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Omini pan di zenzero al cacao

Omini pan di zenzero al cacao

Mettete in un pentolino burro, zucchero e miele e scaldate a fiamma bassa fino a farli sciogliere completamente, poi lasciate raffreddare.
Nel frattempo, a parte, setacciate in una ciotola e poi mescolate farina, cacao, zenzero e bicarbonato.

Incorporate il tuorlo e il mix di burro e lavorate velocemente fino ad ottenere un panetto omogeneo, quindi avvolgetelo con pellicola per alimenti e lasciate riposare in frigo per almeno 1-2 ore, o meglio ancora tutta la notte.

Passato il tempo del riposo riprendete il panetto, stendetelo sul piano di lavoro leggermente infarinato in una sfoglia abbastanza sottile (circa 0,5 cm) e ricavate gli omini con una formina.

Disponeteli sulla teglia rivestita di carta forno, ben separati tra di loro, e cuoceteli per circa 10 minuti o fino a leggera doratura in forno ventilato preriscaldato a 180°C, poi lasciate raffreddare completamente.

Iniziate a montare gli albumi, quindi incorporate prima lo zucchero a velo e poi anche il succo di limone: non sarà necessario montare completamente gli albumi, basterà ottenere una glassa liscia e densa, ma ancora fluida.

Mettete la glassa in una sac-à-poche dal beccuccio liscio e molto sottile e decorate a piacere i vostri omini, usando anche gli zuccherini, infine lasciate riposare ancora per almeno 7-8 ore.

Gli omini pan di zenzero al cacao sono pronti, non vi resta che lasciar asciugare la glassa e servirli.

Osterie d’Italia: le migliori 15 da nord a sud

Osterie d'Italia: le migliori 15 da nord a sud

Si fa presto a dire osterie d’Italia (o trattorie). Mai come adesso è un termine che si presta – soprattutto in alcune regioni – a deviazioni più o meno leggere dalla filosofia che il sentimento comune le assegna dalla notte della cucina. Lo si vede anche dalle scelte delle due guide che ogni anno le valutano: I Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso sceglie i tre Gamberi (36 nell’ultima edizione), Osteria d’Italia di Slow Food – quindi ancora più specializzato nella tipologia – è stata particolarmente generosa nel volume appena presentato, assegnando 311 Chiocciole (forse con troppa generosità, ma è un nostro personalissimo parere). In ogni caso, con evidenti differenze tra regione e regione, per questioni di pubblico e prezzo, c’è ancora una rotta valida dal Brennero a Pantelleria fatta di materie prime del territorio, rispetto della tradizione (talvolta con tocchi d’autore e/o innovativi) e sostenibilità. Aspetto che se per molti ristoranti è novità recente, per osterie e trattoria – soprattutto nelle zone meno ricche – è storia antica e naturale. Non si buttava mai niente, la cucina del recupero per molti non è un’invenzione di marketing.

L’ospitalità delle osterie

E poi c’è il valore dell’ospitalità che, come dice Carlin Petrini, guru di Slow Food, «vuol dire garantire al cliente un atteggiamento di benevolenza, il più sincero possibile. L’accoglienza migliore è quella che esprime l’identità di chi gestisce il locale e del locale stesso». La buona notizia è che molti dei locali sono stati aperti di recente, soprattutto, da giovani cuochi e cuoche (non di rado patron o soci) che tra i tanti modelli offerti dalla ristorazione contemporanea, hanno scelto di calzare proprio quello dell’osteria. È il caso di professionisti che, dopo svariate esperienze all’estero, in segmenti totalmente diversi come quello del fine dining e in ristoranti di ben altro livello, scelgono di seguire «una via all’osteria» che garantisce un futuro alla tipologia mentre si discute del destino dell’alta cucina.

L’osteria di oggi

Torniamo al tema iniziale: cosa è oggi un’osteria? Per noi sono i locali che incarnano al meglio l’autenticità della cucina italiana, una cucina semplice, priva di barocchismi ed eccessi di lavorazione che hanno il solo fine di stupire. Una cucina che non cerca di uniformarsi in un unico stile con cotture millimetriche, ma sottolinea le differenze e non si piega alle mode. Poi è giusto non rimanere bloccati ed ecco che Osterie d’Italia, quest’anno, ha allargato la visione tradizionale a enoteche con cucina, agriturismi, ma anche alternative come pastifici, pub e gastronomie le cui caratteristiche sono, in primis, l’attenzione e l’aderenza al territorio. Ma al tempo stesso ha assegnato le prime Chiocciole anche ai posti segnalati negli inserti, locali la cui offerta e impostazione sono interpreti di una tradizione gastronomica autoctona, rintracciabile esclusivamente nella regione di appartenenza. E sono ben 15 ad aver ricevuto il massimo riconoscimento: un trippaio fiorentino, 4 indirizzi di supplì e pizza al taglio romani, 2 indirizzi per gli arrosticini abruzzesi, 7 pizzerie campane e un indirizzo per il morzello calabrese.

Ecco le new entry di quest’anno e, a seguire, la nostra personalissima selezione delle (nuove) osterie immancabili, dove vino, cibo, atmosfera e gente creano un mix imperdibile. Prenotate sempre.

Lidia Bastianich: «Le ricette e i ricordi più belli della mia vita in Italia»

Lidia Bastianich: «Le ricette e i ricordi più belli della mia vita in Italia»

Lidia Bastianich è cuoca, personaggio televisivo, scrittrice italiana naturalizzata statunitense. Non in ultimo mamma e nonna, premurosa, talvolta severa, ma sempre rispettosa delle sue radici italiane. Già, perché le origini di Lidia Bastianich sono istriane, quando ancora l’Istria apparteneva all’Italia, almeno fino al 1975, quando il nostro Paese – con il discusso Trattato di Osimo – rinunciò definitivamente e senza contropartite, al suo diritto su quei territori. Le abbiamo chiesto qualche aneddoto di quando viveva in Istria, con i suoi genitori e tutti i parenti, molti dei quali oggi non ci sono più. Ma anche cosa si è portata dietro, per ridare vita a quei ricordi con il pensiero e con i fatti.

Questo tema importante di commistione tra ricordi e cucina è il fulcro del progetto I Racconti delle Radici, creato in collaborazione con il MAECI, che è stato presentato alla Farnesina di recente alla presenza dei Ministri Tajani e Lollobrigida durante il lancio dell’ottava edizione della SCIM – Settimana della Cucina Italiana nel Mondo 2023. Naturalmente, Lidia Bastianich non poteva non far parte di questo magnifico racconto dell’immigrazione italiana nel mondo, e qui vi raccontiamo già un primo assaggiato.

Nonna Rosa e gli animali da cortile

«Sono cresciuta con mia nonna Rosa in campagna, a Pola, in Istria, in mezzo agli animali, ai prodotti della terra. Ricordo ancora il cortile di casa e questa scena: i nonni, i loro fratelli, le varie zie, tutte con grembiule e fazzoletto legato in testa. Erano loro, le zie, che a tavola ci ricordavano di non sprecare mai il cibo, “ci son figliol che non dar da magnar”, dicevano. Oggi la cucina italiana per me è un ricordo, una nostalgia, una passione, un modo per ricevere e dare amore. È stata, a tutti gli effetti, non solo uno stimolo per quello che ho fatto e che sto facendo negli Stati Uniti ma anche una conferma di quello che sono. Da bambina son cresciuta in una comfort zone, in piena campagna, tra i polli, le caprette, i conigli a cui portavo da mangiare. Io ero la “runner”, la “helper”, l’aiutante di nonna Rosa in cucina, soprattutto il giorno della domenica. Ricordo ancora quegli odori inebrianti del sugo che bolliva per ore, lì dove c’era la stufa, nella casetta “nera”, accanto al pollaio. Ma anche il profumo del lauro, del rosmarino, della conserva di pomodoro, che mi piaceva “tocciare”, un po’ furtivamente, con un pezzo di pane».

L’addio all’Italia, senza preavviso

«Quando sono emigrata negli Stati Uniti, nel 1958, avevo 12 anni, è stato il cibo a ricordarmi la mia infanzia: cucinare mi faceva stare bene perché mi riportava a quel periodo andato. Una volta arrivata a New York mi sono chiesta: “Perché amo così tanto la cucina?”. Credo che sia stato l’istinto a farmi tornare alle origini: ero bambina e all’epoca non avrei mai immaginato che non avrei più visto casa, poi nel tempo l’ho capito e, con dispiacere, ho pensato che non ero riuscita a salutare mia nonna Rosa, le mie caprette, le mie zie… Ecco, con la cucina ho portato la mia terra, la mia famiglia, in America».

Quella cucina piccola, ma piccola… così

«Una tradizione tenuta viva con passione, entusiasmo e amore da quattro generazioni, persino quando, appena arrivati Oltreoceano, la Caritas ci aveva assegnato un appartamentino con una cucina piccola quanto uno sgabuzzino. Lì abbiamo, comunque, fatto tavolate con la famiglia e gli amici, non senza difficoltà: ci passavamo il cibo di mano in mano, visto che non c’era spazio a sufficienza Poi, appena ho potuto, per reazione, mi sono regalata una grande cucina! Tra i piatti che preparavamo più spesso c’erano risi e patate, la polenta con il formaggio, le verze in padella e, soprattutto, gli gnocchi, che ancora oggi, quando li mangio, sono una carezza interna, mi trasmettono una “sensation” unica. Una tradizione che continua anche a New York e che ho trasmesso anche ai miei nipoti.

Attorno al tavolo a impastare gli gnocchi

Da piccoli i miei nipoti si mettevano tutti attorno al tavolo a impastare, proprio come faceva mia nonna con me; adesso sono adulti, vanno all’università, ma mi chiamano per chiedere consigli: “Come si fa il sugo, quanto deve bollire il brodo ecc.”. Sono felicissima che anche loro, oltre ai miei figli, possano portare con sé le loro origini, nonostante siano nati in America. La cultura del cibo trascende dalla nascita, ma appartiene alle origini della famiglia. Anche perché c’è una differenza sostanziale tra gli italiani e gli americani, noi ci portiamo dietro sempre il cibo. Per quello la cucina italiana negli Stati Uniti è la più apprezzata, anche grazie ai primi italoamericani che nel 1800 erano venuti qui a cercare fortuna, portando con sé le tradizioni regionali. Ben diverse dalle mie istriane, perché le loro erano del sud Italia. Così, in età adulta, ho cominciato a viaggiare in lungo e in largo per il Belpaese, così ho scoperti i piatti regionali e li ho portati negli States. Questa è stata la mia fortuna, questa la mia scelta, questa la mia vita».

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