Categoria: Ricette veloci

Tiramisù a Roma: 7 varianti da provare

La Cucina Italiana

Il tiramisù a Roma è sempre stato una cosa seria. Nonostante le origini venete, di negozi specializzati in tiramisù nella capitale se ne contano da anni e nelle carte dei ristoranti, anche se scontato, appare quasi imprescindibile. Anche perché è sempre il dolce che vende più di tutti.

Il tiramisù a Roma

Il tiramisù di Zum da Eggs

Barbara Agosti ha inventato il format a tutto uovo che si chiama Eggs. È lei che aveva dato vita anche a Zum, il cui nome è l’acronimo di zucchero-uova-mascarpone: in pratica la ricetta della crema del tiramisù. Il punto vendita di piazza del Teatro di Pompei non è più aperto, ma la versione che più filologica non si può della Agosti è possibile assaggiarla a Trastevere da Eggs. Uova rigorosamente biologiche, provenienti dal Bio Farm Orto di Arianna Vulpiani, ma in carta ci sono anche le versioni modificate, che cambiano in base alle stagioni, inoltre ci sono le opzioni gluten free o senza lattosio. Per i più golosi, la chef di Zum Barbara Agosti ha inventato un gusto che unisce le sue origini piemontesi alla capitale: una base di biscotti Gentilini per rappresentare Roma e crema spalmabile al cioccolato per non smentire le proprie origini.

In barattolo da Charlotte

Non lasciatevi ingannare dall’atmosfera tutta rosa da casa di Barbie. Charlotte non è un gioco, ma ormai una consolidata pasticceria che ha reso più dolce Re di Roma. È a un passo dall’uscita dell’omonima metropolitana e merita di essere conosciuto per i suoi dolci moderni e piacevoli, frutto della capacità e passione di Claudia Martelloni. Alcuni sono dei veri e propri trompe-l’oeil, e magari il tiramisù, nascosto nel suo barattolo può apparire meno invitante, eppure è un concentrato di gusto, dall’anima estremamente tradizionale: è preparato con crema al mascarpone, savoiardi alla vaniglia fatti in casa, caffè filtro Mondi e cioccolato fondente Valrhona. Una vera delizia, volendo anche da passeggio.

Sù tiramisù da Casa & Bottega

Da qualche anno la pastry chef Loretta Fanella ha lanciato il suo Sù: il tiramisù con la cialda di cioccolato che fa croc. Una volta spaccata con il cucchiaino, il ripieno di caffè (il Kafa, arabica 100% monorigine di Lavazza) va a intingere il savoiardo. In pratica una rivisitazione del tiramisù espresso, sormontato da una classicissima crema al mascarpone fatta con le suddette uova di Parisi e con mascarpone homemade. Si trova da Casa & Bottega, il bistrot di via dei Coronari che ha dedicato un corner a questo dolce da passeggio, a due passi da piazza Navona. La novità recente è la cosiddetta “shot experience”, ovvero la versione mignon in bicchierino che costituisce un piccolo peccato di gola.

Il bicchierino da Felice a Testaccio

Più che un tiramisù, quello di Felice è un ulteriore peccato di gola, da compiere alla fine di un pasto che probabilmente è già stato un’imperdonabile trasgressione, specie dopo l’immancabile cacio e pepe per cui Felice è famoso in tutta la città. Insomma, se entrate da Felice non pensate alle calorie, ma lasciate uno spazietto per il suo famoso tiramisù al vetro, che alla crema di mascarpone e ai biscotti sbriciolati sul fondo, aggiunge una generosa colata di cioccolato fuso. Roba da fare la scarpetta nel bicchiere.

La sfera di Bowie

Il mitico tiramisù in sfera di Cristina Bowerman ora arriva a casa con Glovo. La chef stellata di Glass da qualche mese ha dato vita al progetto di “democratizzazione del gusto” che si chiama Bowie. In pratica con un click arrivano a casa, fra le altre ricette pensate appositamente per il format, alcuni suoi cavalli di battaglia, come appunto la Sfera di tiramisù (un must dei tempi di Romeo). Il croccante involucro di cioccolato a forma di globo racchiude il goloso tiramisù fatto con savoiardi inzuppati al caffè e un ripieno di crema inglese arricchita con mascarpone e panna. La prima cosa da fare è rompere il rivestimento, la seconda è tuffarsi in questa golosità.

Il classico in pizzeria da la Gatta Mangiona

Anche in una delle pizzerie migliori della città si trova un tiramisù di tutto rispetto. C’è perfino chi dice di mangiarlo solo lì, probabilmente oltre che per la bontà, anche per la fiducia nella scelta delle materie prime da parte di Giancarlo Casa, patron della Gatta, come la chiamano gli amici. Comunque, questo è un tiramisù che ha tutto l’aspetto di quello fatto in casa, con i savoiardi bagnati generosamente di caffè e la crema al mascarpone. Non particolarmente bello, niente bicchieri, barattoli o monoporzioni di altro genere: si prende la spatola e si mette nel piatto. Fine. Ed è buono come quello della nonna.

Il TiramiSeu di Seu Pizza Illuminati

Un’altra pizzeria, ma questa volta niente tradizione, ma una rivisitazione a tutta pizza. L’estro di Pier Daniele Seu, pizzaiolo che ha fatto impazzire i romani, da qualche anno che si è particolarmente concentrato sulla sezione dei dolci. Ed ecco che l’anno scorso tira fuori dal cappello il TiramiSeu, ovvero la sua versione su disco di pizza al cacao: la tonda viene cotta con una generosa dose di zucchero di canna a caramellare in forno, quindi spicchiata e guarnita. Un topping a base di crema pasticcera alla vaniglia e mascarpone, ricotta con cacao e caffè, gel e polvere di caffè. Infine un tocco divertente: i frizzi pazzi che scoppiano in bocca e fanno tornare bambini.

Pizzette di polenta – Ricetta di Misya

Pizzette di polenta - Ricetta di Misya

Innanzitutto preparate la polenta: portate a ebollizione l’acqua leggermente salata, calate la farina di mais a pioggia, mescolando da subito, infine portate a cottura, sempre mescolando, seguendo i tempi riportati sulla confezione, quindi condite con burro e grana.

Una volta cotta, versate la polenta sulla teglia rivestita di carta forno, creando uno strato uniforme alto 1-2 cm, coprite con pellicola per alimenti e lasciate raffreddare completamente.
Una volta completamente fredda e ormai solidificata, usate un coppapasta per creare le pizzette (in alternativa, tagliate semplicemente la polenta a quadrotti con un coltello a lama liscia).

Condite le pizzette a piacere: io ho usato sale, olio, rosmarino, passata di pomodoro e provola a dadini.
Infine cuocetele per circa 15 minuti o fino a doratura in forno ventilato preriscaldato a 180°C.

Le pizzette di polenta sono pronte, potete servirle calde, tiepide o anche fredde.


I dolci di Pasqua del Sud Italia tra ricotta, uova e agnelli

La Cucina Italiana

Uova, agnelli, ricotta. I dolci di Pasqua del Sud Italia si basano tutti su questi tre pilastri, da interpretare come un simbolo religioso, se non in alcuni casi pagano, oppure come semplici ingredienti per i piatti delle feste. Pensate di conoscerli tutti? Vediamoli insieme.

I dolci di Pasqua del Sud Italia

I dolci di ricotta: la pastiera napoletana e la pitta salentina

La ricotta addolcita che si usa nella pastiera napoletana, ma anche nella pitta (pizza) dolce salentina, altro non è che la trasfigurazione delle offerte votive di latte e miele tipiche delle prime cerimonie cristiane, riportata in questi dolci che risultano simili a crostate con la ricotta. Nell’impasto della pastiera, la cui tradizione si fa risalire al Settecento, inoltre si aggiunge il grano, che simboleggia la fertilità e che unisce a doppio filo i festeggiamenti pasquali e gli antichi riti pagani di benvenuto alla primavera. E se l’annata era stata scarsa, al posto del grano si metteva il riso, oppure la pasta avanzata. Per questo sono state tramandate nel tempo più versioni di questa ricetta. 

L’aggiunta di fiori d’arancio o canditi, presenti anche nella colomba pasquale, è un ulteriore segno di abbondanza e di voglia di celebrare la bella stagione che sta arrivando. C’è chi sostiene che ci sia un legame anche fra la cassata siciliana e la Pasqua. Non è verificato che l’origine di questo dolce sia collegata a questa ricorrenza, tuttavia sulla tavola di Pasqua delle famiglie siciliane la cassata non può mancare.

I dolci con le uova: scarcelle, pupi e cuzzupe

Le uova, nella loro interezza, sono una vera e propria ossessione pasquale al Sud. Si mangiano sode come antipasto, si trovano sul casatiello, il lievitato napoletano, di cui si segnalano in Campania sia la versione salata che quella dolce (anche se in questo secondo caso non si mettono le uova sopra ma solo nell’impasto). Poi si trovano su scarcelle pugliesi, pupe siciliane, pannarelli lucani, cuzzupe e cuddure calabresi: tutte versioni locali di “biscottoni” più o meno ricchi di ingredienti e di aromi e soprattutto dalle forme molto varie. Insomma, sono presenti in tutto il Sud Italia, malgrado la simbologia dell’uovo in quanto simbolo di fecondità sembra derivi da tradizioni germaniche.

La simbologia cristiana è invece più chiara nelle forme: colomba, canestro, galletto, cuore, paniere, pupa e anche pesci, altro tipico riferimento cattolico. Una storia curiosa riguarda le cuzzupe e la quantità di uova che si mettono sopra, mai casuale e sempre dispari, per una motivazione più pagana, legata alla fortuna. Secondo le antiche tradizioni, si regalava la cuzzupa ai fidanzati. Di solito era la suocera a donarla al futuro genero, che dal numero di uova capiva se il matrimonio era imminente o meno. È tuttora tradizione preparare una cuzzupa per ogni membro della famiglia: al più anziano va quella più grande e ai bimbi quelle dalle forme più divertenti.

L’agnello: di marzapane nella tradizione siciliana e salentina

Inutile dire che l’agnello, l’Agnus Dei, è il simbolo cristiano per eccellenza. In versione dolce, il più famoso è quello di marzapane di Favara, in provincia di Agrigento, la cui caratteristica principale è quella di avere pasta di mandorle all’esterno e un cuore di pistacchio all’interno. A Taranto e in tutta la costa salentina, invece, si trova l’agnello interamente di marzapane. La decorazione tipica prevede tanti piccoli confetti e una bandierina di carta rossa chiamata labaro. Si possono fare anche in casa con degli stampi appositi oggi disponibili anche in versione moderna, ma più facilmente si acquistano, anche perché sono vere e proprie sculture, che richiedono una certa abilità tecnico-plastica, e gli stampi nelle pasticcerie locali si tramandano di generazione in generazione.

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