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» Stelle di polenta – Ricetta Stelle di polenta di Misya

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Innanzitutto preparate la polenta: portate a ebollizione l’acqua leggermente salata, quindi versate la farina a pioggia, mescolando allo stesso tempo con la frusta.
Cuocete, continuando a mescolare, per circa 5 minuti o finché la polenta non sarà piuttosto soda (non più mescolabile con la frusta, ma con un cucchiaio di legno), quindi spegnete la fiamma e aggiungete burro e parmigiano.

Versate subito la polenta sulla teglia rivestita di carta forno e livellate bene la superficie (potete fare come ho fatto io: ho coperto con un secondo foglio di carta forno e steso con il matterello), poi lasciate raffreddare.

Togliete il secondo foglio di carta forno (una volta fredda sarà più facile da levare lasciando intatta la superficie) e ritagliate le vostre stelline con una formina da biscotti (potete scegliere anche un’altra forma, o più forme diverse).
Distribuite le stelle sulla teglia, spennellatele con poco olio e cuocete per circa 10 minuti in forno ventilato preriscaldato a 200°C.

Lasciate raffreddare completamente le stelline; nel frattempo, mescolate mascarpone e gorgonzola fino ad ottenere una crema liscia e omogenea.
Una volta fredde, farcite le stelline con un po’ di crema (io ho usato una sac-à-poche con beccuccio a stella), un gheriglio di noce e poche gocce di miele.

Le stelle di polenta sono pronte, non vi resta che servirle.

Torta ai tre cioccolati: i consigli del pasticciere campione

Torta ai tre cioccolati: i consigli del pasticciere campione

La torta ai tre cioccolati è una vera ode al cioccolato in tutte le sue forme. Ma come si mescolano insieme 3 ingredienti simili ma diversi? Ce lo racconta il pasticciere campione del mondo 

Il cioccolato è un ingrediente assolutamente irrinunciabile durante l’autunno e l’inverno. Protagonista di moltissime preparazioni dolciarie, è uno degli elementi immancabili nel repertorio di qualsiasi pasticciere, anche di un campione del mondo come Ciro Chiummo. Professionista con 28 anni di esperienza, docente all’Aromacademy, unica Accademia di Pasticceria a Roma, e nella squadra italiana che nel 2020 ha vinto la Coppa del Mondo di Pasticceria e Gelateria con le sue sculture di ghiaccio, Chiummo si presenta in veste di consulente per la rinnovata pasticceria Al Solito Posto nel quartiere Tuscolano di Roma, che ha deciso di puntare su una proposta dolciaria di alto livello ma trasversale.

Nell’indirizzo di via Ponzio Cominio, oltre alla proposta di pasticceria tradizionale, ben nota agli abitanti del quartiere, trovano posto le ricette del super pasticciere, che ha ideato appositamente per questa insegna una versione unica della famosa torta ai tre cioccolati, che punta a diventare il tratto distintivo di Al Solito Posto

Chef Ciro Chiummo

Torta ai tre cioccolati: i consigli del pasticciere

La torta, interpretazione personale di quello che è ormai divenuto un grande classico della pasticceria, in cui si sono cimentati molti nomi noti italiani, tra cui Ernst Knam, viene qui proposta in una versione in tre mousse con inserto croccante ai cereali. Proprio l’elemento croccante è una suggestione voluta dal pasticciere, che sfida la consistenza cremosa della torta, dandole maggiore carattere. Imprescindibile l’assenza di glasse e cerchi di cioccolato che fascino la preparazione finale, “La torta deve essere nuda” dice Chiummo, affinché se ne possa ammirare la stratificazione e l’estetica, frutto di un procedimento lungo e laborioso per un risultato che può essere gustato sia nella monoporzione che come torta. Per qualsiasi momento della giornata e ricorrenza, anche d’estate, come ci confessa. Visto che si tratta di un dolce freddo al cucchiaio. 

Uno dei fattori più caratteristici e più rilevanti, da tenere a mente anche nella preparazione di mousse e dolci simili, è proprio il diverso trattamento dei tre cioccolati. Fondamentale nella gestione di questo ingrediente, che sia fondente, al latte o bianco, è la valutazione della quantità di burro di cacao di ciascun cioccolato. La parte grassa del cioccolato infatti, il burro di cacao, più è presente più tende a indurire con il freddo. Al punto che se si lavora con un cioccolato molto fondente, come un cioccolato al 70%, 80%, che ha il maggior quantitativo di burro di cacao, non è necessario utilizzare alcun tipo di addensante per ottenere una crema molto consistente. Come invece succede con il cioccolato bianco. I tempi per la lavorazione dei tre cioccolati a questo punto possono essere gli stessi, racconta Chiummo. “Sono riuscito a bilanciare gli ingredienti in modo tale da fare un’unica preparazione di base, cambiando solo il peso di ciascun cioccolato”. 

torta tre cioccolati

La più grande accortezza, in realtà, è quella di stratificare e comporre la torta quando lo strato precedente è molto solido. Anche se, contrariamente a come potrebbe sembrare, il procedimento di composizione parte dal cioccolato bianco (che alla fine della ricetta si trova in cima), poi viene quello al latte e infine quello fondente, sul quale si poggia il biscuit. A questo punto la torta viene capovolta. Un procedimento necessario perché, se la torta non venisse creata al contrario, al momento del taglio il cioccolato fondente rischierebbe di sporcare tutti gli altri strati rovinando la fetta.

un tassello essenziale del paesaggio

un tassello essenziale del paesaggio

La zuppa di legumi e grano: la ricetta che identifica la comunità di Matera e la civiltà contadina

Non si può capire cosa è la crapiata se non si capisce cosa è il Borgo La Martella di Matera e i Sassi. Se, tra tante specialità della gastronomia materana, è proprio questa semplice zuppa di legumi ad aver aperto i festeggiamenti di Matera Capitale Europea della Cultura, ci deve essere un motivo molto profondo, legato alla stessa intima natura di quelle architetture di pietra che ne hanno definito lo spazio e poi il tempo.

La crapiata e il Borgo La Martella

Il tempo di una volta a Matera, così come nell’intera Basilicata, era scandito dalla ciclicità della natura e dei suoi raccolti. La crapiata era il pasto della ricompensa: quando l’anno agricolo terminava con l’ultimo raccolto e se ne potevano gustare i frutti. La crapiata era il dono dello sforzo collettivo: quando tutti i contadini si riunivano per “mangiare insieme” e festeggiare. La crapiata era il risultato di tutti e non del singolo: tutte le donne materane portavano un pugno di ciò che era rimasto del raccolto precedente. Ogni pugno offriva grano, ceci, fagioli, lenticchie, cicerchie, fave… offriva quello di cui si viveva per l’intero anno. E si viveva di poco, ma quel poco era condiviso: perché la terra ha bisogno di tutti, non del singolo.

A metà secolo scorso, tra il 1951 e il 1954, il Borgo La Martella sorgeva dal paesaggio materano, destinato a ospitare tutti gli sfollati dai Sassi, gli stessi considerati la “vergogna d’Italia” dopo la denuncia del Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi. La “questione” Sassi e Matera divennero il simbolo del meridionalismo e del grande sogno per realizzare una vera Italia Unita. La visione fu quella delle migliori menti del tempo e si incarnò in una nuova architettura, nata dalle caratteristiche del territorio per dare forma alla cultura di coloro che vi abitavano. A capo di questo esercito di grandi rivoluzionari c’era Adriano Olivetti e il suo concetto di “Città Comunità: Matera come Ivrea, il Sud dentro la Comunità Italia”. Il Neorealismo di architetti come Ludovico Quaroni, Federico Gorio, Pier Maria Lugli, Michele Valori e Luigi Agati progettò lo spazio per accogliere la comunità. La Martella: emblema storico del Borgo contadino. Parametri e regole: ambiente, paesaggio, territorio, cultura locale. Il Borgo sorse dall’orografia del luogo e poi fu adagiato sul territorio, seguendone i segni e le forme. Ricrearono due elementi fondamentali della struttura dei Sassi: l’atmosfera della “corte interna” e del “vicinato”, incastonate sulle curve del territorio agricolo materano. Obiettivo: un’armoniosa continuità tra il nuovo e il vecchio paesaggio. Anche a livello tattile e visivo furono richiamate le tradizioni e i colori dei Sassi grazie all’utilizzo dei materiali autoctoni come il tufo e i cocci di argilla cotta. Le abitazioni furono previste con la presenza di un piccolo orto, un pozzo e anche una stalla per dare continuità al tempo che era sempre stato in quel luogo. Perfino il Teatro del Borgo aveva una struttura per svolgere la funzione aggregativa, che lì doveva essere ancora più forte: non aveva sedie né poltrone, ciascuno doveva portarsi la propria sedia da casa e accostarla al compagno.

Il senso e il sogno delle architetture del Borgo sopravvivono ancora oggi nel nome e nella crapiata. La Marted (La Mortella) è il nome di un’aromatica mediterranea spontanea: il mirto che, ancora oggi, è usato per la preparazione delle olive in salamoia. La zuppa è il sapore che gli sfollati dei Sassi hanno ricreato tutti insieme, chicco su chicco come mattone su mattone, per “architettare” in un nuovo tempo quello che sempre fu.

Ricordare e ricreare Comunità con la crapiata

A metà degli anni 70, quando tutti i sogni si infransero e ogni ricostruzione mostrò il proprio lato oscuro, anche il Borgo La Martella andò in crisi. Una crisi di comunità: gli anziani contadini che avevano vissuto nei Sassi si spensero senza poter passare il testimone, complice anche l’eterna piaga dell’emigrazione. L’individualismo cominciò a disgregare la comunità così come il capitalismo cominciava a sradicare i vecchi valori contadini. Paladino Raffaele, il factotum di allora del Borgo, sempre molto attento ai luoghi e alla propria gente, cominciò a ricreare aggregazione intorno alla crapiata, l’antica zuppa patrimonio comune di tutti i suoi concittadini. Si circondò di amici e contadini per ritrovare e tramandare l’antica “ricetta della comunità”, quella che concedeva solo un pizzico di sale ai “pugni” dei braccianti.
Cosa fondamentale: i legumi devono essere necessariamente secchi, perché residui dell’anno precedente. È col seme del passato che si alimenta il raccolto del futuro.

Così nacque la Sagra della Crapiata che, ancora oggi per i festeggiamenti del 70° anniversario del Borgo, fa transitare la comunità da un secolo all’altro: «Per il nostro Borgo, la crapiata è stata ed è un momento di grande aggregazione», conferma Paolo Grieco, presidente dell’associazione Amici del Borgo. «Il primo agosto è un appuntamento imperdibile non solo per noi che siamo qui, ma anche per tutti i martellesi andati via».

La ricetta della crapiata

La ricetta della crapiata è così antica che anche del nome, oggi, non si ha una interpretazione univoca. Per alcuni deriverebbe dal greco krambe, che indica una leguminosa. Per altri arriverebbe dalla vicina Calabria, dove crapia sarebbe il vecchio treppiede su cui si metteva il grande pentolone per cuocere la zuppa collettiva. E, ancora, potrebbe derivare da crapa poiché la domenica successiva alla festa si uccideva e mangiava una capra. Qualunque sia la sua vera origine, per i martellesi e per i materani, la crapiata è un “insieme di legumi secchi”, una mescolanza di elementi diversi in cui la diversità di ciascuno contribuisce alla ricchezza di gusto dell’intera zuppa.

La ricetta originale vorrebbe solo sale, olio e qualche patatina novella per la crapiata, ovvero solo ciò che si possedeva nel momento in cui si doveva portare il proprio “pugno” alla comunità; altri aromi e ingredienti freschi sono stati aggiunti solo successivamente. Anche le dosi conservano il mistero della tradizione: sono sempre eccessive perché pensate per sfamare tutti i contadini che partecipavano al raccolto, non una sola famiglia o alcuni amici. Oggi, per le nostre case, potremmo utilizzare un dosaggio e gli ingredienti rielaborati come segue.

Ingredienti per 6 persone

100 g di fave non decorticate
100 g di farro
100 g di ceci
100 g di cicerchie
100 g di piselli
100 g di fagioli bianchi
100 g di fagioli occhio nero
200 g di lenticchie piccole
200 g di grano duro
6 piccole patate novelle
1 carota
1 costa di sedano
1 cipolla
Olio extravergine di oliva qb
2 foglie di alloro
4 pomodorini
Acqua qb
Sale qb

Procedimento

Il giorno prima ammolla in abbondante acqua tutti i legumi secchi. Dopo 24 ore, scolali e sciacquali. Pulisci bene le patate novelle lasciando la buccia. Metti tutti i legumi e le patate novelle in una pentola e copri il tutto di acqua di circa un paio di centimetri. Fai cuocere a fuoco lento per circa 45 minuti. Aggiungi poi il resto degli ingredienti e un po’ di sale (metti interi il sedano, le carote e la cipolla mentre tagliuzza a tocchetti i pomodorini).
Fai cuocere per altri 45 minuti circa.
A cottura ultimata, elimina il sedano, le carote e la cipolla, aggiungi un filo di olio extravergine d’oliva a crudo, un po’ di peperoncino in polvere (secondo i tuoi gusti) e pane abbrustolito. Servi ben caldo, accompagnato da un buon vino rosso, meglio se un Matera Doc.

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