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Perché si dice «Giovedì gnocchi»

Gnocchi, melanzane e feta

«Giovedì gnocchi». Questa espressione, che apparentemente sembra solo una simpatica affermazione, in realtà trae origine dal detto popolare: «Giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa». Arriva dalla cultura popolare romana o, per meglio specificare, trasteverina.

Origini religiose

Il detto nacque per l’esigenza delle classi più povere di razionare il cibo e ottimizzarlo al meglio scandendo così i pasti della settimana. L’uso comune di preparare gli gnocchi di giovedì era dovuto alla necessità di mangiare un piatto sostanzioso e calorico in vista del giorno successivo, il venerdì, che da tradizione cattolica è “di magro”, ovvero di digiuno o astensione dal consumo di carne.

Così tradizionalmente a Roma di venerdì si mangiavano piatti a base di pesce, come ad esempio ceci e baccalà, piatto ancora oggi servito nelle osterie romane più antiche, che viene proposto rigorosamente al quinto giorno della settimana.

Il sabato poi era la giornata dedita alla macellazione della carne in vista del giorno festivo successivo. I ceti meno abbienti, che non si potevano permettere i tagli più nobili come bistecche, filetti o cosce, si compravano il cosiddetto “quinto quarto”, gli scarti come interiora, frattaglie e trippa. Questi ingredienti, cucinati sapientemente dalle donne di casa, diventavano una vera festa in tavola per tutta la famiglia! Basti pensare a succulenti piatti della tradizione come la trippa alla romana e la coda alla vaccinara.

Una poesia… del palato

Le origini del detto popolare probabilmente sono da ricondurre a metà Ottocento, poiché compaiono in una poesia in romanesco di un autore anonimo, che, oltre ai già citati giorni, consiglia i piatti anche per il resto della settimana: lunedì coda, martedì fagioli con le cotiche, mercoledì stufato e la domenica supplì di riso (citiamo testualmente) da «magnettene cento e dico poco!».

Sicuramente il costume di cucinare gli gnocchi di giovedì entrò poi a far parte della cultura gastronomica italiana durante il dopoguerra, quando le provviste ancora scarseggiavano ed era necessario riuscire a sfamare tutta la famiglia al meglio, cercando di spendere il meno possibile. Ricordiamoci anche che un tempo la maggior parte delle persone faceva lavori di fatica e quindi l’alimentazione doveva essere nutriente e calorica, a differenza di oggi. Quindi gli gnocchi erano preferiti proprio per essere un piatto abbondante ed energetico, che potesse “riempire” il più possibile.

La ricetta antica prevedeva di farli con acqua, farina, poche uova e tante patate. E voi come fate gli gnocchi? Oggi è giovedì, quindi: «Giovedì gnocchi».

Ecco alcune ricette per ispirarvi

ABBIAMO CUCINATO PER VOI

Gnocchi al pecorino con fave e pomodorini

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Gnocchi di ricotta, friggitelli e cipolla rossa

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Gnocchi di ricotta, verdure e prosciutto

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Gnocchi ripieni al culatello e coriandoli

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Gnocchi con sugo di faraona

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Gnocchi di albicocche

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Gnocchi, melanzane e feta

» Risotto porro e zafferano

Misya.info

Innanzitutto, se come me userete i pistilli, lasciateli in infusione nel vino per almeno 30 minuti.
Se invece avete lo zafferano in polvere, scioglietelo semplicemente nel vino.

Lavate e mondate il porro, quindi tagliatelo a rondelle.

Fate appassire il porro con l’olio in una casseruola, quindi unite il riso e fatelo tostare.

Sfumate con il vino (attraverso un colino, se avete usato i pistilli), quindi iniziate ad aggiungere il brodo caldo e portate a cottura.
Una volta cotto, mantecate con robiola e parmigiano.

Il risotto porro e zafferano è pronto.

Zenzero candito fatto in casa

Zenzero candito fatto in casa

Settimana scorsa ho ritrovato questo scatto in una cartella salvata sull’hard disk esterno del pc.  Scorrendo poi le varie ricette in bozza sul blog, mi sono accorta che il post era pronto da tempo e mancava proprio solo l’immagine. Ora che il post è completo, finalmente dopo più di un anno, lo posso condividere con voi.

Ingredienti

500 g di zenzero fresco

Procedimento

Con il pelapatate sbucciare lo zenzero e tagliarlo a fettine sottili, io l’ho affettato in obliquo per avere foglie più lunghe.

Lavare le fettine sotto acqua corrente e poi tamponarle con un canovaccio.

Mettere le fettine in una pentola coprendole con abbondante acqua, che deve essere circa 2-3 cm sopra lo zenzero.

Portare ad ebollizione e da quel punto lasciare cuocere per 45 minuti o comunque fino a quando le foglie risultino morbide.

A cottura ultimata, con la schiumarola scolare lo zenzero e pesarlo.

Rimettere lo zenzero nella pentola, aggiungere pari peso di zucchero e tanta acqua fino a coprirlo appena. Mescolare per sciogliere lo zucchero e cuocere, mescolando di tanto in tanto, a fiamma bassa per un’ora circa o fino a quando le fettine di zenzero risultino trasparenti e il liquido di cottura non diventi come uno sciroppo.

A cottura ultimata, sempre con la schiumarola, scolare bene le fettine di zenzero e stenderle su carta forno precedentemente cosparsa con abbondante zucchero semolato. Mescolare  lo zenzero con lo zucchero, lasciare asciugare completamente le fettine e poi conservare in un barattolo di vetro a chiusura ermetica.

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