Tag: sale e pepe ricette

Franco Pepe in campo contro il coronavirus

Franco Pepe in campo contro il coronavirus

Il pizzaiolo di Caiazzo ha dato vita a due iniziative di solidarietà, da un lato una raccolta fondi per l’Ospedale di Caserta, dall’altro tiene il forno della pizzeria Pepe in Grani acceso per preparare pizza, pane e dolci da donare a chi ne ha bisogno

“Abbiamo cominciato regalando prodotti preparati con tutto ciò che avevamo di deperibile in cucina e poi abbiamo continuato a tenere un forno acceso per donare a chi ne ha bisogno”. Che Franco Pepe avesse un cuore d’oro chi lo conosce, anche da prima dell’emergenza Coronavirus, lo sapeva già. Come dice lui, ce l’ha nel Dna: il nonno, panificatore al tempo della Seconda guerra mondiale, imbrogliava a fin di bene sui quantitativi di pane da distribuire con la tessera annonaria. “Nonno rischiava, perché gli controllavano perfino i quantitativi di farina utilizzati, ma lui, una volta dati i 150 g di pane a chi la tessera ce l’aveva, riusciva sempre a tenere da parte un po’ di pane per chi aveva bisogno”.

Franco, dal canto suo, non appena la situazione ha cominciato a diventare più tesa, si è informato sui bisogni dell’Ospedale di Caserta. Per prima cosa si è messo in contatto con il sindaco di Castel Campagnano, Giuseppe Di Sorbo, che ha una fabbrica che produce ventilatori polmonari. “Da lui abbiamo acquistato praticamente a prezzo di costo un ventilatore polmonare e le prime 40 mascherine per l’Ospedale di Caserta. Questa prima operazione l’ho fatta come Franco Pepe e Pepe in Grani, ma anche i piccoli produttori della zona, con cui collaboro da anni, hanno voluto partecipare all’iniziativa”.

Intanto Franco, per proseguire la sua attività benefica a favore dell’ospedale, si è messo in contatto con un’associazione e ha lanciato una raccolta fondi su una nota piattaforma. Il secondo obiettivo di donare altre 500 mascherine è già stato raggiunto e Pepe è al lavoro per questo, anche se non mancano i problemi. “Stiamo capendo se sono certificate, se vanno bene per l’ospedale, certo non è facile per me, io faccio il pizzaiolo, ma tenermi impegnato mi tiene vivo. Inoltre ci tengo a specificare di essere convinto che ha ragione chi dice che la beneficenza si fa in silenzio, ma se ho comunicato le mie iniziative è per farmi promotore di un bisogno vero della sanità campana e casertana in particolare, con la consapevolezza che questo male si vince solo unendo le forze e facendo squadra”.

Ugualmente Franco Pepe ammette di tenersi impegnato tenendo il forno acceso. “Siamo io e tre miei collaboratori, due ragazzi egiziani e un ucraino, abitiamo uno accanto all’altro e praticamente siamo una piccola famiglia, pranziamo insieme, oggi ho fatto pasta e piselli”. La giornata, afferma Franco, è strutturata così: un po’ di tempo si dedica alla sperimentazione in vista di un’agognata riapertura, il resto del tempo si producono lievitati per chi ne ha bisogno con uno dei due forni che è rimasto acceso nonostante sia chiusa la pizzeria.

Il pane, la pizza, la pizza fritta, i biscotti, la brioche che faceva mio nonno: stiamo facendo i nostri lievitati da donare ad associazioni come L’Angelo degli ultimi di Caserta, che si occupa di portare un pasto caldo ai clochard della stazione di Caserta, che sono 70-80 persone in seria difficoltà”. Oppure ai centri anziani della zona, dove Franco Pepe manda le sue prelibatezze per dare una giornata di gioia a chi si sente solo in questo momento. Un impegno che gli è valso il plauso via social anche di esponenti del Governo, come la ministra Teresa Bellanova.

Anche in questa iniziativa sono tanti gli amici di Franco Pepe che si stanno facendo avanti per collaborare. “Per adesso”, “ce la facciamo con il nostro magazzino e stiamo dicendo di no alle offerte di prodotti per evitare troppi spostamenti, ma chiaramente tutto dipende da quanto sarà lunga l’emergenza”. E a proposito di magazzino, Franco ammette che il fermo forzato gli ha dato l’opportunità di scavare nella sua dispensa alla scoperta di tutti i prodotti che nel tempo gli avevano mandato da testare. “Di solito siamo troppo affannati per aver tempo di prendere in considerazione questi prodotti, ma adesso stiamo approfittando di questo tempo libero per tirare tutto fuori dagli scaffali e fare una riflessione sulle materie prime”.

Non manca la riflessione anche sugli accorgimenti del post-emergenza. “Stiamo studiando quali altri accorgimenti possiamo mettere in campo per far tornare il pubblico in sicurezza, quando sarà possibile. Tuttavia, l’attenzione all’igiene è un tema che non mi coglie impreparato. Avevamo le colonnine di Amuchina già dal 2012, sanificavamo i tavoli di marmo a ogni cambio già con molta attenzione e già utilizzavamo mascherine e guanti per manipolare gli ingredienti. Adesso voglio intervenire con ulteriori dispositivi di sicurezza, diminuiremo certamente i tavoli e lavoreremo sul problema della fila nel vicolo, che bisogna azzerare per evitare gli assembramenti”.

Franco non nasconde di essere il primo ad avere paura del Coronavirus. “Fino a pochi giorni fa, prima del lockdown, siamo stati tutti a contatto con 200-300 persone a sera e abbiamo dato vita a una chat con tutti i dipendenti per dirci se qualcosa non va bene. Personalmente, anche io ho paura, ma mi arrivano da tutto il mondo un sacco di messaggi che mi dicono di tenere duro e questo mi fa forza”.

Per partecipare alla raccolta fondi clicca su Raccolta per Az. Osp. S.Anna e S. Seb. Caserta.

Massimo Bottura ospite di #OraDiCena, in diretta Instagram

Massimo Bottura ospite di #OraDiCena, in diretta Instagram

Continuano gli appuntamenti in diretta con La Cucina Italiana: in questi giorni di isolamento ci facciamo compagnia con interviste e scambi di ricette in diretta sul nostro profilo Instragram.

Oggi, 22 Marzo, dopo Chicco Cerea,  Davide Oldani, Carlo Cracco, la direttrice Maddalena Fossati incontrerà – virtualmente – Massimo Bottura, chef che non ha bisogno di presentazioni.

Come ascoltare la diretta?

Seguire e partecipare a #OraDiCena è semplice: basta collegarsi alle 17.30 a Instagram e cercare il profilo @LaCucinaItaliana. Potrete commentare e fare le vostre domande allo chef e alla direttrice.

Il calendario dei prossimi appuntamenti

23 Marzo: Enrico Bartolini
24 Marzo: Antonio Guida
25 Marzo: Ciccio Sultano
26 Marzo: Giancarlo Morelli
27 Marzo: Norbert Niederkofler
30 Marzo: Niko Romito

 

Guarda i video delle altre dirette

 

Due cucine al femminile sui Navigli

Due cucine al femminile sui Navigli

Due giovani cuoche e due ristoranti riscrivono la cucina lombarda con una poco scontata femminilità. Da Belè e da Acquada le ragazze fanno la cassoeula. Ma a modo proprio

Quando si pensa alla definizione di cucina femminile contemporanea la mente ondeggia fra insalatine scondite e ciotole di quinoa integrale. Nell’alta cucina lo stereotipo la vuole invece vegetale, delicata, leggera, di buon gusto estetico… Per qualche strano stereotipo si pensa che le donne cucinino in un modo più aggraziato, femminile: da donne e per donne.
Sui Navigli a Milano due ragazze dimostrano invece tutto il contrario. Sono due Millennials, lombarde di origine e di formazione, e sono chef di due ristoranti in cui andare a mangiare anche la cassoeula, ottimi risotti, rognone in tempura o passatelli con ragù di fagiano. Dove il sesso di chi cucina non ha importanza, ma la materia prima sì.

Acquada, l’acquazzone di Sara Preceruti

Voi siete mai stati sorpresi da un’acquada? In milanese significa acquazzone, e per la chef Preceruti questo è un punto di partenza, un taglio con il passato e la nascita di qualcosa di nuovo. Sara è giovane, ma non è una novellina, classe 1983, cresciuta a Novara, a soli 28 anni ha ottenuto la sua prima stella Michelin a La Locanda del Notaio sul Lago di Como, nel 2013 ha vinto il premio Miglior Chef Donna della guida Identità Golose, ha lavorato poi all’ex convento dell’Annunciata ad Abbiategrasso, sul Lago di Lugano a Porlezza e ora finalmente a Milano, come chef e patron del suo nuovo ristorante.
Via Villoresi è una traversa del Naviglio Pavese e il ristorante è pulito, elegante, tutto giocato sul bianco e il blu. Foto di pozzanghere che rifrangono le bellezze di Milano accolgono gli ospiti in quelli che furono i locali di Tano Passami l’Olio.
La cucina è caratterizzata da contrasti, un gioco di equilibri, consistenze e temperature, con un rimando continuo tra dolce e salato, morbido e croccante, caldo e freddo. Alta cucina per numero di ingredienti e complessità di lavorazioni, impiattamenti curati e decorazioni. La frutta è ricorre nei piatti, a far da contraltare al fegato in un primo di pasta ripiena, a fianco alle capesante arrivano delle arance, che abbina anche ad una tartare di salmone. Il coniglio diventa sushi con alghe, blu di Bagnoli, mandorle, cipolle all’agro, riso soffiato e crema di carote piccante; il rognone è in tempura con patata schiacciata, sorbetto all’uva rossa e salsa al caffè; i passatelli al ginepro con ragù di fagiano e carciofi croccanti. Il Mediterraneo arriva con una casseola di moscardini su crostone di polenta bianca e zeste di pompelmo glassate. Ottimo il risotto con acqua alla salvia, gocce di yogurt, sfere di pera e cavoletti di Bruxelles. Per dessert, il suo intramontabile cavallo di battaglia Il Gianduia veste Rosso. A pranzo, due portate a 20€ o tre a 28€ e piatti come il Pollo ripieno di ricotta e bacon, finocchi gratinati.

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Belè, l’indirizzo segreto sul Naviglio

Belè significa in dialetto qualcosa di bello, una preziosità da custodire, un po’ come questo indirizzo aperto da due anni e ancora poco conosciuto. Cibo genuino, patrimonio tradizionale, interpretazione contemporanea senza volontà di stravolgere e di stupire. Quello che si cerca quando si esce… non solo a cena. Via Fumagalli è minuscola e la migliore indicazione geografica è l’essere fra il Rita e il Tiki Room, in una zona dove si beve bene, ma si mangia maluccio. I cocktail bar a Milano sono un fiore all’occhiello, soprattutto in questa zona, tanto da aver dato vita a ristoranti come Belè, in cui respirare lo stesso spirito leggero e la stessa leggerezza di un happy hour. Merito degli osti, in questo caso del solido (professionalmente e fisicamente) Sergio Sbizzera, che dopo anni dietro ai banconi di Cape Town e Pinch, ora si destreggia fra sala e banco. In cucina ha chiamato Giulia Ferrara, una ragazza di queste parti, proprio qui lungo il Naviglio dalle risaie di Cascina Ronchetto dove il padre coltiva il riso con cui lei ora prepara ottimi risotti. Scuola di cucina Alma, poi Pont de Ferr a fianco di Matias Perdomo, Ratanà e poi dallo chef giapponese Takeshi Iwai, sempre nella campagna del Parco Agricolo Sud Milano. Ora è alla sua prima esperienza da chef e porta nel piatto tanta generosità. Risotto al cavolfiore con chutney di mandarini cinesi affumicati, Ravioli di oca con crema di radici amare e indivia, serviti con brodo d’oca, Earl Grey e bergamotto, Fegatini di pollo con crema di zucca e nocciole e cialde di zucca al caffè. Per dessert la torta di riso al sambuco con gelato allo zafferano e, fuori carta a rotazione, cassoeula classica (ma fortunatamente alleggerita) o ossobuco con purè.

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