maître chocolatier Lindt Nico Tomaselli, la pasticciera Melissa Forti e un ospite d’eccezione a sorpresa in ogni puntata, proveniente dal mondo dello spettacolo.

La sfida

Ecco come funziona il format: si terranno due sfide in ogni puntata, due occasioni per mostrare il proprio talento ai giudici e far sognare gli spettatori a casa, mostrando le mille sfaccettature e sfumature del cioccolato, svelando i segreti di una materia prima e di un’arte così nobili come la lavorazione del cioccolato.

La prima prova, o Creation test, servirà per mostrare la propria sensibilità artistica e la capacità di concretizzare la propria ispirazione. La seconda, l’Expertise test, invece, servirà per dimostrare di avere le capacità tecniche per riprodurre il tratto essenziale e caratteristico dei prodotti più iconici di Lindt, come Lindor od Orsetto, ricreandolo fedele all’originale o presentando una personale declinazione.

In ciascuna puntata verrà eliminato un concorrente, e tra ricette e golosità sempre più sofisticate si capirà chi entrerà a far parte della squadra dei Maîtres Chocolatiers di Lindt Italia e indosserà l’iconico cappello da chef.

Maître Chocolatier - Talenti in sfida.

5 cose da sapere (assolutamente) sul cioccolato

Vi è venuta un’irresistibile voglia di cioccolato? Ecco 5 cose da sapere sul cioccolato di Nico Tomaselli, utili per degustarlo e conservarlo al meglio.

Per conservare  il cioccolato in maniera corretta consiglio di tenerlo in una dispensa a una temperatura corretta (tra i 19 e i 21  gradi °C), lontano da fonti di calore e da cattivi odori. 

30 minuti prima dell’assaggio è meglio non bere caffè e non mangiare cibi piccanti, perché ne alterano il sapore.

Il cioccolato si degusta con tutti e 5 i sensi: l’olfatto, la vista, il tatto e l’udito sono importanti quanto il gusto.

Per assaporare al meglio il cioccolato bisogna lasciarlo sciogliere in bocca per alcuni secondi.

Quando gustiamo il cioccolato con liquori o altre bevande, come per esempio il tè, si consiglia di provare abbinamenti inaspettati, perché il bello del “cibo degli dei” è scoprire nuove esperienze di gusto. 

Lasagne autunnali: le ricette appetitose

Lasagne autunnali: le ricette appetitose

Fra i piatti più amati dagli italiani, oltre al ripieno classico con ragù e besciamella, ci si può sbizzarrire in varianti di stagione altrettanto appetitose. Ecco qualche ricetta

L’autunno è una stagione molto generosa. Anche se per la natura si avvicina l’ora del letargo, il mercato è ancora un tripudio di colori e profumi. Dalla zucca alle castagne, dal radicchio ai funghi, sono tante le primizie con cui ci si può sbizzarrire in cucina. Un modo alternativo per valorizzare questi ingredienti è quello di trasformarli in ripieni per delle appetitose lasagne autunnali. Ecco qualche ricetta da provare.

Lasagne autunnali con ragù di funghi e scamorza

Quando si trovano dei funghi sodi e profumati, meglio approfittarne. Rosolati in padella diventano un ottimo sostituto del ragù di carne. Per il ripieno per sei persone occorrono 400 grammi di funghi misti, tra cui anche i porcini, 300 grammi di scamorza affumicata, 50 grammi di parmigiano, aglio, olio extravergine d’oliva, noce moscata, sale e pepe. Per prima cosa bisogna preparare la pasta all’uovo: versare su una spianatoia 400 grammi di farina, creare una fontana, aggiungere quattro uova e inglobarle lentamente. Lavorare l’impasto con vigore per una decina di minuti, farlo riposare per mezz’ora avvolto nella pellicola, dopodiché ricavare le sfoglie. Poi si passa alla farcitura. In una padella versare l’olio, soffriggere uno spicchio di aglio e toglierlo prima di aggiungere i funghi puliti e tagliati a listarelle. Aggiustare di sale e pepe e far cuocere per qualche minuto. Prendere 2/3 dei funghi, tritarli e mettere da parte la porzione rimanente. Una volta pronta anche la besciamella, versarne uno strato in una teglia, adagiarvi sopra le sfoglie scottate in acqua bollente e salata, versare un altro strato di besciamella, i funghi e coprire con la scamorza affumicata tagliata a fettine sottili. Procedere fino al bordo e guarnire l’ultimo strato con i funghi interi e una spolverata di parmigiano grattugiato. Cuocere a 180°C per circa 30 minuti.

Radicchio, castagne e speck

Radicchio e castagne sono due ingredienti tipicamente autunnali. Insaporiti con lo speck diventano un ripieno perfetto per le lasagne. In questo caso la besciamella è sostituita da una crema di castagne. Le dosi per la farcitura sono 300 grammi di speck, 50 grammi di parmigiano grattugiato, 600 grammi di castagne (cotte e sbucciate), 500 ml di latte intero, 700 grammi di radicchio, uno scalogno, mezzo bicchiere di vino bianco, noce moscata, olio extravergine d’oliva, sale e pepe. In una padella, dopo aver fatto soffriggere lo scalogno tritato, aggiungere il radicchio tagliato a listarelle, sfumare con il vino bianco, salare, pepare e lasciarlo appassire per una decina di minuti. Nel frattempo mettere sul fornello un tegame con il latte aromatizzato con la noce moscata. Quando bolle, unire la polpa di castagne passata al passaverdura. Cuocere per una decina di minuti, finché la crema non si addensa. A questo punto comporre le lasagne in una teglia, iniziando con uno strato di crema di castagne, poi uno di sfoglie già scottate in acqua bollente e salata, poi ancora la crema, il radicchio e lo speck. Sull’ultimo strato aggiungere anche il parmigiano grattugiato e infornare a 220°C per 30 minuti.

Zucca e besciamella al gorgonzola

La regina indiscussa di questa stagione rimane la zucca, che non poteva non finire in una ricetta di lasagne autunnali. Per sei persone servono 600 grammi di zucca già pulita, 600 grammi di besciamella, 100 grammi di parmigiano grattugiato, 200 grammi di gorgonzola, una cipolla, olio extravergine d’oliva, noce moscata e pepe. Tagliare la zucca a fettine sottili e farla saltare in padella in un soffritto di olio e cipolla. Preparare la besciamella e, a cottura ultimata aggiungere il gorgozola tagliato in piccoli pezzi amalgamando il tutto. A questo punto comporre la lasagna. In una teglia creare un primo strato di besciamella al gorgonzola, adagiarvi sopra le sfoglie scottate in acqua bollente e salata, su queste distribuire in modo uniforme la zucca, spolverare con il parmigiano e versare altri due mestoli di besciamella. Proseguire così fino al bordo della teglia. Infornare a 200°C per 35/40 minuti.

Altre lasagne autunnali

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