Tag: storia della cucina italiana

Auguri a Davide Oldani e… alla sua prima cipolla caramellata!

La Cucina Italiana

Per fare i nostri migliori auguri a Davide Oldani, un piccolo omaggio per lui da parte de La Cucina Italiana, sulle cui pagine sono comparse tante delle sue ricette, soprattutto all’inizio della sua carriera. 

Tra queste, proprio la prima “bozza” della famosa cipolla caramellata, suo piatto iconico, alla quale arriverà poi con diversi perfezionamenti (e che racconta nel video con il nostro direttore Maddalena Fossati): uscì tra gli antipasti del numero di settembre del 2002, 20 anni fa

Era una tarte tatin di cipolle caramellate, che il nostro caporedattore Maria Vittoria Dalla Cia, allora appena arrivata a La Cucina Italiana, e autrice del testo della ricetta, ricorda come deliziosa. 

Una torta di compleanno davvero speciale!

Tarte tatin di cipolle caramellate

Ingredienti per 4 persone

100 g burro
80 g zucchero
4 cipolle bianche piatte
1 confezione di pasta sfoglia già stesa
gorgonzola piccante

Procedimento

Distribuite il burro a fiocchetti e lo zucchero in una padella antiaderente (22 cm di diametro) adatta anche per il forno.

Mondate le cipolle, tagliatele a metà e accomodatene 7 pezzi, con la superficie tagliata rivolta verso il basso, nella padella. 

Coprite con il disco di pasta sfoglia, accendete il fuoco e cuocete con fiamma molto dolce per 20 minuti circa. 

Infornate quindi a 140 °C per 30 minuti circa, finché la sfoglia non apparirà dorata. 

Sfornate, lasciate riposare qualche minuto e ribaltate la torta.

Servitela subito, guarnita con cubetti di gorgonzola. 

Torino a tavola: la guida fra piatti storici e cultura contemporanea

La Cucina Italiana

Dal primo ristorante d’Italia alle piole

Nel libro si parte dalla gastronomia dai tempi dei Romani, lungo la via che scendeva verso la Liguria per scambiare grano e vino con sale, olio e acciughe, di quella del cuoco medioevale Francesco Chapusot che prevedeva una cottura della pasta di minimo mezz’ora, condita poi con burro e formaggio grattugiato, del vermouth e del peperone di Carmagnola. Nei primi capitoli – realizzati anche grazie all’archivio de La Cucina Italiana – si scava nelle opere storiche, dove non mancano le curiosità, come il fatto che nella Torino di Carlo Alberto esistesse già la pentola a pressione (le pentole autoclavi con coperchio a vite) e si parlasse di importare funghi allevati, ma anche di quali fossero i migliori macellai torinesi. In epoca moderna, più che i ricettari dei cuochi di nobili e signori, sono i ristoranti ad aver testimoniato l’evoluzione e la crescita anche sociale ed economica delle città. A Torino c’è il primo ristorante d’Italia, Del Cambio, che dal 5 ottobre 1757 si rinnova ciclicamente rimanendo sempre fedele a se stesso, ma c’erano anche le osterie popolari e le piole. Tra le più antiche, in città c’è quel Caffè Vini Emilio Ranzini che è in via Porta Palatina sin dagli anni Sessanta, ma anche il ben più “anziano” ristorante trattoria Ponte Barra che si trova in corso Casale 308, e vecchie fotografie testimoniano la sua esistenza già nel 1902. Nel volume si ripercorre la storia dei grandi ristorati del passato, la maggior parte oramai chiusi, dei loro menù che fondevano cucina francese e piemontese.

L’arrivo di prodotti e gastronomie dal Sud

Tra il 1958 e il 1963 più di 1.300.000 meridionali abbandonarono le proprie case per trasferirsi nel Centro e nel Nord Italia; tra essi sono più di 800.000 coloro che si dirigono verso le grandi città del triangolo industriale, prima tra tutte Torino. In poco meno di un decennio arrivarono dal Sud in città centinaia di migliaia di persone, lasciarono i campi per lavorare in fabbrica, e portarono in città le proprie abitudini alimentari. Negli archivi del Museo di Torino si ricorda anche una filastrocca, molto diffusa tra i bambini della Puglia: “Torino, Torino, che bella città, si mangia, si beve e bene si sta!”. Non nacquero subito però nuovi ristoranti come accade oggi, l’uscire a mangiare era un lusso, ma questa cultura rimase chiusa nelle case. A porta Palazzo però i banchi cominciarono a fiorire di ingredienti mai visti, come cime di rapa, peperoncini, soppressate e caciotte. Piuttosto che ai ristoranti, il libro guarda quindi alle gastronomie, che oltre a mettere in mostra l’eccellenza della cucina locale, portano in città anche tipicità regionali. Nascono prima panifici come il Tarallificio Il Covo e il Panificio Pugliese e poi le gastronomie regionali negli anni Novanta, precedute dalle pasticcerie, soprattutto siciliane e napoletane, che dagli anni Sessanta e Settanta fanno conoscere a tutti i torinesi la tradizione pasticcera del Sud Italia: Pisapia a San Salvario, Pasticceria Primavera in Vanchiglia, Auriemma in Barriera di Milano. I primi ad aprire ristoranti furono, come a Milano, i toscani. La prima trattoria fu Il Gatto Nero, ancora in attività dal 1952, e dove ancora si servono l’Insalata di mare (ricetta del 1960), prosciutto toscano al colletto e fiorentine, e poi Balbo, da trattoria piemontese convertita a toscana negli anni in cui la cucina di Firenze e dintorni era di moda. Nel libro si parla della Trattoria Valenza, rilevata nel 1978 dal suo patron Valter Braga, arrivato da Rovigo nel 1957 insieme al primo flusso migratorio in città avvenuto dal Veneto in seguito alla tragedia del Polesine. Targata 1969, la Trattoria San Domenico, sarda, insieme a Da Benito (1966), sono sono invece due esempi di chi per primo portò il pesce in città.

La farinata in bicicletta e la pizza al padellino

Prima della Seconda guerra mondiale a Torino non esistevano molte pizzerie, racconta sempre il libro, si conoscevano solo la farinata e il castagnaccio di tradizione toscana, ma decisamente non la pizza napoletana. Questo perché i primi pizzaioli a emigrare nella città furono proprio quelli toscani e liguri, che portarono con loro usanze e tradizioni, come appunto quella della farinata, che fino agli anni Cinquanta veniva portata in giro sul manubrio dagli ambulanti della bicicletta nella teglia tenuta calda con la carbonella. Anche se il boom è scoppiato a partire dagli anni Cinquanta, il tegamino (o padellino), la vera pizza di Torino, è comparsa in città sin dagli anni Trenta, nei forni specializzati in farinate. Tra i locali storici si citano la Pizzeria da Alba di corso Racconigi, Cecchi di via Nicola Fabrizi e di via Madama Cristina, Da Gino in via Monginevro (aperta nel 1935), Da Michi in via San Donato (aperta nel 1971), Poldo in via Dante di Nanni (aperta nel 1939), Il Cavaliere di corso Vercelli (aperta dal 1958) e ancora Cit ma Bon di corso Casale (ai piedi della collina dagli anni Settanta), Da Michele in piazza Vittorio (aperto nel 1922 con farinata e castagnaccio e, dagli anni Trenta, anche con l’offerta della pizza al tegamino).

Torino oggi, dal kebab (gourmet) alla cucina Nikkei

A Torino il kebab è arrivato a metà anni Novanta grazie agli egiziani, Sindbad Kebab ha infatti aperto nel 1993. Il primo turco, anzi curdo, ad aprire i battenti in città è stato invece Kirkuk Kaffè, 1995, ma a Torino esiste dal 2000 un ristorante unico del suo genere: il primo kebab “gourmet” del Paese. Lo ha aperto Ergülü Demir, arrivato dalla Turchia a Torino e con la voglia di far conoscere la sua cucina ai torinesi. Lo ha fatto puntando sulla qualità, e ancora oggi prepara i döner (i grandi spiedi verticali) con la carne italiana di vitello ogni giorno, per farcire panini a fianco di piatti tipici della cucina turca realizzata con ingredienti freschi piemontesi – ora in due indirizzi. Nel libro si ripercorre poi la storia della cucina cinese, di quella indiana e giapponese in città. Sino al sushi, che dà titolo al libro. Il primo locale, aperto da imprenditori cinesi, risale al 1995, mentre nel 1997 aprì invece Wasabi, primo ristorante giapponese in città il cui titolare fosse davvero nipponico. Ma per concludere questo viaggio, bisogna citare un ristorante pluripremiato che ben rappresenta la realtà attuale della ristorazione torinese, Azotea. Fa alta cucina Nikkei, quindi un mix di tradizione peruviana e giapponese, nata dalle emigrazioni nipponiche del XIX secolo, oggi diffusa soprattutto in Sud America. La prepara lo chef Alexander Robles – nativo di Cuzco e con la nonna giapponese – ed è un indirizzo diventato di culto, al pari di quello dei grandi chef stellati in città. Per un racconto originale e non stereotipato di quello che sono le influenze, e di quella che è Torino, oggi.

I racconti della tavola: 10 storie incredibili sulla cucina

La Cucina Italiana

Un viaggio nei secoli fra i banchetti sontuosi di nobili e imperatori, sommi poeti e personaggi famosi. È I racconti della tavola, il podcast di Massimo Montanari online dal 3 maggio su Rai Play Sound. 10 storie in cui il Professore all’Università di Bologna e presidente del Comitato Scientifico che ha portato il dossier della candidatura Unesco «La cucina italiana, tra sostenibilità e biodiversità culturale» alle istituzioni italiane – ritenuto a livello internazionale uno dei maggiori specialisti nel campo – alterna storie curiose a racconti incredibili che attraversano le varie regioni d’Italia, fra medioevo ed età moderna.

Dante Alighieri e quel curioso episodio

Ne I racconti della tavola protagonista è anche Dante Alighieri, noto anche per il suo spirito sarcastico, irascibile e per la sua arte sopraffina. Il Vate, invitato a pranzo da Roberto d’Angiò, re di Napoli, diede da mangiare e da bere alle sue vesti strofinandoci sopra la carne e versandosi il vino addosso.

Le altre storie

Adelchi, principe longobardo sconfitto da Carlo Magno, intrufolandosi di nascosto al banchetto del suo vincitore per lanciargli un messaggio di potenza, ostentò un appetito animalesco così poderoso da riuscire a conquistare il neo vincitore stesso. Eccoci poi alla Corte di Bentivoglio a Bologna, invitati ad un pranzo di nozze che ci dà l’opportunità di conoscere le abitudini gastronomiche del tempo e i valori sociali e politici legati al cibo. In occasione di un banchetto in onore dell’imperatore Carlo V, organizzato da Bartolomeo Scappi cuoco di grande notorietà e autore del più importante ricettario italiano di fama rinascimentale, scopriamo poi i rapporti tra cucina di corte e cucina popolare. Coppa di fragole al vino bianco invece per onorare la regina Cristina di Svezia, in occasione di un convivio novembrino a Mantova.

Lezioni di cucina in podcast

Ne I racconti della tavola non mancano le lezioni di cucina. Si parla di cuocere come simbolo di civiltà e non cuocere come simbolo di animalità e di ‘ritorno’ al mondo selvatico. Ci si sofferma sul ricettario che Maestro Martino, umanista romano e direttore della biblioteca pontificia, scrisse insieme all’amico Bartolomeo Sacchi, e che divenne un’icona della cultura gastronomia dell’epoca. E per concludere, eccoci ai nostri giorni a sfogliare le pagine del libro di cucina di Pellegrino Artusi, testo che ha contributo a rafforzare la nostra cultura culinaria nazionale.

On line, dal 3 maggio

I Racconti della tavola è on line dal 3 Maggio su https://www.raiplaysound.it e sull’app RaiPlay Sound, alla pagina https://www.raiplaysound.it/programmi/iraccontidellatavola
Il podcast è nato da un’idea di Massimo Montanari e Danco Singer. Prodotto da Frame-Festival della Comunicazione per Rai Play Sound. I testi e la voce principale sono di Massimo Montanari, La seconda voce è di Giorgia Carnevale. La supervisione editoriale è di Silvia Di Pietro e Veronica Scazzosi. La post-produzione, il sound design e le musiche sono di Diego Minach.

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