Il marroncino di Melfi e i calzoncelli della Basilicata

Il marroncino di Melfi e i calzoncelli della Basilicata

Una “fantasia amorosa” importata, forse, da Federico II nel Vulture-Melfese che, nei secoli, ne ha caratterizzato il paesaggio e la tavola: è il Marroncino di Melfi, la castagna tipica lucana

Nell’autunno dai mille colori, tra i rami di un’enorme foresta di faggi, cerri, lecci e, soprattutto, castagni, s’alza in volo un nibbio reale. Sovrasta una grande nuvola di fumo, che proviene dalle mille Varole ardenti, per rubare un dolce fagottino e portarlo al suo amato sire, Federico II di Svevia. Se poi il cauzunciedd è fatto dalle candide mani di una graziosa madonna melfitana, sarebbe proprio la fiaba ideale per tratteggiare il marroncino di Melfi e i suoi calzoncelli al mosto di Aglianico del Vulture.

Storia del marroncino

Il primo europeista della storia, poliglotta, scienziato, letterato e tanto altro ancora, Federico II di Svevia, l’imperatore tedesco-normanno che dedicò la vita all’edificazione di un grande impero mediterraneo, forse, fu proprio lui a importare il marroncino a Melfi dalla Turchia. Tra Melfi, Rionero, Rapone, Barile e Atella ci sono tra gli 800 e i 1000 ettari (di cui ben più di 500 nel solo territorio di Melfi) di terreno destinato alla produzione di questa specialità. La produttività dell’area si stima dai 20 ai 50 quintali a ettaro. Alcuni studiosi, infatti, ritengono che proprio sotto il regno di colui che amava il Vulture in tal modo da promulgare qui la più grande opera legislativa laica dal Medioevo fino all’età napoleonica, le cosiddette Costituzioni Melfitane (Liber Augustalis), siano sorti i primi castagneti. Lentamente, i castagneti sono diventati elementi essenziali del paesaggio ai piedi del Vulture. Un vulcano spento dalla forma conica aperta, che ricorda l’apertura alare di un volatile, per cui sarebbe stato paragonato a un avvoltoio. Monte Vulture, monte Avvoltoio: patria di nibbi reali, falchi pecchiaioli, gufi reali e altri rapaci che attraversano i cieli. La regalità dei rapaci: altro motivo per cui lo “Stupor Mundi” si recava periodicamente in questa terra, stabilendosi per lunghi periodi nei castelli di Lagopesole e Melfi. Qui le lunghe giornate di caccia ispirarono il suo trattato De arte venandi cum avibus. Arte ancora praticata dai numerosi falconieri lucani che, proprio nei boschi e tra i castagni del Vulture, fanno allenare e cacciare i propri rapaci.

L’intero Vulture-Melfese è così intimamente legato alla sua castagna che dal 1960 si festeggia in tutte le sue mille declinazioni nell’attesissima Sagra della Varola, sicuramente tra i più importanti e seguiti appuntamenti gastronomici lucani. Si tratta di una tradizione che si ripete ogni anno il penultimo weekend di ottobre a Melfi. Qui il marroncini sono arrostiti in un enorme recipiente bucherellato, la Varola, e trasformati in caldarroste, ma anche in gelati, castagnacci, birra, pasta, crema di marroni, liquori e tanto altro ancora.

Il marroncino di Melfi, in attesa di IGP, è una castagna molto adatta a essere consumata fresca, quindi ricercatissima per produrre marron glacé; è di grossa pezzatura e di forma tondeggiante; ha un colore marrone lucido con striature evidenti e si raccoglie in settembre e ottobre. La tradizione vuole che la raccolta sia opera soprattutto delle donne, che in un sol giorno riescono a mettere insieme dai due ai tre quintali. Tra queste donne potrebbe celarsi la reincarnazione della regale fantasia amorosa che sedusse l’imperatore con un gustoso cauzunciedd lacrimante d’Aglianico del Vulture, la cui ricetta non è più un amoroso segreto.

Ingredienti per 4 persone

Impasto
1 kg di semola rimacinata (farina di grano duro)
1 bicchiere di zucchero
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere d’olio d’oliva
5 uova

Ripieno
1 kg di castagne Marroncino di Melfi
800 g di zucchero
¼ di litro di mosto cotto d’Aglianico del Vulture
1 bustina di vanillina
100 g di cacao amaro
100 g di cioccolato fondente
2 pugni di mandorle tostate
200 g di ceci lessi
1 pizzico di cannella
1 chiodo di garofano
1 bicchiere di mosto cotto d’Aglianico del Vulture
olio per friggere

Procedimento

L’impasto per la sfoglia si ottiene amalgamando tutti gli ingredienti fino a ottenere un composto morbido, ma non appiccicoso. Si lascia riposare 15 minuti e poi si tira una sfoglia da tagliare in strisce larghe e sottili.

Per il ripieno si mette in una casseruola il mosto cotto d’Aglianico del Vulture e il cioccolato, a fiamma molto moderata. Quando il cioccolato si sarà sciolto si possono aggiungere piano piano tutti gli altri ingredienti. Infine si versa lo zucchero gradualmente e si lascia cuocere a fiamma bassa per 20 minuti circa. Si deve formare un composto omogeneo, ma non molto sodo, poiché si solidificherà raffreddandosi.

A ripieno freddo, con un cucchiaio mettere la crema sulle strisce di sfoglia e chiuderla, dandole la forma dei calzoncelli (ovvero dei ravioli). Friggerli e, dopo che si sono raffreddati un po’, versarci una lacrima di mosto prima di servirli.

Questo è un piatto tradizionale della Basilicata che, oltre a inneggiare a tutto il gusto del marroncino appena colto, è anche il dolce tipico delle feste natalizie.

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