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Cosa si mangia il giorno di Santo Stefano?

La Cucina Italiana

Ma passiamo al menù di Santo Stefano!

Santo Stefano: come riciclare gli avanzi

Se a Natale preparate le lasagne, siete già un passo avanti: il giorno dopo saranno ancora buonissime, vi basterà semplicemente riscaldarle in forno.
Se invece dovete riciclare la pasta, divertitevi con frittate e timballi da arricchire con salumi e formaggi. Con una semplice gratinata in forno sarà tutto più goloso.

A proposito di affettati – altro grande classico fra gli avanzi delle feste – assicuratevi di avere a disposizione pasta sfoglia o brisé già pronta: quiche e torte salate sono le ricette antispreco per eccellenza poiché potete farcirle con qualsiasi cosa, dai salumi alle verdure.

Infine, può capitare di dover consumare anche della carne o del pane: utilizzateli per preparare polpette e polpettoni che sicuramente renderanno felici gli ospiti.

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A tutto brodo

Dopo i bagordi del 24 e del 25, in molte case il pranzo di Santo Stefano è decisamente più light. Chi preferisce un menù leggero, ma allo stesso tempo gustoso, punta a ricette classiche come brodi, zuppe e minestre. Fra le più diffuse ci sono sicuramente i tortellini o i passatelli in brodo.

Pandoro e panettone creativo

Dopo essersi goduti per ben due giorni di fila panettoni e pandori “al naturale”, Santo Stefano è il momento giusto per provarli in una veste diversa, magari accompagnandoli con creme e ripieni golosi oppure trasformandoli completamente. Quelle fette di pandoro e panettone fra una confezione già aperta e l’altra possono diventare addirittura dei toast salati.

Guardate tutte le nostre ricette per il menù di Santo Stefano nella gallery in alto!

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15 bistrot (vecchi e nuovi) dove si mangia bene | La Cucina Italiana

15 bistrot (vecchi e nuovi) dove si mangia bene
| La Cucina Italiana

C’era una volta il “secondo locale” di uno chef stellato: il bistrot. Per la cronaca, la primogenitura del bistrot a fianco del ristorante – con la cucina in mezzo alle due strutture – appartiene a Claudio Sadler, che nel 2008 inaugurò Chic ‘n Quick, sul Naviglio Pavese, e che a oltre 10 anni di distanza fa ancora il pieno di clienti a pranzo e a cena. E dire che all’epoca era praticamente impossibile immaginare che quello con più coperti e una cucina semplificata di un bravo cuoco diventasse importante quanto il primo. Sbagliato. Con il passare degli anni, il concetto si è modificato e ha trovato la massima espressione proprio a Milano, dove la bistromania è diventata tendenza. Aiutata in questo dallo sviluppo dell’hotellerie negli anni dell’Expo: le strutture serie hanno un fine dining e un casual dining che sostanzialmente è un bistrot legato al cocktail bar. I migliori bistrot hanno anche un riconoscimento ambito: le Tre Cocotte del Gambero Rosso.

Qual è il senso odierno e italiano del bistrot? Sicuramente non quello che continua a regnare Oltralpe. Se in Francia il modello è quello di un menù sempre uguale, porzioni abbondanti e un approccio informale quasi turistico, da noi il concetto è più articolato anche perché – altra tendenza – negli ultimi anni, a fianco del modello affermato, stanno spuntando locali giovani, dove la cucina è gestita da cuochi non stellati, ma abili nel dare al cliente quello che chiede. Cosa si mangia oggi al bistrot? Come detto, non c’è una filosofia unica come in Francia (per fortuna, a parer nostro). In quelli dei cuochi più noti si gode di una versione «semplificata» dei loro signature dish o quella autoriale dei classici, regionali o italiani: la costoletta, il vitello tonnato, gli spaghetti al pomodoro, il tiramisù… Ci sono posti essenziali dove anche salumi e formaggi hanno un ruolo fondamentale mentre altri giocano non poche carte sulla presenza di un valido cocktail bar. Altri, ancor,a non vanno oltre una rivisitazione della cucina locale, unendola a piatti basici, comuni all’Italia intera. Insomma, potremmo serenamente affermare che il bistrot è bello perchè è vario. Come la nostra selezione.

Lido 84: come si mangia nell’ottavo ristorante migliore del mondo

Lido 84: come si mangia nell'ottavo ristorante migliore del mondo

Copenhagen, Lima, Barcellona, Madrid, Città del Messico… Sono le città che ospitano i migliori locali del pianeta, quelli scelti dai giurati della The World’s 50 Best Restaurants. Gardone Riviera – ridente cittadina di 2.500 abitanti in inverno , a metà della sponda bresciana del Garda – fa parte di questo gruppo, grazie a Lido 84, il ristorante dei fratelli Camanini

In cucina c’è Riccardo: a 19 anni era all’Albereta con Gualtiero Marchesi («il maestro che ha indirizzato la mia carriera» ricorda sempre) e l’educazione è proseguita tra Francia e Inghilterra, ma nessuno avrebbe pensato che l’ex-giovane bergamasco, uscito da quindici anni della vicinissima Villa Fiordaliso (stellato Michelin con specializzazione in banchetti), sarebbe diventato uno degli chef più noti al mondo. In sala, Giancarlo che per seguire il sogno del fratello ha mollato un posto sicuro come manager della Fondital di Vobarno: è diventato talmente bravo nel gestire la sala (e non solo) che nel 2017 è stato premiato dal Gambero Rosso come numero uno in Italia. Ci ha preso, visto che a fine 2014, Lido 84 – a pochi mesi dall’apertura – era già stella Michelin. Lo è ancora incredibilmente e vedremo a novembre se raddoppierà nella Revelation Star in Franciacorta: lo chiedono a gran voce – da almeno tre anni – gourmet, critici, colleghi.

Per la Michelin vale solo una Stella

E siamo al punto divertente (o grottesco, fate vobis): può l’ottavo ristorante sul pianeta non convincere la Guida delle Guide? Ebbene sì. Come è corretto discutere se sia corretta la collocazione scelta dalla The World’s 50 Best Restaurant che – restando entro i patri confini – lo mette davanti a tutti i Tre Stelle segnalati. Non è un esercizio di stile perchè lasciando da parte la straordinaria avventura imprenditoriale dei fratelli iseani (iniziata con sei collaboratori e le stoviglie del precedente locale) e il cosiddetto Metodo Camanini nella gestione del personale – mix di responsabilità sociale e crescita culturale – quello che conta è come si sta al Lido 84. Sempre pieno, va detto, e con un aumento esponenziale del pubblico straniero: non solo i mitteleuropei che sono gardesani ad honorem ma orientali, americani, inglesi, messicani…Effetto dell’ottavo posto che era quindicesimo nel 2021: a place to be per i gourmet del pianeta, che prendono la loro brava macchinina a noleggio da Linate o Orio al Serio per sedersi in riva al lago. In una sala di grande eleganza, in un terrazzo romantico o nella torretta, il massimo possibile. 

La forza dell’unicità

La cucina di Ricky Camanini? Meravigliosamente spiazzante, se prendiamo a riferimento il meglio della nostra ristorazione che tutti adoriamo. Nel senso che bisogna entrare in un pianeta lontanissimo dalle sicurezze da trattoria di lusso (Da Vittorio o Dal Pescatore), dalla sequenza di colpi ad effetto (Osteria Francescana e ultimamente anche Mauro Uliassi), da un filo logico legato al territorio o a una filosofia (Piazza Duomo, Reale, St. Hubertus), dalla sontuosità rinascimentale (Le Calandre) o dalla classicità in posti super-eleganti (Enrico Bartolini al Mudec, La Pergola, Enoteca Pinchiorri). Quindi c’è la forza delle diversità, anzi dell’unicità. Aggiungendo che non ci sente in una trattoria italiana ma neppure in un ristorante tradizionale, che a fianco di pochi specialisti della sala a servire escono i giovani (o giovanissimi) cuochi spesso stagionali o da pochi anni ai fornelli. Passa l’Italia intera al tavolo, pure questo fa riflettere: Gardone Riviera, nei mesi freddi, piace solo a quanti sono fissati con il lago. Eppure, non solo Lido 84 è quasi sempre aperto ma i ragazzi fanno la fila per venirci a lavorare. Certificazione di serietà e di fascino. 

I signature dish? Solo tre

Il piacere del Lido 84 è non trovare da una stagione all’altra – all’opposto di un mare di buoni, eccellenti locali che cambiano pochissimi – tanti piatti nuovi. Gli unici signature dish, che possono entrare su richiesta nel percorso, sono i Rigatoni cacio e pepe in vescica (cult internazionale), lo Spaghettone burro e lievito di birra (in carta nel 2016 al ristorante interno del MoMa di S. Francisco e considerato il top da Alain Ducasse: tanto per capire come lo vedono gli stranieri) e il Riso aglio nero e frutti rossi in omaggio allo scultore Stefano Bombardieri. 

I piatti finiscono nel menù che ironicamente si chiama Dalla Carta (110 euro) perchè si sanno quali arriveranno e nel celeberrimo Oscillazioni, mano libera a sette o nove portate (110 e 130 euro). Mai nome fu più azzeccato: a parte, l’essenzialità marchesiana (lo diciamo noi: tutti i figli per quanto riconoscenti al Maestro non diranno mai che spesso fanno come lui, 40 anni dopo), si gode perchè ogni portata ha grandissima personalità e non segue la tendenza. Semmai butta la provocazione che decine di cuochi seguono. 

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