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Granchio blu: cos’è e perché è pericoloso (ma molto buono!)

La Cucina Italiana

Vaga nei nostri mari dal 2008: è a questa data che risale il primo avvistamento del granchio blu. I pescatori lo hanno trovato nelle acque della Basilicata, ma poi si è spostato e ormai ha colonizzato diverse coste italiane, dalla Toscana al Veneto. Tutti, però, ne parlano ora. Il motivo è che con il decreto legge Omnibus il governo ha messo a disposizione 2,9 milioni di euro per i consorzi e le imprese specializzate, affinché lo catturino, ne contengano la diffusione, e mettano la parola «fine» – questa è la speranza – a una delle più pericolose minacce al nostro ecosistema marino.

Cos’è il granchio blu

Il «Callinectes sapidus», questo il nome scientifico del granchio blu, non appartiene al nostro ecosistema: è arrivato in Italia dall’Atlantico attraverso i cargo, ed è molto aggressivo. È considerato il «killer dei mari» perché è onnivoro: mangia vongole, cozze, crostacei, qualsiasi tipo di pesce si ritrovi a tiro, specie gli avanotti (cioè i pesci appena nati), e le uova. Rovina anche le reti dei pescatori. Un danno enorme, ambientale ed economico: Fedagripesca-Confcooperative stima che il granchio blu abbia creato un buco di 100 milioni di euro. «Il granchio blu sta mettendo a rischio la sopravvivenza di uno dei luoghi più importanti per la produzione di vongole in tutta Europa. Milioni di euro di prodotto andati in fumo, anzi, divorati da questi granchi “stranieri”», ha dichiarato riferendosi al Delta del Po Paolo Tiozzo, co-presidente dell’Alleanza delle Cooperative Pesca. Una stangata che mette in ginocchio un settore già in serie difficoltà perché i pesci  – a prescindere dal granchio blu – sono sempre meno: la domanda ormai supera l’offerta, che non può ulteriormente aumentare perché abbiamo esagerato. Lo dice la Fao, riportando che il 66% dei mari è sfruttato al massimo e il 33% è sovrasfruttato.

Quanto diventa grande il granchio blu?

Affrontare la sfida del granchio blu per questo diventa prioritario, ed è una sfida molto complessa anche perché è una specie in grado di adattarsi perfettamente all’ambiente e soccomberlo: resiste dai 3 ai 35 gradi, praticamente a ogni tipo di mare (o quasi), si adatta all’acqua dolce (tollera salinità inferiori al tre per mille) così come a quella salmastra, si riproduce molto velocemente, e molto velocemente cresce. Misura fino a a 15 cm di lunghezza e 25 cm di larghezza, arriva fino a un chilo di peso e ha delle chele e delle zampe lunghe e forti che gli consentono di catturare rapidamente le prede e altrettanto rapidamente di muoversi.

Come si cucina il granchio blu

I Paesi in cui è diffuso da tempo, sulla Costa Atlantica degli Stati Uniti, considerano il granchio blu una specie da tutelare, tanto che non si può pescare al di sotto di una determinata grandezza. Inoltre lo mangiano abitualmente, normalmente lessato e poi fatto in insalata. Se fosse questa la soluzione? Secondo Coldiretti è una via possibile, e per darne la dimostrazione ha organizzato una manifestazione a Jesolo proponendo diversi piatti preparati con il granchio blu, dall’antipasto al dolce, mostrando che è particolarmente versatile: si può usare nello stesso modo del granchio grande atlantico (il King Grab)

Quanto costa un chilo di granchio blu

In effetti il granchio blu è buono: ormai lo usano diversi chef (Chiara Pavan, chef di Venissa a Venezia ne è un esempio) e chi scrive lo ha assaggiato, in preparazioni casalinghe con gli spaghetti e le bruschette (ci sono alcuni marchi che vendono la polpa di granchio blu anche al supermercato). La differenza di gusto rispetto al granchio grande atlantico (il classico King Grab) non è notevole. Il prezzo però è inferiore: il granchio blu costa circa 10 euro al chilo, mentre il King arriva ai 15. Il punto, però, è che secondo gli esperti pescare il granchio blu per mangiarlo non basterà, perché solo gli esemplari grandi sono adatti alla cucina, mentre i piccoli non si riescono a vendere. 

Ricerche frequenti:

Transizione proteica e le scelte alimentari degli italiani | La Cucina Italiana

La Cucina Italiana

Cosa significa parlare di transizione proteica? Si è tenuto a fine marzo a Roma un incontro di specialisti del settore (nutrizionisti, biologi, scienziati, istituzioni e filiera) per ripartire dalla corretta informazione scientifica approfondendo l’impatto del macronutriente oggi più dibattuto: le proteine. L’incontro è stato promosso dalla Fondazione Istituto Danone, in occasione della presentazione del XV volume della collana ITEMS Transizione proteica. Varietà nelle scelte alimentari per la salute dell’uomo e del pianeta.

Un approfondimento scientifico sull’impatto nutrizionale e ambientale degli alimenti proteici in questa fase evolutiva dell’alimentazione dell’essere umano. Ecco i punti essenziali emersi dal punto di vista scientifico.

1 La scelta alimentare deve essere consapevole e basata su evidenze scientifiche e non opinioni. È necessaria quindi una continua educazione dei cittadini così da fornire un corretto orientamento.

2 Il consumo di proteine è correlato a benefici per la salute in termine di riduzione della mortalità e delle malattie croniche. Le raccomandazioni nutrizionali indicano un apporto bilanciato tra proteine vegetali (55%) e proteine animali (45%).

3 Una dieta che preveda l’utilizzo di alimenti di origine vegetale e di origine animale è definita in varie declinazioni flexitariana.

4 Per definire sostenibile una dieta è necessario considerare, oltre all’adeguatezza nutrizionale e gli aspetti economici e sociali, anche l’impatto che essa ha sull’ambiente (come da definizione FAO).

Transizione proteica: cosa scelgono gli italiani

L’approfondimento scientifico è stato seguito dalla presentazione delle principali evidenze basate su ricerche di mercato condotte da GfK e Circana: Gli italiani e l’alimentazione: le dinamiche in atto tra salute, benessere e sostenibilità, dove è emerso con evidenza le seguenti questioni.

1 Quasi due italiani su tre dichiarano di seguire la dieta mediterranea con un incremento di oltre il 50% rispetto a 30 anni fa.

2 Pasta, verdura e pane costituiscono le prime 3 categorie più consumate dal maggior numero di italiani.

3 Troviamo invece al primo posto la frutta quando parliamo dell’alimento con il maggior numero di occasioni di consumo.

4 Le bevande a base vegetale, le uova e la pizza rientrano tra le prime tre categorie a maggiore crescita percentuale nelle occasioni di consumo rispetto al 2019.

Alla luce di tale scenario, si sono incontrate le Istituzioni, le associazioni e la filiera – in dialogo con il mondo scientifico – e hanno dato vita a uno scambio di riflessioni sull’evoluzione delle scelte alimentari della nostra popolazione, ragionando insieme su come tutti gli attori, dai produttori alle Istituzioni, passando per gli esperti di nutrizione, possano contribuire alla transizione proteica.

Le conclusioni finali

L’interesse a contribuire al miglioramento della qualità della vita della collettività e delle persone che ne fanno parte è un tema indubbiamente politico che, proprio in occasione della presentazione del volume sulla transizione proteica di Fondazione Istituto Danone, ricorda come il benessere delle persone dovrebbe essere in consonanza con il sistema di una nutrizione sana ed equilibrata e in armonia con il nostro pianeta.

La diversificazione di una alimentazione di qualità pone in campo il problema dei divari economico-sociali che si rilevano negli orientamenti di acquisto. La possibilità di garantire un accesso equo a un’alimentazione variegata e salutare diventa una questione etica che guarda all’importanza di scelte alimentari sane, ma che siano al contempo accessibili anche economicamente, poiché espressione del tradizionale modello di consumo alimentare mediterraneo, che guarda alla salute dell’organismo e alla salubrità dell’ambiente.

È fondamentale dunque che il mondo delle Istituzioni, in ascolto della scienza e del mondo agricolo, supporti accordi di filiera per sostenere il fabbisogno di materie prime destinate alla produzione di prodotti vegetali, al fine di sostenere la produzione agricola made in Italy e per una nuova filiera nazionale di qualità e che dia impulso agricolo ai territori, tramite un forte incentivo alla produzione di soia, avena, riso e mandorla, proprio al fine di supportare e incentivare la transizione proteica, che è espressione della dieta mediterranea.

Dieta disintossicante dopo le feste di Pasqua

La Cucina Italiana

Senso di pesantezza, gonfiore addominale, difficoltà nel digerire: sono i classici segnali che ci manda il corpo dopo le abbuffate dei giorni di festa. Riuscire a perdere quei due o più chili accumulati e a ritrovare un benessere generale non è un’impresa impossibile: basta seguire per alcuni giorni una dieta disintossicante, oltre a svolgere quotidianamente dell’attività fisica.

Ma cosa si intende per dieta disintossicante? Significa prediligere cibi freschi invece di quelli preconfezionati, preferire proteine e fibre ai carboidrati e se proprio non potete rinunciare a questi ultimi, consumate quelli integrali. Evitare l’uso di alcol e di bevande gassate, rinunciare ai fritti e ai cibi ricchi di grassi, e bere tanta acqua. Qualche giorno di attenzione e poi potrete tornare al vostro solito regime alimentare senza nessuno sforzo.

Frutta e verdura in quantità, quindi, soprattutto mele, pere e uva, oltre ai cibi ad alto contenuto di fibre e proteine, come i legumi. Questi alimenti infatti ci mettono più tempo a essere digeriti rispetto ai carboidrati, e donano un senso di sazietà più a lungo.

Tra i vegetali preferite quelli a foglia verde: verze, cavoli, spinaci, oltre ai broccoli. Sono ricchi di enzimi che aiutano il corpo a smaltire le tossine e a depurarsi. Anche i carciofi con la loro azione diuretica aiutano a eliminare le sostanze nocive e a purificare il fegato.

Scorzonera, porri, barbabietole e songino sono un toccasana per stimolare il sistema linfatico perché contengono antiossidanti, oltre a potassio, vitamina B6 e B9 e C. Fate scorta anche di frutta secca, con mandorle, noci, pinoli, nocciole, per un carico di minerali come rame e selenio.

Non rinunciate poi a una colazione a base di yogurt e avena, due alimenti indicati per dare una mano all’intestino pigro o infiammato e per stimolare il metabolismo e i processi depurativi.

Durante la giornata bevete molti liquidi, acqua preferibilmente, ma anche centrifugati di frutta e verdura, soprattutto di finocchio, sedano, carote e kiwi, tutti cibi altamente purificanti. Condite poi le insalate con olio extravergine di oliva e limone: quest’ultimo aiuterà ad assorbire il ferro presente nelle verdure.

Scegliete infine di pranzare e cenare a casa invece di andare al ristorante: saprete selezionare voi gli ingredienti migliori e controllare le giuste quantità per ogni porzione.

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