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Ricetta Sfoglie di pane croccante con composta di lamponi

Ricetta Sfoglie di pane croccante con composta di lamponi

Composta di lamponi con cipollotto e aceto: deliziosa su sfoglie di pane croccante oppure con le carni arrostite

  • 500 g lamponi
  • 100 g pane carasau
  • 100 g panna fresca
  • 50 g pistacchi sgusciati
  • 30 g zucchero di canna
  • 15 g zenzero fresco
  • 1 cipollotto (parte verde)
  • aceto rosso
  • sale
  • pepe

Per la ricetta delle sfoglie di pane croccante con composta di lamponi, iniziate tagliando a metà i lamponi.
Raccoglieteli in una casseruola con il cipollotto mondato e affettato molto sottilmente, lo zenzero sbucciato e tritato, lo zucchero, 2-3 cucchiai di aceto, sale e pepe.
Fate sobbollire per 10 minuti. Bilanciate il gusto della composta con altro aceto e/o sale. Spegnete e lasciate raffreddare.
Per l’aperitivo servite con pane croccante, panna montata e i pistacchi tritati.

Ricetta: Joëlle Néderlants, Testi: Laura Forti; Foto: Riccardo Lettieri, Styling: Beatrice Prada

La Pizzeria di Peppino Impastato a Cinisi

La Pizzeria di Peppino Impastato a Cinisi

Fra specialità della cucina siciliana e attività culturali, la pizzeria Impastato a Cinsi, in provincia di Palermo, non è solo una pizzeria, ma un simbolo della lotta alla mafia

A Peppino piaceva la sfincionella. Quella con pomodoro, cipolla e caciocavallo. «È quella che più rappresenta i gusti tradizionali siciliani, una pizza di grande carattere». Così ci racconta il fratello Giovanni Impastato, che ancora oggi gestisce la pizzeria di famiglia insieme alla moglie Felicia e alla figlia Maria Luisa. Ma sarebbe riduttivo chiamarla “solo” una pizzeria; negli anni, infatti, questo è diventato un luogo simbolo per l’antimafia, dove avvengono numerosi incontri in memoria di Peppino Impastato.

La nascita della pizzeria

Nel 1975 Luigi Impastato, padre di Giovanni e Peppino, decide di aprire un alimentari in un punto di passaggio importante, sulla Statale 113 a pochi chilometri da Cinisi e dall’Aeroporto Falcone e Borsellino di Punta Raisi. Eppure, nonostante si tratti di uno svincolo importante, con un passaggio continuo di persone, non c’era ancora nessun servizio o attività commerciale. Anche per questo il successo è immediato: diventa subito un luogo di ritrovo, si trasforma presto in edicola, tabacchi e poi in panineria, fino a diventare una pizzeria.
«È stata la prima pizzeria della zona e continua a essere il posto dove la gente viene per mangiare una buona pizza, in un ambiente familiare. Ma soprattutto è frequentata da persone sensibili alla nostra storia e al nostro impegno antimafia».

Giovanni Impastato. Foto di Carlo Manzo

Il papà, Luigi muore però nel 1977, dopo solo due anni dall’apertura, lasciando così la pizzeria in eredità ai figli. Dopo quel 9 maggio del 1978, è Giovanni ad occuparsene insieme alla moglie in cassa e alla figlia in sala. E nel tempo hanno cercato di renderlo un tempio dell’antimafia, sempre in collaborazione con Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, da visitare assolutamente.
«Per il resto non è cambiato molto, se non l’aggiunta di qualche piatto e di qualche pizza».

Che cosa si mangia

Inizialmente c’erano solo cinque pizze: Napoli, la preferita di Luigi, poi Margherita, Marinara, Quattro Stagioni e Romana con funghi, più il calzone. Negli anni sono aumentate sempre di più, per venire incontro alle esigenze delle persone che richiedevano delle novità, come ad esempio la Catamarano, una delle pizze che ha più successo oggi con bufala, funghi, pomodorini, crudo, scaglie di grana e rucola.

Foto di Carlo Manzo

I pizzaioli come Gaetano, che è qui da dieci anni, insieme a Felice e Daniele, sono rimasti sempre fedeli ad alcune costanti, come ad esempio la tipologia di pizza tipica siciliana, sottile e croccante, ben diversa da quella napoletana. In secondo luogo alla scelta di farine locali dell’entroterra siciliano e di altri prodotti tipici come il Caciocavallo di Cinisi dalle latterie della zona, famosa proprio per la vacca Cinisara. E infine alla tecnica di lievitazione naturale all’antica, con lievito madre, quello che qui viene chiamato in dialetto “lieviticchio”.
Ma non solo pizza: oggi alla Pizzeria Impastato si possono gustare anche vari antipasti tipici siciliani, come lo sfincione, le panelle, la caponata o altre specialità del giorno.

Non una pizzeria qualunque

Ma oltre al fatto di essere l’unica pizzeria della zona e di essere buona, questo posto è ovviamente molto di più. «La nostra pizzeria viene frequentata sia da clienti storici che vengono qui per mangiare, sia da persone sensibili alla nostra storia e al nostro impegno antimafia». Ogni anno vari i personaggi: da Marco Tullio Giordana, regista del film I Cento Passi, e l’attore Luigi Lo Cascio, a Salvatore, fratello di Borsellino; ma anche politici come Walter Veltroni, assessori, giornalisti. O anche semplicemente giovani e bambini che imparano la storia di Peppino a scuola e vengono qui per portare temi o disegni, come nel caso del piccolo Giulio, che abbiamo incontrato quando eravamo lì.

Foto di Carlo Manzo

Una delle attività principali che si svolge qui è la presentazione di libri, in primis dei numerosi scritti dal fratello, come l’ultimo appena uscito durante il lockdown: “Mio fratello, tutta una vita con Peppino”, in cui per la prima volta Giovanni racconta tutta la parte più intima e privata di una famiglia così legata al pubblico, con un tono familiare, come se fossimo anche noi un po’ in casa con loro. Ma poi anche tantissime altre iniziative come proiezioni, incontri, dibattiti, sempre con un pubblico legato alla storia di Peppino. Sempre lì, tutti seduti intorno a quell’ulivo centenario che si trova proprio al centro della pizzeria, fermo testimone dei tempi passati, forse simbolo di quelli futuri.

Foto di Carlo Manzo

I capperi di Pantelleria: storia e produzione

I capperi di Pantelleria: storia e produzione

Dove nascono e come si producono: la storia dei capperi di Pantelleria. Raccolti a mano, maturati nel sale marino: ecco il segreto dei boccioli migliori. Un sapore antico, che dalla terra arriva fino alle stelle…

Sapidi, aromatici, crescono solo dove la terra è baciata ardentemente dal sole, i capperi. La loro prima menzione gastronomica se la aggiudica niente meno che la Bibbia. Ma è Nicolo de’ Nicolai, cameriere e geografo del Re di Francia, che intorno alla metà del XVI secolo porta agli onori della cronaca quelli di Panthalarea (antico nome di Pantelleria) «dove fa gran copia di cottone e capperi, fichi, melloni e buona uva…». Oggi il 78% dei capperi pregiati nostrani si coltivano su questisola (2000 quintali l’anno, per un prodotto che si fregia dal 2010 del marchio Igp) e a Salina (circa 400 quintali l’anno, Presidio Slow Food dal 2020). A raccontarcelo è Rosario Cappadona, uno dei 250 coltivatori della Cooperativa Agricola Produttori capperi (capperipantelleria.com). Qui la pianta del Capparis spinosa è stata selezionata fin dall’Ottocento per ottenere la varietà Inermis, cultivar Nocellara, caratterizzata «da mancanza di spine, un bottone fiorale piccolo, compatto perché pieno di stami, che la rende più pregiata oltre che più docile alla raccolta».

Una volta avviata la coltivazione, i capperi ricevono le stesse cure riservate alla vite: « Il terreno viene lavorato e concimato in inverno e le piante potate. Si raccoglie all’alba, da metà maggio a fine settembre. Poi, a fine giornata, si depongono i boccioli in appositi tini a maturare lentamente, in salamoia, con procedimenti tramandati di padre in figlio. La chiave è il sale marino che fa sprigionare loro la caratteristica fragranza».

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