Categoria: Ricette veloci

Come scegliere il miglior cappone per Natale

Da quelli più industriali ai capponi ruspanti, ecco come scegliere un vero “tartufo con le ali”. Da prenotare online o comprare alle fiere del cappone dell’11 e 12 dicembre

Durante l’anno il cappone è quasi introvabile, poi arriva in macelleria e nei supermercati insieme alle canzoni di Natale di Mariah Carey. Lo si usa per fare il brodo, lo si farcisce di ripieno, è il protagonista di molte della tavola delle feste e di tante ricette della tradizione. Rispetto al pollo è un animale pregiato che richiede una crescita più lenta e lunga, ha una carne più tenera e saporita, ma come in tutti i prodotti, ci sono capponi e capponi. Come sceglierne uno buono? Lo abbiamo chiesto a Mauro Fissore, presidente del Consorzio del Cappone di Morozzo, un paese in provincia di Cuneo famoso, appunto, per il cappone, tanto da aver eletto Mauro anche sindaco.

Carta d’identità del cappone

Il cappone non è altro che un gallo «castrato chirurgicamente prima che abbia raggiunto la maturità sessuale e macellato a un’età di almeno 140 giorni» (regolamento CE n. 2067/1996). Dopo la castrazione (detta capponamento) viene messo all’ingrasso per una settantina di giorni, con un’alimentazione principalmente a base di granaglie e cereali che donano al suo grasso il caratteristico giallo intenso che lo contraddistingue. Vista la sua crescita lenta, le razze più adatte a questa tipologia di allevamento sono la Padovana, la Livornese, l’Ermellinata, la Bianca di Saluzzo.

I metodi i allevamento consenti per legge

Diverse le forme di allevamento consentite dalla legge. Possono essere allevati in modo estensivo al coperto, con una densità per metro quadrato di superficie al suolo di 15 capi, ma non più di 25 kg di peso vivo, oppure all’aperto con una densità che non deve superare i 7,5 capi per metro quadrato e dove per almeno metà della durata del loro ciclo vitale devono avere a disposizione almeno 2 metri quadrati a testa. Si scende ancora di densità per l’allevamento rurale all’aperto con 6,25 capi (fino all’età di 91 giorni, 12 capi) di densità per metro quadro e 4 metri quadrati per cappone di giardino all’aperto. Esiste poi l’allevamento rurale in libertà che in più garantisce che gli animali abbiano costantemente accesso, durante le ore diurne, a spazi all’aperto di superficie illimitata. Il metodo di allevamento non è ancora obbligatorio in etichetta, e quindi per capire che cosa si sta comprando, meglio rivolgersi a marchi di qualità che, allevando prodotti ruspanti, hanno tutto l’interesse a valorizzare le loro peculiarità.

Mauro Fissore e un Cappone di Morozzo.

La qualità: scegliere in base a disciplinari e allevatori

L’acronimo PAT sta per Prodotti Agroalimentari Tradizionali, prodotti tipici italiani particolarmente legati a un territorio e alla sua storia, dai metodi di realizzazione. Esistono ben sei PAT nel caso del cappone: il cappone friulano, il cappone rustico (nostrale) delle Marche, il Cappone di Monasterolo di Savigliano (CN), il Cappone di San Damiano d’Asti (AT), il Cappone di Vesime (AT) e il Cappone di Morozzo (CN), che è stato anche il primo Presidio Slow Food. Le PAT non sono disciplinari di allevamento, però, e rispettano di base la legislazione vigente che può consentire da un allevamento a terra in capannoni a quello ruspante puro. Per scegliere un cappone di alta qualità bisogna quindi rivolgersi ai consorzi o ai singoli allevatori che, fissando disciplinari ancor più stringenti, garantiscono un prodotto più gustoso e allevato in modo più etico per il benessere animale.

Il Cappone di Morozzo: il tartufo con le ali

Il più famoso fra i capponi: il cappone di Morozzo, primo presidio Slow Food dal 1999 e prodotto dal Consorzio per la tutela e la valorizzazione del Cappone di Morozzo, un’istituzione riconosciuta che riunisce i migliori allevatori del territorio con l’obiettivo di produrre esemplari eccellenti e di qualità comprovata. Il loro presidente, nonché sindaco di Morozzo, Mauro Fissore, ci ha raccontato la storia e le peculiarità di questo animale. La storia di questo cappone parte dall’attività delle mogli dei contadini anche chiamate “capunère”, che capponavano i giovani galletti dopo pochi giorni di nascita, e poi li lasciavano crescere e scorrazzare per l’aia fino a raggiungimento del quarto mese d’età, quando venivano macellati e utilizzati come pagamento a favore di medici, notai o avvocati. «Venivano sempre regalati in coppia, come racconta anche Manzoni nei promessi sposi, non era solo un dono, era anche un medicinale: il brodo di cappone era un toccasana per guarire i malati».

La razza da cui si ottiene il Cappone di Morozzo è la razza di Morozzo, la nostrana biotipo scuro di Cuneo, e ha un’età di almeno 220 giorni; dopo la capponatura deve essere ingrassato per un periodo di almeno 77 giorni, deve essere allevato a terra, libero nell’aia o in recinti in uno spazio di almeno 5 metri quadrati a testa. Viene nutrito principalmente con granaglie (mais, orzo, grano), ma razzolando all’esterno non disdegna nutrirsi di insetti e di erba. Ogni allevatore ha una quota di 200 pulcini selezionati e solo quando tutte le regole sono rispettate al cappone viene fissato l’anello alla zampa che ne garantisce la qualità. Mangime, movimento e crescita lenta migliorano la qualità delle carni e lo rendono una carne particolarmente pregiata «Considerando tutti questi costi, dobbiamo renderci conto del vero valore di questo prodotto avicolo: è un tartufo con le piume», spiega Mauro, che guida un’associazione storica di allevatori che hanno mantenuto in vita questa tradizione. Il loro cappone è raro, ma sul sito del consorzio è possibile prenotarlo online o contattare tutti i produttori. E poi, per chi volesse, c’è la fiera del Cappone di Morozzo che si terrà, il 12 dicembre.

Gli atri capponi piemontesi

È stato fondato il Consorzio di Valorizzazione del Real Cappone di Racconigi che viene allevato nelle aree di produzione riconosciute dalla De.Co: Racconigi, Cavallermaggiore, Cavallerleone, Caramagna Piemonte, Fossano, Monasterolo di Savigliano, Marene, Polonghera, Sommariva del Bosco, Murello e Savigliano. L’obiettivo è quello di conservare la tradizione locale con un disciplinare di produzione e il comune di Racconigi offre pulcini di razza Bianca di Saluzzo e Bionda Piemontese. Fra i territori di produzione, anche Monasterolo di Savigliano che vanta una PAT di cappone senza razza indicata. A San Damiano d’Asti, per l’allevamento dei capponi si utilizza invece la razza autoctona Bionda. Il Consorzio tutelerà, attraverso un rigoroso disciplinare, la produzione del Cappone San Damiano. Anche a Vesime la tipicità del cappone è consolidata assieme alla Fiera del cappone che, come a San Damiano, si tiene l’11 e 12 di dicembre. Tra le particolarità del cappone di Vesime abbiamo il taglio della cresta e dei bargigli al momento della capponatura. Per il cappone di Vesime viene perlopiù utilizzata la razza Livornese o la razza autoctona Bianca di Saluzzo.

I capponi di Friuli e Marche

Il cappone rustico (nostrale) delle Marche è allevato a terra con ventilazione a ricambio d’aria naturale, con una densità massima a fine ciclo di 12 capi per metro quadrato, viene alimentato con almeno il 65% di cereali di cui non più del 15% di sottoprodotti. Tra le peculiarità del cappone Friulano PAT invece c’è quella che una volta macellato il cappone va venduto con la testa, le zampe, le punte delle ali e le piume della coda ancora attaccate. Il metodo di allevamento è un ciclo lungo, dura 6 mesi e in capannoni con libero accesso ai cortili all’aperto e viene macellato nel periodo di dicembre.

Le nostre ricette con il cappone

Ricerche frequenti:

Il panettone gastronomico, come lo facciamo a La Cucina Italiana

Il panettone gastronomico, come lo facciamo a La Cucina Italiana

E’ la versione salata e arricchita del dolce natalizio della tradizione – qui a 6 strati. Vi regaliamo anche la versione dolce con 4 creme golose

Il panettone gastronomico, basta guardarlo e viene subito voglia di ridargli un ruolo da protagonista nelle feste per cui era nato: Natale e Capodanno. Conviviale, fantasioso, goloso. Un merito di Instagram è avere riportato sui nostri schermi tante cose belle, magari démodé o semplicemente dimenticate.

Dove si compra? O, per chi ha più pazienza, come si fa? Potete decidere di prepararlo da zero, pane di base compreso, oppure di comprarlo pronto da servire, ripieno e già tagliato per non rovinare il delicato assemblaggio. In questo caso, rivolgetevi a pasticcerie e gastronomie di alto livello per garantirvi la massima freschezza.

Un buon compromesso è acquistare la base pronta e farcirla a casa, come più vi piace. Procuratevi l’apposito pan canasta, una via di mezzo tra il pan brioche e il pancarré, a base di farina, uova e burro: ha un sapore neutro che si presta al ripieno dolce, con creme, ganache e frutta secca, oppure salato, con salse, formaggi, salumi.

Farcire il panettone gastronomico non è difficile, e se possiamo darvi un suggerimento per semplificare l’approccio, pensate di preparare dei tramezzini. Dividete il cilindro di pane in 5-6 dischi; poi tagliateli a metà; farcite con condimenti precedentemente preparati e presentate il vostro piccolo capolavoro.

È un ottimo aperitivo con le bollicine, e un antipasto giocoso quando si è già seduti a tavola: ognuno prenderà dal mega sandwich lo spicchio che lo alletta di più. La versione dolce, invece, conclude il pasto, ma è anche un’elegante merenda all’ora del tè.

Come si fa:

Il trucco per facilitare l’assaggio del panettone gastronomico è mettere due fette tra le farciture. Così, la singola porzione diventa un vero e proprio sandwich. Per tradizione, gli strati sono cinque, ma noi qui abbiamo esagerato e ne abbiamo fatti sei:

Cocktail di gamberi

Abbiamo preparato la salsa rosa mescolando maionese e ketchup, ma ognuno può scegliere la sua ricetta da spalmare sulla fetta di panettone. Distribuitevi sopra i gamberetti. Abbiamo messo la stessa farcitura nel primo e ultimo strato.

Blini reinventato

Salmone affumicato e panna acida profumata con scorza di lime grattugiata e pepe rosa e guarnita con erba cipollina sminuzzata.
Dopotutto anche il panettone è un blini formato XXL.

Più facile di un toast

Fette di prosciutto crudo e robiola cremosa del Piemonte. Affettate qualche ravanello e mettetelo sopra.

Mortadella e salsa verde

Per preparare la salsa, servono una tazza di prezzemolo, 3 filetti di acciughe sott’olio, un cucchiaio di pistacchi e uno di capperi, 2 cetriolini e 60 g di olio extra-vergine. Frullate tutto per 15 secondi e la salsa è pronta.

Uova e maionese

Spalmate la maionese sulla fetta, copritela con fettine di uovo sodo e completate con qualche pomodorino ciliegia sott’olio.

Il panettone gastronomico dolce

Quattro creme per trasformare un classico panettone in un dessert spettacolare:

panettone gastronomico dolce

Panna alla vaniglia

Mescolate 250 g di panna fresca con 40 g di mascarpone, 2 cucchiai di zucchero a velo e i semi di 1/2 baccello di vaniglia. Montate con le fruste elettriche finché la crema non sarà soda. Spalmatela sul panettone e completate con chicchi di melagrana e mandorle a lamelle.

Zabaione

Sbattete 4 tuorli con 120 g di zucchero. Unite 100 g di vino bianco e 100 g di Marsala. Cuocete a fuoco basso, a bagnomaria, mescolando per 7-10 minuti finché lo zabaione non diventa spumoso. Raffreddatelo in frigo per 1 ora prima di usarlo per farcire.

Pistacchio

Amalgamate una crema ai pistacchi (si compra al supermercato) con una tazza di mascarpone. Stendetela su uno strato di panettone e cospargete di pistacchi in granella.

Cioccolato

Preparate una crema pasticciera con 8 tuorli e, a fine cottura, mentre è ancora calda, aggiungete 100-150 g di cioccolato fondente spezzettato. Lasciate raffreddare, poi spalmate la crema sulla fetta di panettone e aggiungete lamponi freschi.

Ricerche frequenti:

Fornai e pizzaioli: i maestri del lievito alla prova del panettone

Fornai e pizzaioli: i maestri del lievito alla prova del panettone

Da Nord e Sud, dai migliori panifici d’Italia alle pizzerie che meriterebbero la stella Michelin, i dieci rappresentanti dell’Arte Bianca che si sono cimentati con i lievitati di Natale

Chi l’ha detto che il panettone lo sanno fare solo i pasticcieri? La new wave dei lievitisti professionisti ha dato spazio ai panettoni degli chef, ma anche a quelli dei fornai e dei pizzaioli, che con il lievito ci lavorano quotidianamente. Gente che ha nei suoi laboratori magari un lievito madre con decine di anni e milioni di rinfreschi alle spalle e che lo cura quotidianamente per sfornare i suoi migliori prodotti. Sono in molti che, di recente, hanno deciso di impegnarsi anche nella ricerca e nella produzione dei lievitati delle feste, panettone in primis. Ne abbiamo scelti dieci, che meglio rappresentano la nuova generazione di maestri del lievito, prestata al panettone.

10 panettoni di pizzaioli e fornai

Olivieri 1882 (Arzignano – Vicenza)

In principio era il panificio di famiglia, poi Nicola Olivieri è entrato in laboratorio e non ne è uscito più, trasformando un forno come un altro in uno dei punti di riferimento per i panettoni e i pandori in tutto il mondo. Oggi sono presenti con il loro bellissimo bar ed enorme laboratorio nella zona industrale di Arzignano, dove si producono oltre 20mila pezzi l’anno. Ma anche se i numeri sono impressionanti, il gusto non ci perde e quello di Olivieri 1882 è garanzia di fragranza e qualità della materia prima. La quantità di uova è pari a quattro volte quelle dei comuni panettoni in commercio e fra gli ingredienti troviamo l’uvetta sultanina australiana 5 Corone, le arance candite artigianalmente tritate finemente, le bacche vaniglia Bourbon del Madagascar, il burro Belga ottenuto per centrifuga.

Fratelli Roscioli (Roma)

Nella squadra dei fornai romani militano i Fratelli Roscioli dell’omonimo forno in via dei Chiavari. Si difendono sia con il panettone classico che con quelli creativi. La particolarità è che si può ordinare una pezzatura piccola, ma anche panettoni “famiglia” da 2-3, addirittura da 5 chili, tutti in versione mandorlata e non. Altra novità è la possibilità di richiedere i principali gusti di panettone impastati con un ricco burro di Saint Malò. Oltre al classico in catalogo ci sono il Panettone al cioccolato (anche con 3 cioccolati, esageriamo!), ma anche quello con pere e cioccolata, e ancora con visciole e cioccolato bianco e chi più ne ha più ne metta.

Lievito, pizza e pane (Roma)

Il giovane Francesco Arnesano, vero campione della pizza al taglio capitolina (ma è bravissimo anche con il pane e con le pizze tonde), è da qualche anno che si cimenta con il panettone con ottimi risultati. Tre impasti, lievitazione 36/48 ore, amalgamati da burro di affioramento di malga e farine biologiche macinate a pietra, il tutto da moltiplicare per cinque varianti (classico; pandoro, 3 cioccolati; marron glacé e caramello salato; albicocca, passion fruit e crema di pistacchio di Bronte). Merita una citazione il packaging, che quest’anno riprende la grafica dei cinepanettoni di vanziniana memoria.

Longoni (Milano)

Da uno dei panettieri simbolo di Milano, non ci si può che aspettare uno dei migliori panettoni della città dove questo dolce natalizio è nato. Filologico, il panettone di Longoni si presenta con il pay-off “Il Panettone è di tutti – Milano è di tutti” e rispecchia perfettamente la città in cui nasce. Per ribadire ancora di più il concetto, anche se sono ormai quasi introvabili, ci sono anche le bellissime confezioni che Longoni ha fatto con la Fondazione Fornasetti: dentro il panettone del fornaio meneghino, fuori un elegante packaging realizzato con un disegno del maestro.

Forno Brisa (Bologna)

Con tanta autoironia li definiscono “brutti ma buoni”. Sarà, ma i panettoni del bolognese Forno Brisa hanno conquistato i foodies a pieno titolo. Il segreto è nella lavorazione, che rispetta i canoni di questo panificio moderno, che ha fatto della sostenibilità la sua bandiera: lievito madre, farine e uova biologiche, canditi artigianali, burro di centrifuga, zucchero di canna bio. ll panettone di Forno Brisa è disponibile in version classica (poi c’è anche il pandoro, per restare sul tradizionale), con albicocche e cioccolato, al gianduia e speciale al caffè e cioccolato bianco.

Forno Sammarco (San Marco in Lamis – Foggia)

Qui non si chiama panettone ma Panterrone, a sottolineare le origini non proprio meneghine di questo lievitato, nato in un forno di famiglia che da alcuni anni si è fatto conoscere oltre i confini della provincia di Foggia. Artefice del successo di questo forno è Antonio Cera, che si diverte a rivalutare ingredienti poveri e di territorio, come il grano arso, che caratterizza alcuni degli impasti, oppure le olive celline che vengono candite e diventano un interessante condimento. Gli agrumi qui sono rigorosamente del Gargano e vanno non solo nel Panterrone classico, ma anche nel panettone dedicato.

SapoRè (San Martino di Buonalbergo – Verona)

È il vincitore della gara dei panettoni secondo il Gambero Rosso, che ne ha assaggiati oltre quaranta e ha deciso che il migliore in assoluto era quello di questo pizzaiolo, anzi, come ama definirsi “pizzaricercatore”. Renato Bosco è uno che non si ferma davanti al primo buon risultato, va oltre, ricercando appunto la perfezione. Panettone e pandoro tradizionali sono una certezza, ma se volete spingervi nel mondo della creatività ci sono anche il Recioc (con caffè e cioccolato bianco), l’AlbiRè (con albicocche e cioccolato) e l’AmaRè (cioccolato e amarene).

I Tigli (San Bonifacio – Verona)

Sono anni che è candidato in pectore per la prima stella Michelin a una pizzeria, intanto il grande Simone Padoan de I Tigli a San Bonifacio si diverte con i lievitati delle feste, che si possono ordinare sul suo shop online. Il panettone classico è tradizionale e punta sulla qualità delle materie prime: arancia e uva passava vengono dalla Sicilia, dove il pizzaiolo veneto si affida alle sapienti mani del grande Corrado Assenza, all’esterno il panettone ha una copertura golosa di glassa alla mandorla. Poi c’è la versione ai tre cioccolati, realizzata con doppio impasto, in cui la seconda prevede l’aggiunta di una morbida ganache a base di burro e cioccolato.

3Voglie (Battipaglia – Salerno)

Valentino Tafuri è un artista poliedrico dei lievitati. Comincia con la pizza, che si può mangiare alla sua 3Voglie di Battipaglia, in provincia di Salerno (due spicchi Gambero Rosso). Poi pian piano si affina anche nella preparazione di pane e di lievitati dolci come i croissant, quindi si cimenta con i panettoni. Ha recentemente messo a punto un laboratorio in cui ha più spazio per dedicarsi a queste preparazioni e per quest’anno propone il classico con arancia e uvetta, quello ai tre cioccolati e il più creativo è albicocca e cioccolato al caramello salato.

10 Bakery (Napoli)

Diego Vitagliano è uno dei migliori pizzaioli d’Italia, vincitore di decine di premi, che dopo il successo della sua colomba, si cimenta per la prima volta anche con il panettone. Diego Vitagliano ha presentato quest’anno il suo grande lievitato delle Feste firmato 10Bakery (il suo panificio a Napoli). Tanta ricerca e sperimentazione: il risultato finale è un grande lievitato soffice, che Vitagliano propone solo in due varianti, Classico e ai Tre cioccolati.

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