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Soul Food: la cucina povera nata dalla comunità afro-americana

Soul Food: la cucina povera nata dalla comunità afro-americana

Il Soul Food è la cucina della comunità afro-americana nata nel sud degli Stati Uniti, caratterizzata da ingredienti poveri e genuini e legata a doppio filo alla storia della loro cultura e della loro emancipazione

Per Soul Food, ovvero “il cibo dell’anima” si intende la cucina tradizionale della comunità africana nel sud degli Stati Uniti. Sebbene il termine sia stato coniato negli anni Sessanta, periodo in cui hanno visto la luce anche i primi ricettari, il Soul Food affonda le radici nel periodo della schiavitù e nei successivi 100 anni. La comunità afro-americana, infatti, abituata fin dal passato a utilizzare ingredienti economici e locali, ha portato avanti questa tradizione culinaria, dando vita a una cucina povera e semplice, ma ricca di sapore. Il cibo dell’anima, con il tempo, ha finito con l’influenzare la cucina di tutto il paese a con il diffondersi anche nel resto del mondo, dove è oggi molto apprezzata e riscoperta.

Storia ed evoluzione della cucina afro-americana “dell’anima”

La storia della cucina soul è andata di pari passo con quella dell’emancipazione di questa comunità e rappresenta una componente importante della questa cultura. I suoi sapori caratteristici, le lunghe preparazioni e molte delle ricette ideate e tramandate per generazioni, sono diventate famose negli anni Sessanta, proprio grazie all’ascesa dei movimenti nazionalisti neri. In particolare il termine Soul Food venne coniato nel 1962 da Amiri Baraka, attivista, poeta e figura di spicco nella lotta alla rivendicazione dei diritti dei cittadini americani di colore. Rispondendo al diffuso pregiudizio secondo il quale la sua comunità «non avesse una lingua o una cucina caratteristica», raccolse in un saggio il meglio della cucina afro-americana, specificando che si trattava appunto di una «cucina popolare dell’anima» che proveniva direttamente dai migranti del sud e che era per loro motivo di orgoglio. I primi libri di cucina soul iniziarono ad apparire nei negozi di libri progressisti negli anni 60 per poi diffondersi negli anni 70, mentre il primo ristorante fu aperto nel 1962 ad Harlem da Sylvia Woods, nota come la “regina del Soul Food”.
I ristoranti dell’anima iniziarono poi a fare la loro apparizione nelle grandi metropoli del paese, con una clientela sempre più diversificata, e questa cucina venne ben presto riconosciuta e amata a livello nazionale.

Ingredienti, caratteristiche e ricette popolari

La cucina soul è piuttosto piccante, ricca di aromi e condimenti, e contempla l’utilizzo di frattaglie e parti “di scarto” del maiale così come ingredienti poveri, accessibili, sostanziosi e versatili come la farina di mais.
Ma vediamo nello specifico quali sono gli ingredienti più utilizzati. Il re delle carni è appunto il maiale, di cui viene utilizzata ogni parte, incluso il grasso per friggere o il lardo impiegato per molte ricette dolci e salate. La farina di mais viene utilizzata in moltissimi modi e tante preparazioni, tra cui il pane di mais, una sorta di pancake fritto chiamato johnnycake e delle frittelle tonde chiamate hush puppies. Sul fronte di legumi e ortaggi, il Soul Food è caratterizzato da un’ampia varietà di fagioli e piselli, mentre le verdure si dividono tra quelle di origine africana, come l’okra e le patate dolci, o quelle americane, come cavoli e rape. Tra le ricette soul più famose spiccano il pollo fritto, la pancetta di maiale affumicata, secondi a base di pesce gatto, le costolette di manzo, l’Hoppin’ John (una zuppa fatta con bacon e fagioli dall’occhio nero) e l’insalata di patate. I piatti sono spesso conditi con una salsa piccante a base di aceto e peperoncini, con una miscela piccante di spezie chiamata Cajun o con la maionese.

I cuochi contemporanei che si cimentano nel cucinare il Soul Food, spesso lo rendono più “salutare”, limitando o evitando l’utilizzo di grassi animali quali il lardo, sostituendo l’olio di colza con altri oli vegetali e inserendo tagli di carni più magre.

Foto: frittelle di mais hush puppies_soul food_Flickr Christine Wisnieski.jpg
Foto: zuppa soul food hoppin’ john_Flickr Jeffreyw.jpg
Foto: pollo fritto soul food_Flickr stu_spivack.jpg

Lidia, cosa ci prepari a cena?

Lidia, cosa ci prepari a cena?

Ho conosciuto Lidia Bastianich la scorsa estate a New York, quando stavo girando Sapore Italiano con Food Network. Che donna. Eravamo da Felidia, il suo ristorante flagship che aprì nel 1981 insieme al marito Felice, nell’Upper East Side dove propongono degli eccellenti ravioli cacio e pere. In quel giorno d’estate parlammo di vita e della sua mamma quasi centenaria che ancora oggi abita ai Queens e ha un grande orto. Se in Italia è nota per la sua partecipazione a Masterchef Junior, negli Stati Uniti è la donna che rappresenta la cucina italiana con decine di libri, show televisivi con Lidia’s Kitchen e una lunga lista di ristoranti a Manhattan e in America (alcuni con Eataly) in partnership con i figli Tanya e Joe. Oggi ho il piacere di averla ospite a #oradicena per parlare di cucina (e di vita) e sul canale americano per chiacchierare di pasta in #buttalapasta.

Anna in Casa: ricette e non solo: Lievito madre: preparazione, conservazione e utilizzo

Anna in Casa: ricette e non solo: Lievito madre: preparazione, conservazione e utilizzo

Perchè pubblico adesso la ricetta del lievito madre? Presto detto.

Sul mio blog non la trovo più e, dato che mi è stata chiesta varie volte, anche in questi ultimi due giorni, eccola qui.

Il mio Almi va per i sette anni, è ancora un bambinello, ma ha già figliato parecchio; tante amiche ne hanno avuto un pezzettino e fino a un anno fa circa avevo già contato parecchi esuberi regalati.

Questa ricetta però parte da zero, dall’unione di acqua e farina e da un pochino di pazienza, pazienza poi ripagata dalla soddisfazione di creare cose buone.

Ingredienti

100 g di farina 0

50 ml di acqua a temperatura ambiente

Qualche dritta

-Consiglio di utilizzare un contenitore in vetro con l’imbocco largo, in modo da poterlo lavare e asciugare senza troppa fatica.

-Meglio se il contenitore è tre volte più grande del panetto di lievito madre (questo per evitare che fuoriesca).

-Il mio contenitore ha la chiusura a vite, ma va bene anche la chiusura emetica.

-Per la pulizia del barattolo utilizzare sono acqua corrente, niente detersivi, e asciugarlo bene prima di riporvi nuovamente il lievito.

-Per non avere una quantità eccessiva di lievito (e un conseguente spreco di farina) io, ad ogni rinfresco, elimino l’eccesso di pasta madre oltre i 100 g.

-Utilizzare sempre la stessa qualità di farina.

-In ultimo, il vostro lievito avrà bisogno di un nome, il mio si chiama Almi (unione dei nomi dei miei figli Alessandra e Michele).

Procedimento

Per preparare il lievito madre, impastare la farina con l’acqua fino ad ottenere un impasto di consistenza non appiccicosa.

Formare con l’impasto una palla e metterla in un contenitore coperto pellicola trasparente.  

Con uno stuzzicadenti praticare qualche buchetto sulla pellicola. 

Mettere da parte per per 48 ore o fino a quando l’impasto non sarà lievitato (questo dipenderà dalla farina utilizzata e dalla temperatura dell’ambiente). 

A prima lievitazione avvenuta si inizierà con i rinfreschi.

Rinfreschi

Per arrivare ad ottenere una pasta madre attiva, bisognerà fare alcuni rinfreschi. Il lievito madre sarà in forza e pronto da utilizzare quando fatto il rinfresco avrà raddoppiato il proprio volume in 3-4 ore al massimo.

I rinfreschi si fanno sempre con pari quantità di lievito e farina e metà di acqua: es 100 di pasta madre con 100 di farina e 50 di acqua

Per procedere con il rinfresco, prelevare 100 g di pasta madre e impastarla con 100 g di farina e 50 ml di acqua a temperatura ambiente. 

Formare un panetto, fare un taglio a croce e mettere a lievitare fino al raddoppio, in un contenitore di vetro (possibilmente grande almeno tre volte il volume dell’impasto) e coprire con pellicola trasparente bucherellata.

Quando il lievito madre ha preso forza, rinfrescarlo ancora una volta, sempre tanto impasto-tanta farina-metà di acqua, formare una palla, tagliare la superficie a croce e metterla in un barattolo in vetro, chiuso con il tappo a vite o ermetico.

Una volta attivo il lievito può utilizzato per la panificazione o per le proprie ricette, tenendo sempre una parte “madre” rinfrescata e riposta nel contenitore.

Se non avete la possibilità di utilizzarlo spesso, potete riporre il contenitore in frigorifero e rinfrescarlo almeno una volta a settimana, avendo cura di riportarlo a temperatura ambiente prima di procedere al rinfresco.

Utilizzo

Quando il lievito madre ha raggiunto la forza in 3-4 ore lo si può iniziare ad utilizzare per la ricetta che abbiamo scelto.

Se lo avete tenuto in frigorifero, portatelo a temperatura ambiente e rinfrescatelo. Nel caso non raddoppiasse in tempi più lunghi, procedere con un nuovo rinfresco fino ad ottenere la lievitazione nelle 3-4 ore previste.

Conservazione

Come ho scritto precedentemente, il lievito può essere conservato in frigorifero, per 6-7 giorni, tra un rinfresco e l’altro.

Se avete problemi con i tempi di rinfresco ma non volete perdere il vostro lavoro e quindi il vostro lievito madre, potete essiccarne una certa quantità seguendo le indicazioni QUI

Così faccio io 

Quando devo preparare grandi lievitati come panettone, pandoro o colomba, io procedo ai rinfreschi con farina adatta quegli impasti.

Un mese prima dell’utilizzo prelevo dal mio lievito 50 g di esubero, lo impasto con 50 g di farina apposita e 25 ml di acqua e metto a lievitare in un altro contenitore. Continuo i rinfreschi con la stessa farina fino al momento dell’utilizzo.

Come utilizzare l’esubero

All’inizio, quando rinfrescavo il mio lievito, la parte di esubero (scarto) la buttavo via, poi seguendo varie ricette trovare sul web, ho iniziato ad utilizzarlo per focaccine, crackers, piadine ecc

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