Tag: natale ricette

Arista alla birra – Ricetta di Misya

Arista alla birra - Ricetta di Misya

Innanzitutto, se non l’avete comprata già legata, provvedete a legare la carne (qui la guida per farlo al meglio).
Unite in una ciotola la carne, la birra e gli aromi (infilate salvia, rosmarino e alloro sotto lo spago, poi aggiungete pepe, pepe rosa e chiodi di garofano nella ciotola), coprite la ciotola con pellicola per alimenti e lasciate riposare in frigo per una notte o per almeno 8 ore.

Riprendete la carne, scolatela (tenendo da parte la marinatura) e fatela rosolare in una casseruola con dell’olio caldo, girandola per far dorare tutti i lati.

Tritate sedano, cipolla e carota e aggiungeteli nella casseruola, insieme a 1 mestolo di marinata per farli appassire.
Salate, chiudete con un coperchio, mettete la fiamma al minimo e lasciate cuocere per almeno 1 ora e 30 minuti, girando ogni 20-30 minuti e aggiungendo altra marinata quando necessario.
(Per verificare la cottura infilzate la carne con uno spiedino, se esce ancora liquido rosa proseguite la cottura per altri 10 minuti.)
img data-src=”https://www.misya.info/wp-content/uploads/2022/09/3-cottura-.jpg” alt=”” width=”1200″ height=”900″ class=”lazyload alignnone size-full wp-image-186557″ />

Spegnete il fuoco e lasciate raffreddare stesso nella casseruola prima di spostare la carne su di un tagliere, eliminare lo spago e affettarla.

Frullate il fondo di cottura con un minipimer, aggiungete anche un cucchiaio di farina e lasciate restringere a fiamma bassa fino ad ottenere una salsina.

L’arista alla birra è pronta, non vi resta che servirla con la sua salsina di accompagnamento.

Calzagatti, lo snack modenese che “caccia via i gatti”

La Cucina Italiana

La storia dei calzagatti inizia con il classico c’era una volta… una “rezdora” modenese che, nel contorno di una leggenda vernacolare, stava preparando la polenta in un paiolo. In un’altra pentola, la nostra rezdora (così si chiama a Modena la persona detentrice di un sapere antico che trasmette attraverso la cultura e l’arte del cucinare) stava cucinando anche i fagioli su una stufa a legna. Al momento di portare i legumi in tavola, sarebbe inciampata sul suo gatto accovacciato sul pavimento. In questo modo, i fagioli sarebbero finiti dentro il paiolo della polenta: la rezdora pur di non far saltare la cena ai suoi famigliari avrebbe così inventato i calzagatti. Il gatto, infatti, terrorizzato da questo tumulto, sarebbe scappato a gambe levate e da qui il nome della nuova ricetta, cioè che caccia via i gatti.
Sarà per questo nome bizzarro, oppure perché in tempi di quasi austerity ci stiamo riavvicinando a ricette semplici, nutrienti ed economiche, ma i calzagatti sembrano godere ultimamente di più attenzione. Riuniscono i due ingredienti emblematici della cucina povera: fagioli e polenta, che insieme si arricchiscono l’un l’altro. La frittura finale, facoltativa, trasforma il piatto in uno snack davvero sfizioso.

Da piatto simbolo della gastronomia modenese e reggiana in fase di estinzione, questa ricetta — specialmente in versione snack, per venire incontro agli stili di vita di oggi — sta tornando a occupare i menù di sagre di paese, ristoranti, blog e menzioni in programmi televisivi. La maggior parte dei calzagatti che troverete in giro prevedono l’uso di pancetta o lardo nel soffritto dei fagioli e lo strutto come grasso per la frittura, ma quelli fatti in casa possono essere altrettanto deliziosi anche in versione vegana, senza carne e fritti nell’olio vegetale.

Il piatto si chiama in modi diversi, a seconda delle zone della provincia modenese: cazzagai, ma anche paparuccia, ciribusla o bagia. Si presenta anche in varianti diverse, come ogni piatto della tradizione. C’è chi aggiunge alla polenta un po’ di panna e parmigiano o chi, al posto della farina di mais, usa quella di castagne. 

Si consumano senza posate, come aperitivo, in abbinamento a una buona salsa ketchup e a un calice di Lambrusco di Sorbara. Oppure serviti in piatto, in compagnia di un formaggio morbido, come alla Trattoria Pomposa di Luca Marchini, a Modena, dove i calzagatti sono appoggiati su quenelle di ricotta.

Hotel Il Salviatino: la cucina dall’orto alla tavola

Hotel Il Salviatino: la cucina dall'orto alla tavola

È come il rassicurante accompagnamento di basso-continuo il concerto delle cicale che ci accoglie varcando il cancello dell’hotel Il Salviatino, sulla collina di Fiesole, oggi albergo di raffinata eleganza firmato Tearose. Il marchio, fondato nel 1994 da Alessandra Rovati Vitali, abbraccia tutte le arti, dalla ristorazione nelle tante declinazioni di Giacomo all’accoglienza in allestimenti floreali e ambientazioni da sogno.

All’hotel Il Salviatino, il rigoglio della natura si concentra nell’orto-giardino in permacoltura (un metodo che crea sistemi produttivi in grado di sostenersi da soli), come racconta Carola Rovati, solare figlia di Alessandra, supervisore food & beverage di tutta la struttura. «Ci sono più di tremila piante, messe a dimora secondo le indicazioni di Michelangelo Pistoletto per dare vita al suo Terzo Paradiso, un intervento di land art che rappresenta la fusione tra il primo eden, in cui uomo e natura erano totalmente integrati, e il paradiso artificiale generato dall’intelligenza umana. Nel terzo, l’artificio dell’uomo restituisce vita alla Terra. Con questo intento coltiviamo gli ortaggi, la frutta e le erbe aromatiche che riforniscono le nostre cucine, e i fiori che decorano le tavole e gli ambienti della casa». Un concentrato di bellezza e bontà che si riverbera nel menù messo a punto dallo chef Angelo Mancuso, che riprende con mano contemporanea e leggera i classici della tradizione italiana. E rinnova lo stile di Giacomo Bulleri, cuoco e imprenditore toscano, un riferimento della ristorazione milanese dalla trattoria degli anni Sessanta fino al Giacomo Milano di oggi.

La bomba di Giacomo, la ricetta

Cuoco: Paolo Curzi. Impegno: Facile. Tempo: 1 ora e 30 minuti. Vegetariana

Ingredienti per 4 persone

Proudly powered by WordPress