addio, si chiude un’epoca | La Cucina Italiana

addio, si chiude un’epoca
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La trattoria Madonnina di Milano abbassa la saracinesca. Ma solo per una decina di giorni, per qualche lavoro di ristrutturazione prima dell’ingresso della nuova gestione. «Dopo 30 anni ho pensato che fosse arrivato il momento di andare in pensione», spiega Fabio Locatelli, gestore della trattoria Madonnina di via Gentilino, non lontano dalla Darsena (Navigli per intienderci). Pavimento di graniglia, tovaglie a quadri, pareti gialle con le locandine teatrali, di film d’epoca (Star Wars) e di famiglia (più o meno recenti). Due ambienti interni e fuori il pergolato, come una volta, dove campeggiano ancora le scritte “è vietato il gioco della palla”, “osteria” all’ingresso laterale e “cucina”, da dove arrivano i profumi di riso giallo, ossobuco con polenta, cotoletta con patate, rustin negaa, modenghili. Insomma, della cucina tradizionale milanese, a prezzi più che onesti (almeno per Milano), dai 7 ai 18 euro.

Liquori, caffè e… Inter

Dopo un attimo di reticenza, Fabio si apre a qualche confessione. «Questo locale esiste da 300 anni, come testimonia un documento che risale al 1722, guarda qui», dice  mostrandomi la carta. «Ormai quello che dovevo fare ho fatto, le mie figlie sono grandi, vivono all’estero; così io mi ritirerò a Lavagna, in Liguria: passa pure ai bagni Ziki Paki, mi troverai lì». Al bancone il braccio destro, nonché socio, Paolo Kempis che rilevò la Madonnina nel 1993 con l’obiettivo di preservare ambiente, cucina e prezzi modici. La trattoria prende nome dalla Madonnina che si trova nell’edicola della vecchia casa di ringhiera, dove c’è ancora il dehor. «Se cambierà qualcosa? Io sono in pensione già da un po’, ma non ho mai abbandonato gli amici, son sempre stato qui a dare una mano, dietro le quinte, tra vino, liquori e caffè. Vorrà dire che stavolta vado in pensione per davvero». Fabio e Paolo mentre raccontano il loro progetti prossimi, salutano i clienti, che più che clienti sono amici. Tra questi un romano adottivo milanese che ha ordinato la cena da asporto, «prima che sia troppo tardi». Al bancone arriva il commento di un altro habitué. «Qui ci ho passato parecchie ore della mia vita», ammette. Anche perché «sono interista come Fabio!». A testimoniarlo, tra gli scaffali specchiati, prende posto la foto di Locatelli immortalato accanto a Massimo Moratti, altro storico avventore.

La tradizione deve restare

Cosa cambierà da domani? Chiediamo il parere a Franco, in sala. «Sono qui da 20 anni, con Elettra, che è andata via un anno fa, eravamo i quattro i moschettieri del locale». Fabio è probabilmente l’unico, assieme allo chef, a restare. Forse. «Dipende dal progetto della nuova proprietà, una famiglia napoletana che ha altri locali in città; qui conosco tutti, potrei ancora servire, ammesso che l’anima del locale resti la stessa; vedremo». All’esterno c’è un gruppo sparuto di giapponesi che ha appena finito di pranzare. Dentro i clienti fidelizzati. «Quando è uscita la notizia ho ricevuto una miriade di chiamate da gente che non sentivo da anni; sono venuti a trovarmi amici che non passavano da tempo, whatsapp infiniti». Insomma, la Madonnina non chiuderà, ma l’affetto della gente è grande, perché tutti qui sono consapevoli che si chiude un’epoca. C’è un cartello affisso al bancone che recita: “torno, prima o poi”. Una promessa o solo una battuta? Per quello che sarà, ci vuole un brindisi. «Un bicchiere di vino, 4 euro». «Ta saludu».

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