Categoria: Ricette veloci

I dolci di Pasqua del Sud Italia tra ricotta, uova e agnelli

La Cucina Italiana

Uova, agnelli, ricotta. I dolci di Pasqua del Sud Italia si basano tutti su questi tre pilastri, da interpretare come un simbolo religioso, se non in alcuni casi pagano, oppure come semplici ingredienti per i piatti delle feste. Pensate di conoscerli tutti? Vediamoli insieme.

I dolci di Pasqua del Sud Italia

I dolci di ricotta: la pastiera napoletana e la pitta salentina

La ricotta addolcita che si usa nella pastiera napoletana, ma anche nella pitta (pizza) dolce salentina, altro non è che la trasfigurazione delle offerte votive di latte e miele tipiche delle prime cerimonie cristiane, riportata in questi dolci che risultano simili a crostate con la ricotta. Nell’impasto della pastiera, la cui tradizione si fa risalire al Settecento, inoltre si aggiunge il grano, che simboleggia la fertilità e che unisce a doppio filo i festeggiamenti pasquali e gli antichi riti pagani di benvenuto alla primavera. E se l’annata era stata scarsa, al posto del grano si metteva il riso, oppure la pasta avanzata. Per questo sono state tramandate nel tempo più versioni di questa ricetta. 

L’aggiunta di fiori d’arancio o canditi, presenti anche nella colomba pasquale, è un ulteriore segno di abbondanza e di voglia di celebrare la bella stagione che sta arrivando. C’è chi sostiene che ci sia un legame anche fra la cassata siciliana e la Pasqua. Non è verificato che l’origine di questo dolce sia collegata a questa ricorrenza, tuttavia sulla tavola di Pasqua delle famiglie siciliane la cassata non può mancare.

I dolci con le uova: scarcelle, pupi e cuzzupe

Le uova, nella loro interezza, sono una vera e propria ossessione pasquale al Sud. Si mangiano sode come antipasto, si trovano sul casatiello, il lievitato napoletano, di cui si segnalano in Campania sia la versione salata che quella dolce (anche se in questo secondo caso non si mettono le uova sopra ma solo nell’impasto). Poi si trovano su scarcelle pugliesi, pupe siciliane, pannarelli lucani, cuzzupe e cuddure calabresi: tutte versioni locali di “biscottoni” più o meno ricchi di ingredienti e di aromi e soprattutto dalle forme molto varie. Insomma, sono presenti in tutto il Sud Italia, malgrado la simbologia dell’uovo in quanto simbolo di fecondità sembra derivi da tradizioni germaniche.

La simbologia cristiana è invece più chiara nelle forme: colomba, canestro, galletto, cuore, paniere, pupa e anche pesci, altro tipico riferimento cattolico. Una storia curiosa riguarda le cuzzupe e la quantità di uova che si mettono sopra, mai casuale e sempre dispari, per una motivazione più pagana, legata alla fortuna. Secondo le antiche tradizioni, si regalava la cuzzupa ai fidanzati. Di solito era la suocera a donarla al futuro genero, che dal numero di uova capiva se il matrimonio era imminente o meno. È tuttora tradizione preparare una cuzzupa per ogni membro della famiglia: al più anziano va quella più grande e ai bimbi quelle dalle forme più divertenti.

L’agnello: di marzapane nella tradizione siciliana e salentina

Inutile dire che l’agnello, l’Agnus Dei, è il simbolo cristiano per eccellenza. In versione dolce, il più famoso è quello di marzapane di Favara, in provincia di Agrigento, la cui caratteristica principale è quella di avere pasta di mandorle all’esterno e un cuore di pistacchio all’interno. A Taranto e in tutta la costa salentina, invece, si trova l’agnello interamente di marzapane. La decorazione tipica prevede tanti piccoli confetti e una bandierina di carta rossa chiamata labaro. Si possono fare anche in casa con degli stampi appositi oggi disponibili anche in versione moderna, ma più facilmente si acquistano, anche perché sono vere e proprie sculture, che richiedono una certa abilità tecnico-plastica, e gli stampi nelle pasticcerie locali si tramandano di generazione in generazione.

Vellutata di barbabietola – Ricetta di Misya

Vellutata di barbabietola - Ricetta di Misya

Pelate le patate, lavatele e tagliatele a cubetti.
Scolate bene le barbabietole e tagliate anche queste a tocchetti.

Mondate le cipolle e tagliatele a fettine sottili, quindi fatele appassire in una casseruola con dell’olio.
le patate 5 e la barbabietola 6.

Aggiungete le patate e lasciatele insaporire, poi unite anche le barbabietole.
Coprite con acqua abbondante, insaporite con sale, pepe e timo, chiudete con coperchio e lasciate cuocere a fiamma media per circa 40-50 minuti.
(Verso fine cottura, se vi sembra che ci sia ancora molta acqua, togliete il coperchio e alzate la fiamma.)
Infine frullate con un minipimer per ottenere una crema densa e liscia, aggiustate di sale e aromatizzate con noce moscata.

Verso fine cottura preparate i crostini: tagliate il pane a dadini e fatelo rosolare in padella antiaderente con olio, sale, pepe e aromi fino a doratura, mescolando spesso.

La vellutata di barbabietola è pronta, servitela calda con crostini, aromi e scaglie di formaggio.

Il caffè vi fa venire sonno? Ecco perché

La Cucina Italiana

Il caffè vi fa venire sonno? Non sentitevi strani, può succedere. Ma come, direte voi, solitamente si beve perché è buono, ma anche perché si ha bisogno di una sferzata di energia. Il caffè in effetti è famoso anche per questo: la caffeina che contiene, lo stimolante più consumato al mondo, ci aiuta a mantenere viva l’attenzione e ad aumentare l’efficienza. Ma non funziona per tutti: alcune persone, ad esempio, possono bere più tazzine durante il giorno e non sentire praticamente alcun effetto. Ad altri addirittura il caffè fa venire sonno.

Effetto caffè

Ecco perché. L’adenosina è una sostanza chimica del cervello che influenza il ciclo sonno-veglia: i suoi livelli aumentano durante le ore di veglia e diminuiscono mentre si dorme. Normalmente, le molecole di adenosina si legano a speciali recettori nel cervello, che rallentano l’attività cerebrale in preparazione al sonno. Ma la caffeina, legandosi ai recettori dell’adenosina, impedisce che ciò accada.

Quando il caffè non dà (più) la carica

Il corpo assorbe piuttosto rapidamente la caffeina (il 99% entro 45 minuti dal consumo): le persone possono sentirne gli effetti anche in pochi minuti. Ma una volta che il corpo la metabolizza completamente, i suoi effetti svaniscono. La permanenza della caffeina nel corpo varia da persona a persona: la velocità con cui viene metabolizzata varia a seconda dei fattori genetici e dello stile di vita.

Ma le persone che consumano regolarmente caffè (e altre bevande che contengono la caffeina) possono sviluppare una tolleranza agli effetti stimolanti della caffeina, il che significa che devono berne di più se vogliono sperimentare risultati simili. E, sebbene la caffeina blocchi i recettori dell’adenosina, non influisce sulla produzione di nuove molecole di questa sostanza: quando svanisce, le molecole di adenosina possono tornare a legarsi ai loro recettori, e la conseguenza è una sensazione di sonnolenza.

Lo studio

In uno studio, i ricercatori hanno esaminato gli effetti del consumo continuo di caffeina sulle prestazioni ciclistiche di 11 adulti. All’inizio dell’esperimento, i partecipanti presentavano frequenze cardiache più elevate e avevano più slancio dopo aver bevuto caffeina. Ma sono bastati 15 giorni perché gli effetti della caffeina iniziassero a diminuire.

A questo punto, per tornare a sentire gli effetti energizzanti del caffè, non resta che berne un po’ di più, ma senza esagerare: il Ministero della salute, basandosi sui dati Efsa, suggerisce all’adulto un consumo fino a 200 mg di caffeina al giorno (anche se fino a 400 mg al giorno non dovrebbero esserci problemi di salute negli adulti sani). Normalmente un caffè espresso non supera gli 80 mg di caffeina, mentre un caffè americano, lungo e in tazza grande, può arrivare a 90: alla quinta tazzina, è bene fermarsi. E se anche allora vi sentite ancora sotto tono, forse è segno che avete bisogno di una vacanza.

Bere caffè fa bene

Al contrario di quanto si è detto per lungo tempo il caffè non ha un effetto maligno sul nostro corpo, anzi. Due studi, pubblicati sulla rivista Annals of Internal Medicine, dimostrano infatti come il caffè possa essere associato a una maggiore longevità. Riassumendo il contenuto delle ricerche, è emerso come chi consuma una tazza di caffè da 235 ml al giorno (la comune tazzina italiana è intorno ai 40 ml), riduce il rischio di morte del 12%. La mortalità è ancora più bassa (-18%) per chi consuma tre o più tazze al giorno. Uno dei maggiori benefici del caffè, come ha spiegato Gunter a La Repubblica, è dovuto alla presenza di composti, come i polifenoli, gli acidi clorogenici e i diterpeni che hanno proprietà antiossidanti. L’effetto protettore del caffè – questa la principale novità dello studio – riguarda le malattie dell’apparato digerente e quelle cardiovascolari. Il consumo di caffè è anche  associato anche a un migliore controllo del glucosio e un più basso tasso di infiammazione nell’organismo. Ne abbiamo parlato nell’articolo Il caffè allunga la vita, ecco perché.

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