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Le migliori pizzerie di Torino: 7 indirizzi da provare ora

Le migliori pizzerie di Torino: 7 indirizzi da provare ora

Se siete nel capoluogo piemontese e avete voglia di pizza, eccovi l’articolo da salvare subito in memoria: qui le migliori pizzerie di Torino da segnarvi.

Simbolo della cucina italiana nel mondo, la pizza festeggia il suo World Pizza Day e si conferma come uno dei piatti più amati di sempre. Una ricerca fatta da Just Eat, leader nel mercato del
digital food delivery, testimonia come nel solo 2023 siano stati ordinati quasi 5,5 milioni di chili di
pizza per un totale che, se calcolato in distanza, arriverebbe a toccare i 5mila 800 chilometri.
Insomma, la pizza mania alimenta il cuore degli italiani con tendenze nelle scelte che si
differenziano da nord a sud Italia.

Dalla pizza al padellino alla tonda classicaa fino alla gourmet, andiamo a conoscere quali sono le migliori pizzerie di Torino tra novità e punti fermi della gastronomia cittadina.

Le migliori pizzerie di Torino in 7 indirizzi

Ricetta Spigola in tempura con maionese al lime, la ricetta

Ricetta Spigola in tempura con maionese al lime, la ricetta

Se in tempura è più frequente gustare molluschi e crostacei come calamari e gamberi, oggi vogliamo stupirvi preparando con questa cottura la spigola, pesce bianco chiamato anche branzino, che solitamente si cuoce a filetti in padella o intero al forno.

Scoprite di seguito come preparare la Spigola in tempura con maionese al lime per un secondo croccante e profumato da mangiare con le mani. Nella ricetta lo chef ha utilizzato il pesce con la pelle, piacevole da mangiare perché delicata e resa croccante dalla frittura, ma volendo si può eliminare. Inoltre, per velocizzare la preparazione si può scegliere una maionese pronta, delciata, e aromatizzarla aggiungendo succo e scorza di lime.

Scoprite anche queste ricette: Tempura di pesce spatola, fichi e soia, Tempura di polpo e salsa piccante, Tempura di calamari, totani e carciofi, Gamberi in tempura con salsa agropiccante.

Cos’è l’umami, il quinto elemento del gusto

La Cucina Italiana

«Che gusto ha?» «Umami!». Oramai è sempre più comune rispondere così davanti ad un piatto. Le caratteristiche del “quinto sapore” sono entrate nel nostro patrimonio gastronomico, o più che altro abbiamo imparato a dare un nome ad un gusto che appartiene da sempre alla cucina italiana. Fino a qualche anno fa parlare di umami suonava esotico, e il termine si usava per la sola cucina giapponese, poi la consapevolezza si è diffusa fra gli chef internazionali e sino alla cucina della nostra quotidianità. Ma che cosa significa e a che cosa corrisponde questo umami?

Dalle alghe giapponesi al Parmigiano Reggiano

Quella che potrebbe sembrare una moda passeggera, o l’ennesima invenzione “del mondo del food” si basa su studi cominciati nel 1908 in Giappone dallo scienziato Kikunae Ikeda, professore del Dipartimento di Chimica della School of Science di Tokyo, che per primo cominciò a parlare della presenza di un gusto ulteriore oltre ai quattro canonici. Un gusto saporito (umami letteralmente significa saporito in giapponese), indefinibile attraverso i quattro sapori utilizzati sino ad allora. Per primo ne riconobbe l’alta concentrazione nelle alghe kombu, ricche di glutammato monosodico – presente anche in altri alimenti come il katsuobushi (una bottarga di tonno che viene utilizzata in scaglie), nei funghi shitake essiccati, e nel miso. Si definisce umami (definizione ufficiale dell’Umami Information Center) «un gusto sapido piacevole che viene da glutammato, inosinato e guanilato, che si trovano naturalmente in carne, pesce, verdura e prodotti lattiero caseari». Il gusto umami infatti non ha nulla a che vedere con la sola cucina giapponese e può essere riconosciuto in prodotti localissimi, tant’è che lo stesso Ikeda intuì l’esistenza del gusto umami in Europa, assaggiando per la prima volta pomodori, asparagi e formaggio. Tornato in patria, sviluppò un metodo di produzione per il glutammato monosodico (MSG), brevettato poi nel 1908.

Umami = buono

Amato dai bambini proprio perché hanno un palato vergine e istintivo, il gusto umami è anche quello del latte materno, che contiene una percentuale elevatissima di glutammato, e che quindi ci svezza, rendendolo al genere umano universalmente gradito – al di là invece di altri condizionamenti culturali legati al sapore dei cibi. Saper riconoscere i sapori è alla base della sopravvivenza umana, e dei gusti innati delle persone. L’amaro e l’acido sono due segnali di pericolo per il nostro cervello perché in quantità eccessive significano cibi velenosi o avariati. Lo zucchero invece – fonte di energia – è invece percepito come piacevole dal nostro palato proprio perché segno di un cibo utile, così come il salato, fonte di sali minerali. Il gusto umami è quello dei cibi proteici, necessari al nostro organismo e quindi piacevoli, stimola la salivazione, la digestione e l’assorbimento dei nutrienti – tanto che alcuni studi identificano non solo sulla lingua ma anche nello stomaco la presenza di papille gustative dedicate a questo sapore. Ecco perché l’umami in equilibrio con gli altri gusti di base determina la prelibatezza di un piatto.

Patrimonio UNESCO perché l’umami è parte di una cucina sana

La strada per l’ufficializzazione scientifica di questo nuovo gusto è stata lunga, basti pensare che solo nel 2002, a quasi un secolo di distanza, sono stati individuati dei particolari recettori presenti nella nostra bocca e che nel 2013 la maestria nell’uso del sapore umami degli ingredienti, invece dei grassi animali, in cibi sani ma saporiti ha decretato l’introduzione della cucina tradizionale giapponese nel patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO. Controtendenza all’idea che il glutammato monosodico non faccia poi così bene, i ricercatori della Tohoku University del Giappone hanno anche sperimentato come l’insensibilità all’umami determini perdita di appetito, conseguente perdita di peso e quindi indebolimento del fisico e della salute, soprattutto nei pazienti più anziani. Inoltre l’umami aiuta a ridurre il contenuto di sale in cucina.

L’Umami nella cucina italiana: pomodori e Parmigiano

L’umami si trova in una varietà di alimenti tra cui carne, pesce e verdure. Ne sono ricchi i pomodori, tonno e sardine, carne di manzo, pollo e maiale, funghi, cipolle, piselli, asparagi, broccoli, rape. La componente umami degli alimenti aumenta poi a seguito di lavorazioni come la maturazione e la fermentazione, ossia nel Parmigiano Reggiano, nel prosciutto crudo e in condimenti come la salsa di soia o le salse di pesce – che infatti vengono proprio per rendere più buoni e appetibili i cibi su cui vengono utilizzati. Le ricette di tutto il mondo mostrano come la scoperta moderna dell’umami non sia altro che il riconoscimento scientifico di un sapere secolare che ha portato nel tempo a cucinare questi ingredienti, e le loro componenti di glutammato, inosinato e guanilato, mixandoli fra loro proprio per massimizzarne gli effetti gastronomici. Riso in bianco e soia, pasta in bianco e parmigiano, brodo di carne e dote di verdure…. le ricette anche italiane che sono buone perchè umami sono tantissime, risotto al pomodoro inclusa.

Umami come il glutammato: facciamo chiarezza

Il glutammato monosodico è uno degli ingredienti più studiati in campo alimentare, spiega il Consiglio europeo di informazione sull’alimentazione (EUFIC), veniva estratto da cibi ricchi di proteine naturali come le alghe marine e funghi, ma oggi è ottenuto da un processo di fermentazione industriale a partire da barbabietole da zucchero, canna da zucchero o melassa. Il glutammato monosodico (MSG), brevettato da Ikeda nel 1908, viene così utilizzato per intensificare il sapore e l’appetibilità degli alimenti senza rischi per la salute e ne può perfino abbassare il livello di sodio. In alcuni paesi viene utilizzato come condimento da tavola, in Occidente viene aggiunto agli alimenti salati preparati e trasformati e si trova etichetta sottoforma di sinonimi: vetsin, ajinomoto, glutammato monosodico, E621, glutammato di sodio, L-glutammato monosodico e acido glutammico monoidrato. Viene utilizzato per le sue proprietà gastronomiche ma anche perché contiene solo un terzo del sodio contenuto nel sale da tavola , e può essere quindi utilizzato in quantità minori. Nonostante un ristretto numero di persone dichiari di essere sensibile all’MSG, studi scientifici hanno messo in evidenza che non vi sarebbe alcun legame diretto tra tale sostanza e reazioni allergiche o intolleranze nell’uomo. La “sindrome del ristorante cinese” quindi, non esiste. Nessun allarme, come tutti gli alimenti, basta essere morigerati.

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