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Ricetta Struffoli napoletani, il dolce natalizio campano

Ricetta Struffoli napoletani, il dolce natalizio campano
  • 500 g farina
  • 250 g miele
  • 100 g zucchero
  • 70 g burro
  • 3 uova
  • 3 tuorli
  • mandarino
  • arancia
  • olio di arachide
  • confettini di zucchero
  • Grand Marnier
  • sale

Per la ricetta degli struffoli napoletani, impastate la farina con lo zucchero, il burro morbido a pezzetti, le uova, i tuorli, la scorza grattugiata di 1/2 arancia e di 1 mandarino, un pizzico di sale e uno spruzzo di Grand Marnier.
Lavorate il composto fino a ottenere un panetto liscio. Copritelo con la pellicola e lasciatelo riposare per 2 ore.
Riprendete l’impasto, staccatene piccole porzioni per volta e formate dei filoncini, quindi tagliateli in piccoli gnocchetti. Arrotondateli tra le mani quindi friggeteli in abbondante olio caldo, pochi per volta, finché non saranno dorati.
Scolateli su carta da cucina.
Scaldate il miele in una casseruola capiente e, quando si sarà liquefatto, immergetevi gli struffoli e mescolateli in modo che se ne ricoprano uniformemente.
Togliete gli struffoli dal miele, sistemateli su un piatto da portata e decorateli con i confettini di zucchero.

Ricetta: Emanuele Frigerio, Testi: Laura Forti, Foto: Giacomo Bretzel, Styling: Beatrice Prada

Cos’è il vino cotto delle Marche

Cos'è il vino cotto delle Marche

Il vino cotto è dolce e suadente, perfetto per accompagnare dolci e castagne. Una preparazione rurale, tramandata nelle famiglie contadine e dal forte valore simbolico, che oggi rivive grazie al lavoro di venti cantine dopo un lungo periodo di clandestinità

Una delle tradizioni più antiche e ataviche della campagna marchigiana: il vino cotto. Immaginate un grande calderone di rame adagiato su un fuoco di legna dove sobbolle un mosto d’uva fresco. Si tratta forse di uno dei prodotti meno conosciuti a livello nazionale, anche perché il vino cotto è una preparazione rurale, iper locale, tramandata nelle famiglie contadine e dal forte valore simbolico. L’usanza di bollire il mosto risale all’epoca dei Piceni, la popolazione che abitava il centro sud delle Marche già da prima dei romani, e proprio in questo areale, la tradizione di cuocere il mosto d’uva si è protratta fino ai giorni nostri. Il vino cotto è la bandiera del piccolo comune di Loro Piceno, in provincia di Macerata. Qui ad agosto si tiene da anni una festa che ripercorre l’antica tradizione. Ma la stessa usanza vale anche in alcune cittadine della provincia di Fermo e Ascoli Piceno e, pur con modalità diverse, in Abruzzo, nella provincia di Teramo.

Vino cotto e sapa: dolci simboli atavici della campagna marchigiana

A vari livelli di riduzione del mosto tramite bollitura corrispondono prodotti diversi. Da una parte c’è la sapa, il sostituto rurale dello zucchero: denso sciroppo che deriva dalla riduzione di tre quarti del mosto bollito e che si usa nella preparazione di dolci o per condire la polenta. Il vino cotto, invece, rimane un vino a tutti gli effetti. Durante l’ebollizione viene schiumato di frequente, si eliminano le impurità e a fine cottura viene travasato in piccole botti di legni vari. L’aroma e il vigore aumentano con il tempo. Quello che più racconta il calore di questo vino è il colore ambrato (si chiama “occhio di gallo”). Il sapore è dolce e in campagna serviva come carburante per i lavori più difficili e pesanti. A livello simbolico basti pensare ai riti che lo vedevano protagonista. Durante la cottura infatti venivano spenti nel mosto bollente dei tizzoni ardenti di legno di quercia, o dei ferri infuocati, come a infondere la forza nel nettare. Gli arti dei neonati venivano “unti” con del vino cotto per donare loro forza, come pure valeva l’usanza di riempire una botte di vino cotto in occasione di una nascita. Dote preziosa di vino, che sarebbe stato conservato fino al giorno delle nozze dello stesso figlio. Veniva inoltre somministrato ai buoi per dargli vigore e usato contro le malattie più comuni come il raffreddore, attraverso i suoi fumenti.

Lavorazione del vino cotto nelle Marche.
Lavorazione del vino cotto nelle Marche.

La storia del vino cotto

Si produceva già nel Cinquecento, come documentato dal farmacista Andrea Bacci, umanista, medico e naturalista marchigiano, che in epoca rinascimentale riprendendo fonti antiche parla e descrive il vino cotto marchigiano. Ma come si fa? Il mosto viene concentrato sul fuoco in calderoni di rame e si riduce di un terzo o, addirittura, fino alla metà. Nelle Marche, almeno, fino a due secoli fa, la viticoltura è sempre stata residuale e relegata alla sussistenza dell’agricoltore. I filari contornavano i bordi dei campi e, specie nel centro e nel sud della regione, i vitigni presenti non erano reputati come particolarmente pregiati. Spesso, dunque, accadeva che l’uva non arrivasse a piena maturazione e il vino non raggiungesse il minimo dei dieci gradi alcolici. Per valorizzare queste uve e renderle alimento calorico, il mosto viene dunque cotto, lasciato raffreddare e messo in botti di legno di rovere (in passato botti di castagno). A questo punto si aggiunge mosto crudo, per far ripartire la fermentazione che dura circa due settimane e che tornerà a rifermentare di nuovo durante la stagione estiva. Dopo un anno sarà pronto, ma il vino cotto più buono è quello più vecchio. La soglia minima per un buon prodotto è di cinque anni, anche se i più pregiati restano nel legno fino a 40 o 50 anni.

Clandestino. Come il mistrà

Nel 1962 una normativa prescriveva che il vino cotto dovesse essere prodotto separatamente dal vino comune. Quindi, dovendo scegliere, le aziende vinicole locali abbandonarono questa produzione. Ma un prodotto di così lunga tradizione continuò a vivere clandestinamente nelle campagne, così come avveniva da secoli. Un po’ la stessa sorte che ha investito il mistrà, distillato marchigiano di vinacce aromatizzato all’anice. La situazione è durata fino all’agosto del 2015 quando fu abrogata questa norma e alcuni produttori hanno ripreso a produrlo e addirittura a esportarlo, tanto che oggi è elencato a pieno titolo tra le produzioni tipiche della Regione Marche.

Lavorazione del vino cotto nelle Marche.
Lavorazione del vino cotto nelle Marche, cantina Castrum Morisci.

I produttori del vino cotto

Attualmente sono almeno venti le aziende che lo fanno. Chi ne ha fatto una bandiera è la cantina Il Lorese. Cristian Ercoli e Simone Forti utilizzano il metodo originale, cuocendo il mosto in grandi calderoni di rame adagiato su fuoco vivo di legna senza alcuna camera d’aria. Per non far disperdere le particelle di rame, fin quando il mosto non bolle viene messa una verga di ferro che per elettrolisi attira le micro particelle di rame.
Non esistendo un vero e proprio disciplinare di produzione, ogni cantina ha il proprio metodo produttivo. Il Lorese ne lancia sul mercato circa 6mila bottiglie all’anno. Ogni botte ha un sapore, ogni produttore un timbro. La cantina ne produce sette diverse etichette: “Il Lorese”, invecchiato 5-8 anni, metodo Soleras, cioè un blend di diverse annate, fino ad arrivare al “Decimo” e al “Varco 41” (vino cotto di una singola botte). Poi c’è il “Cerrone 70”, una riserva speciale (ne vengono vendute soltanto 20 bottiglie all’anno). Dentro c’è il vino cotto dell’annata 1970, con aggiunta di rimbocco del 2004 e imbottigliato nell’anno in corso.

Altro produttore è la cantina Castrum Morisci di Luca Renzi e David Pettinari a Moresco (FM). Sotto l’etichetta “Focagno”, oltre ad alimentare il mercato locale, il vino cotto raggiunge anche gli Usa, l’Australia, la Svizzera e l’Europa dell’Est. L’azienda lo lavora con uve miste: passerina, sangiovese e malvasia. Secondo la tradizione, infatti, viene fatto con uve bianche e rosse mescolate, per un prezzo che va dai 10 ai 20 euro per bottiglia da mezzo litro. La cottura avviene in calderoni di acciaio.

Il gusto del vino cotto e come abbinarlo

Ma come si riconosce un buon vino cotto? Il colore va dal marrone ambrato al marrone vivo e si definisce color “occhio di gallo”. All’olfatto prevalgono i sentori di frutta caramellata; marmellata di prugne; mela cotogna e uva passa spesso con note di affumicato. Il sapore è dolce, caldo, avvolgente, con sentori di frutta matura. Gli abbinamenti più consoni sono con il dessert. Pasticceria secca, crostate rustiche, ma anche formaggi erborinati e gorgonzola. Il piatto locale con cui si abbina meglio sono le caldarroste. Senza il vi’ cotto le castagne nemmeno si mettono sul fuoco. Un vino da meditazione, da gustare davanti allo scoppiettìo della legna nel camino.

i nuovi ristoranti sotto i 35 € premiati dalla Michelin 2022

i nuovi ristoranti sotto i 35 € premiati dalla Michelin 2022

Sono 20 le tavole dal rapporto qualità/prezzo che sono state premiate in guida per un totale di 255 indirizzi per tutte le tasche indicate dalla Michelin. Tanti indirizzi a Roma, uno a Milano (cinese), tre in Sardegna: ecco tutti i nuovi Bib Gourmand

La Guida Michelin non è solo quella dei grandi ristoranti stellati (e costosi). Nata come vera e propria guida per viaggiatori su quattro ruote, include fra i suoi indirizzi anche le tavole dall’ottimo rapporto qualità/prezzo: i Bib Gourmand. Il simbolo non è una rosetta bensì la faccina sorridente dell’omino Michelin Bibendum, nonché mascotte ufficiale del Gruppo. Inizialmente a questi ristoranti veniva assegnata una “R” rossa, ma nel 1997 il simbolo Bib Gourmand debutta in guida. Il simbolo è il riconoscimento che viene destinato a locali informali in grado di proporre una piacevole esperienza gastronomica, con un menu completo a meno di 35 €. Se si parla tanto di stelle Michelin e di ristoranti per le grandi occasioni, in realtà, la guida più famosa è capace di indicare anche le tavole più abbordabili, di tradizione ma non solo, da frequentare davvero e a cuor leggero per il portafoglio.

Nella Guida Michelin 2022 sono 20 i nuovi Bib Gourmand, per un totale di 255 ristoranti. La regione con più Bib Gourmand è l’Emilia-Romagna (con 35 indirizzi), seguita da Piemonte e Lombardia. Tanti? No, perché la Guida Michelin indica nel complesso 329 ristoranti con 1 stella nella selezione 2022, cui si aggiungono i 38 a due stelle e gli 11 a tre stelle. Nel «paese delle trattorie», come Gualtiero Marchesi definiva l’Italia, in realtà i riconoscimenti per la cucina di tradizione sono ancora molte meno dei ristoranti blasonati che propongono cucina gourmet di ricerca.

La lista dei nuovi Bib Gourmand 2022

Eccoli, regione per regione, come vengono descritti dalla Rossa. Partendo da Roma, che è la città che più di ogni altra nel 2022 si aggiudica più riconoscimenti: «Roma è la città che vanta il primato di Bib Gourmand: 10 in totale, di cui 4 novità. Tra queste, la nuova avventura di Roy Caceres presso il “Carnal”, proposta vivace e moderna, e il MOI, un bistrot dalla cucina “fresca” e dall’ampia personalizzazione, che rispetta la stagionalità dei prodotti e la loro reperibilità sul territorio. E, ancora, l’Hosteria Grappolo d’Oro e il Prati Rione Gastronomico, due proposte di ristorazione semplici e molto differenti tra loro, nelle quali il primo esalta la tradizione e il secondo esprime gastronomia e cucina in due ambienti distinti, in una formula moderna e di qualità», ha dichiarato il direttore della Guida Michelin Italia, Sergio Lovrinovich.

Lazio

Carnal – Roma RM
Carnal è l’espressione più “pop” e vivace del famoso chef Roy Caceres: musica, arredi colorati, servizio smart, alcune pietanze da mangiare anche con le mani! Un’impostazione decisamente giovane e una cucina di chiara natura latino-americana (tacos, chevice, dessert al mango, e altro ancora). Fragranti ingredienti di stagione, soprattutto dall’Italia, da abbinare a vino, birre e la sera anche a ottimi cocktail.

Hosteria Grappolo d’Oro – Roma RM
Nei pressi di piazza Navona e Campo de’ Fiori, locale di lunga tradizione dagli inizi di questo secolo in mano a cinque soci del settore, di cui uno ai fornelli. Cucina classica romana generosa e di qualità (cacio e pepe, agnello al forno, baccalà alla romana…) in un ambiente rustico e piacevole. Da non sottovalutare la colonna sonora: mette i brividi ai nostalgici dei Settanta in chiave rock-blues.

Moi – Roma RM
Moi è un locale piccolo e decisamente smart, che torna, grazie alla propria qualità, a far segnalare in guida la zona Fleming, a nord-ovest di Roma. Forte di una solida esperienza alle spalle, Thomas Moi cucina con tecnica moderna ingredienti freschi di stagione, che possono cambiare anche quotidianamente: carne, pesce, verdure ed erbe aromatiche sono proposte con gusto, a prezzi davvero ottimi.

Prati Rione Gastronomico – Roma RM
Ampio locale multitasking, aperto dalla prima colazione alla cena, per un’offerta articolata che va dal bistrot alla pasticceria, dal cocktail bar alla panetteria, nonché pizzeria. Cucina di ottima fattura: la scelta è ristretta, ma la qualità sempre golosa e stuzzicante!

Lombardia

Da Sapì – Esine BS
Giunta alla quarta generazione, la famiglia Foppoli è ormai un riferimento culinario per il territorio, grazie a una cucina contemporanea che ha però solide basi regionali, con una costante e attenta ricerca di ingredienti locali, ma non solo. Tutto è nato attorno alla gelateria, la loro grande passione, cui si sono aggiunte alcune camere. Una garanzia!

Dalie e Fagioli – Manerba del Garda BS
Lo chef patron Fabio mette al servizio del proprio locale tutta l’esperienza appresa in un percorso di ristoranti stellati, interrotto una decina di anni fa proprio per aprire Dalie e Fagioli: in questo caso l’abilità tecnica è al servizio di ingredienti del territorio o ricette locali, preparate con un tocco di fantasia e da accompagnarsi con una discreta carta dei vini.

Osteria della Villetta – Palazzolo sull’Oglio BS
Da oltre cent’anni baluardo della tradizione, arredi liberty e atmosfera rétro sono il contorno a classici bresciani e ricette familiari: sempre sulla base di ingredienti stagionali, come nel caso delle molte verdure del proprio orto, da cui provengono anche l’olio extravergine d’oliva e una buona bollicina.

La Piazzetta – Montevecchia LC
Nella gradevolissima parte alta e storica del paese, che domina sulla circostante e laboriosa Brianza, un locale all’interno di un edificio ristrutturato con due sale luminose per una cucina dalle interessanti proposte classiche e contemporanee. Intimo nei giorni feriali, diventa indispensabile prenotare in quelli festivi.

Le Nove Scodelle – Milano MI
La cucina etnica presente ormai lungo tutto lo Stivale entra qui nel dettaglio, come mostrano le specialità di questo indirizzo che attingono alla ricchezza gastronomica della provincia di Sichuan, nella Cina sud-occidentale. Piatti speziati e piccanti, segnalati in carta con il “grado” di piccantezza.

Trippi – Sondrio SO
Storico locale appena fuori città, gestito da una decina d’anni da Gianluca intento a vivacizzare proposte principalmente regionali e valtellinesi, con qualche spunto mediterraneo; l’offerta si completa a pranzo grazie a una carta più semplice. Ma non è tutto: buona selezione sia di formaggi sia di vini della zona, che all’ingresso del locale troverete in vendita anche a prezzo d’asporto.

Piemonte

Bistrot Donatella – Oviglio AL
Nel cuore del piccolo paese, la variopinta sala vi accoglierà nella stagione fredda, ma con il bel tempo è una corsa a prenotare un tavolo nella corte interna, sotto il campanile di Oviglio. Materie prime e ricette piemontesi sono il vanto di una carta semplice, ma gustosa.

Antiche Sere – Torino TO
In un quartiere fuori dai giri turistici cittadini, un’osteria dalla fama consolidata che si avvale di un servizio al femminile attento e cordiale. Proposte strettamente regionali in un ambiente d’antan, suddiviso in tre piccole salette (di cui una in comune con il bancone bar). Accogliente servizio estivo nel giardino sul retro.

Sardegna

Josto – Cagliari CA
Nel centro di Cagliari, vicino alla suggestiva piazza del Carmine, i mobili di design delle due piccole sale allietano la sosta armonizzandosi perfettamente con la cucina dello chef, che si vuole moderna, sebbene ispirata a radici e ingredienti sardi.

Hub – Macomer NU
All’interno dalla cooperativa sociale Progetto H, creata nel 1983 fra i padiglioni di una vecchia fiera e oggi impegnata nell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, lo chef Leonardo Marongiu ha trovato la culla ideale per il suo Hub. Che scegliate il menù degustazione composto da 7 portate, o quello del giorno decisamente più snello, i sapori sardi non mancheranno d’imbandire la tavola.

Coxinendi – Sanluri SU
Coxinendi (“cucinando”, in sardo) è il locale di un talentoso chef con importanti esperienze alle spalle – Davide Atzeni – che qui riesce a far rivivere la più autentica espressione di cucina sarda, ancestrale e primitiva.

Veneto

Trattoria da Zamboni – Arcugnano/Lapio VI
In un imponente palazzo d’epoca: le sobrie sale al primo piano (con ascensore) quasi si fanno da parte per dare spazio al panorama sui colli Berici attraverso i molti finestroni, mentre la cucina, tradizionale e rivisitata al tempo stesso, ha la forza di 50 anni di storia. Molto valida anche la selezione di bottiglie per cui, gli amanti, non si fermino all’estratto, chiedano la carta completa per sbizzarrirsi.

Palmerino – Il Bacalà a Sandrigo – Sandrigo VI
Poco fuori il paese, in un accogliente caseggiato lungo l’anonima SP 248, la famiglia Chemello è ormai giunta alla quarta generazione, conferendo il ruolo di protagonista assoluto del proprio locale a sua maestà il baccala. In menù – tuttavia – ci sono anche tante altre proposte e per chiudere con qualcosa di forte, la carta dei distillati non lascerà a bocca asciutta.

Toscana

L’Ortone – Firenze FI
Praticamente un bistrot in stile toscano, adiacente al mercato di Sant’Ambrogio: semplice negli arredi ed anche nell’offerta di cucina che, oltre a qualche citazione di territorio, predilige preparazioni fantasiose su “temi” italiani, partendo da ingredienti stagionali, cui si aggiungono specialità alla griglia; interessante anche la cantina. Ottimi prezzi: optando per la bistecca si spende un po’ di più.

Campania

Gerani – Sant’Antonio Abate NA
Prodotti di qualità, molti di provenienza locale, valorizzati dalla maestria dello chef che riprende la tradizione regionale con gusto e piglio personale, in una spaziosa sala dalle linee moderne. Un indirizzo da segnarsi immediatamente in agenda.

Puglia

Barz8 – Bisceglie BT
Bella location sul porto di Bisceglie, in tavola arrivano i più autentici sapori mediterranei – in primis quelli regionali – accompagnati da un servizio competente e gioviale. I posti a sedere all’aperto sono particolarmente gettonati: meglio prenotare.

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