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Olive sotto sale: la ricetta della nonna

Olive sotto sale: la ricetta della nonna

Le olive sotto sale sono una ricetta facilissima da preparare, ma per farla servono le olive fresche, disponibili solo nella stagione di raccolta

Probabilmente non esiste una ricetta più facile di questa perché per fare le olive sottostare avrete bisogno solo di olive fresche e sale grosso.

Olive appena raccolte

Per preparare le olive sotto sale bisogna però avere a disposizione una bella quantità di olive nere fresche appena raccolte, ecco perché solo nella stagione di raccolta è possibile preparare questa ricetta.
Questa modalità di conservazione delle olive vi permetterà di gustare questi frutti deliziosi in molti piatti perché sono perfetti per insaporire insalate, primi e secondi, ma sono anche degli snack saporiti e super nutrienti.

Olive verdi e nere

Forse non tutti sanno che le olive nere sono di fatto l’evoluzione delle olive verdi maturate per un periodo più lungo, rispettando natura, clima e coltivazione.
Il tempo prolungato sulla pianta addolcisce il frutto e lo rende anche di colore più scuro, ma di fatto si tratta sempre di olive verdi che diventano nere.

La ricetta delle olive sotto sale

Ingredienti

Olive nere fresche
sale grosso

Procedimento

Per prima cosa lavate molto bene le olive e privatele di rametti e foglie. Scartate quelle rovinate, ammaccate o molli e selezionate solo le migliori.
Sistematele in uno scolapasta e poi tamponatele con un panno per asciugarle.

Prendete dei vasetti di vetro sterilizzati e con la chiusura ermetica e preparate un primo strato leggero di sale.
Proseguite con uno strato di olive e un altro strato di sale.
Continuate fino a riempire il vasetto, ma lasciate un po’ di spazio perché le olive devono poter essere mescolate all’interno agitando il vasetto.

Chiudete ermeticamente e muovete il vasetto di tanto in tanto, in questo modo il sale farà uscire l’acqua di vegetazione delle olive che diventeranno più dolci.
Le olive saranno pronte dopo circa 15 giorni.
Una volta che le olive saranno dolci, eliminate il sale in eccesso e asciugatele.
Trasferitele in un vasetto di vetro e conditele con olio extravergine di oliva e erbe aromatiche se volete, oppure con degli spicchi di aglio.
I vasetti vanno chiusi ermeticamente e conservati in frigorifero. Le olive devono sempre restare coperte dall’olio.

Come utilizzare le olive sotto sale

Per prima cosa assicuratevi che siano abbastanza dolci, quindi seguite tutti i passaggi della nostra ricetta.
Poi denocciolatele e aggiungetele in una semplice insalata verde mista, oppure su una bruschetta con olio e pomodoro, sulla pizza, sulla pasta al sugo o in un secondo a base di carne o pesce.
Utilizzate insomma questo ingrediente come utilizzereste tutte le olive in genere.
Potete anche farci un paté da spalmare sui crostini. Basta frullare le olive denocciolate con poco olio extra vergine di oliva.

Scorrete la gallery in alto per saperne di più sulle olive sotto sale!

Quale zucca usare per il risotto?

Quale zucca usare per il risotto?

Lunga, tonda, verde, gialla, rugosa, di Mantova o di Chioggia? Per ogni ricetta ci vuole la zucca giusta

Sarà il suo colore caldo che ricorda l’estate appena trascorsa oppure merito della sua versatilità: con la zucca si può preparare un intero menu dall’antipasto al dolce. Lunga, tonda, verde, gialla, rugosa. Di zucche la nostra Penisola è davvero prodiga. Ma come fare, in  mezzo a tante varietà, a scegliere la zucca da usare in base alla nostra ricetta?

Quale zucca usare per il risotto?

Quale zucca per il risotto? Per un buon risotto è consigliata una zucca dalla polpa densa, povera di fibre e filamenti, quindi la migliore è la zucca detta “Cappello da prete” tipica della pianura reggiana e mantovana; ha la buccia che dal verde salvia tende al grigio. Molto simile, quindi anch’essa adatta al risotto, è la zucca “Marina di Chioggia”. Queste due zucche sono perfette per i risotti e per preparare il ripieno di due grandi primi della storia gastronomica italiana, i cappellacci di Ferrara e i tortelli di Mantova.

Equilibrare il gusto dolce della zucca

Come apprendiamo dalle ricette di questi due primi della tradizione, la dolcezza della zucca deve essere sempre equilibrata da un ingrediente acido oppure amaro. Nei cappellacci di Ferrara si utilizza la noce moscata e nei tortelli di Mantova amaretti e mostarda. Tutti i migliori piatti con la zucca hanno tra gli ingredienti qualcosa di acido o amaro: amaretti, mostarda, aceto, limone, radicchio. Oppure formaggi con aromi intensi come il Gorgonzola o il taleggio.

Quale zucca usare per le zuppe?

Con l’arrivo dell’autunno comincia a venir voglia di una calda zuppa. Per preparare la zuppa scegliamo la varietà “lunga” di Napoli o “napoletana”. Questa zucca ha forma cilindrica e un po’ allungata con un colore verde striato all’esterno e arancio all’interno. Questa tipologia si può mangiare nelle insalate, cotta al vapore o al forno. È perfetta anche per le preparazioni dei dolci.

Scegliere una zucca saporita

Che sia di Mantova, di Chioggia o di Napoli è fondamentale che la nostra zucca sia anche buona. Quando la zucca è intera come facciamo a capire se è saporita? Bisogna osservare la parte bassa opposta al picciolo. Proprio in quel punto, se la zucca è buona, noteremo un colore grigio bruno. Una volta comprata la zucca possiamo lasciarla intera anche per due mesi. Se invece la tagliamo e puliamo va consumata entro un paio di giorni.

In alto le nostre ricette per il risotto con la zucca!

Testo di Elsa Piccione

Ricerche frequenti:

Il marroncino di Melfi e i calzoncelli della Basilicata

Il marroncino di Melfi e i calzoncelli della Basilicata

Una “fantasia amorosa” importata, forse, da Federico II nel Vulture-Melfese che, nei secoli, ne ha caratterizzato il paesaggio e la tavola: è il Marroncino di Melfi, la castagna tipica lucana

Nell’autunno dai mille colori, tra i rami di un’enorme foresta di faggi, cerri, lecci e, soprattutto, castagni, s’alza in volo un nibbio reale. Sovrasta una grande nuvola di fumo, che proviene dalle mille Varole ardenti, per rubare un dolce fagottino e portarlo al suo amato sire, Federico II di Svevia. Se poi il cauzunciedd è fatto dalle candide mani di una graziosa madonna melfitana, sarebbe proprio la fiaba ideale per tratteggiare il marroncino di Melfi e i suoi calzoncelli al mosto di Aglianico del Vulture.

Storia del marroncino

Il primo europeista della storia, poliglotta, scienziato, letterato e tanto altro ancora, Federico II di Svevia, l’imperatore tedesco-normanno che dedicò la vita all’edificazione di un grande impero mediterraneo, forse, fu proprio lui a importare il marroncino a Melfi dalla Turchia. Tra Melfi, Rionero, Rapone, Barile e Atella ci sono tra gli 800 e i 1000 ettari (di cui ben più di 500 nel solo territorio di Melfi) di terreno destinato alla produzione di questa specialità. La produttività dell’area si stima dai 20 ai 50 quintali a ettaro. Alcuni studiosi, infatti, ritengono che proprio sotto il regno di colui che amava il Vulture in tal modo da promulgare qui la più grande opera legislativa laica dal Medioevo fino all’età napoleonica, le cosiddette Costituzioni Melfitane (Liber Augustalis), siano sorti i primi castagneti. Lentamente, i castagneti sono diventati elementi essenziali del paesaggio ai piedi del Vulture. Un vulcano spento dalla forma conica aperta, che ricorda l’apertura alare di un volatile, per cui sarebbe stato paragonato a un avvoltoio. Monte Vulture, monte Avvoltoio: patria di nibbi reali, falchi pecchiaioli, gufi reali e altri rapaci che attraversano i cieli. La regalità dei rapaci: altro motivo per cui lo “Stupor Mundi” si recava periodicamente in questa terra, stabilendosi per lunghi periodi nei castelli di Lagopesole e Melfi. Qui le lunghe giornate di caccia ispirarono il suo trattato De arte venandi cum avibus. Arte ancora praticata dai numerosi falconieri lucani che, proprio nei boschi e tra i castagni del Vulture, fanno allenare e cacciare i propri rapaci.

L’intero Vulture-Melfese è così intimamente legato alla sua castagna che dal 1960 si festeggia in tutte le sue mille declinazioni nell’attesissima Sagra della Varola, sicuramente tra i più importanti e seguiti appuntamenti gastronomici lucani. Si tratta di una tradizione che si ripete ogni anno il penultimo weekend di ottobre a Melfi. Qui il marroncini sono arrostiti in un enorme recipiente bucherellato, la Varola, e trasformati in caldarroste, ma anche in gelati, castagnacci, birra, pasta, crema di marroni, liquori e tanto altro ancora.

Il marroncino di Melfi, in attesa di IGP, è una castagna molto adatta a essere consumata fresca, quindi ricercatissima per produrre marron glacé; è di grossa pezzatura e di forma tondeggiante; ha un colore marrone lucido con striature evidenti e si raccoglie in settembre e ottobre. La tradizione vuole che la raccolta sia opera soprattutto delle donne, che in un sol giorno riescono a mettere insieme dai due ai tre quintali. Tra queste donne potrebbe celarsi la reincarnazione della regale fantasia amorosa che sedusse l’imperatore con un gustoso cauzunciedd lacrimante d’Aglianico del Vulture, la cui ricetta non è più un amoroso segreto.

Ingredienti per 4 persone

Impasto
1 kg di semola rimacinata (farina di grano duro)
1 bicchiere di zucchero
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere d’olio d’oliva
5 uova

Ripieno
1 kg di castagne Marroncino di Melfi
800 g di zucchero
¼ di litro di mosto cotto d’Aglianico del Vulture
1 bustina di vanillina
100 g di cacao amaro
100 g di cioccolato fondente
2 pugni di mandorle tostate
200 g di ceci lessi
1 pizzico di cannella
1 chiodo di garofano
1 bicchiere di mosto cotto d’Aglianico del Vulture
olio per friggere

Procedimento

L’impasto per la sfoglia si ottiene amalgamando tutti gli ingredienti fino a ottenere un composto morbido, ma non appiccicoso. Si lascia riposare 15 minuti e poi si tira una sfoglia da tagliare in strisce larghe e sottili.

Per il ripieno si mette in una casseruola il mosto cotto d’Aglianico del Vulture e il cioccolato, a fiamma molto moderata. Quando il cioccolato si sarà sciolto si possono aggiungere piano piano tutti gli altri ingredienti. Infine si versa lo zucchero gradualmente e si lascia cuocere a fiamma bassa per 20 minuti circa. Si deve formare un composto omogeneo, ma non molto sodo, poiché si solidificherà raffreddandosi.

A ripieno freddo, con un cucchiaio mettere la crema sulle strisce di sfoglia e chiuderla, dandole la forma dei calzoncelli (ovvero dei ravioli). Friggerli e, dopo che si sono raffreddati un po’, versarci una lacrima di mosto prima di servirli.

Questo è un piatto tradizionale della Basilicata che, oltre a inneggiare a tutto il gusto del marroncino appena colto, è anche il dolce tipico delle feste natalizie.

Ricerche frequenti:

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