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Minestrina: come farla perfetta | La Cucina Italiana

La Cucina Italiana

La minestrina è il comfort food di molti. Brodo e pastina sono quel piatto che scalda le serate nella stagione fredda, cancella la stanchezza di una giornata andata storta, risolve malanni e influenze. Ma anche se sembra facile da preparare, la minestrina viene bene solo se si seguono determinate regole. Ma prima di spiegarvi quale siano le nostre, ecco cosa diceva l’Artusi sulla minestra: «Una buona e generosa minestra per chi ha uno scarso desinare sarà sempre la benvenuta, e però fatele festa».

Il brodo di carne

La base ideale per una minestrina scalda ossa è il brodo di carne, da preparare seguendo la ricetta più classica: tutto va a crudo in acqua fredda, carne (scegliete tagli diversi, come biancostato, cosce di pollo, gallina), verdure (carota, sedano, cipolla e, se vi va, patata) e aromi (alloro e, se vi va, prezzemolo). Una volta pronto lasciatelo raffreddare, così da sgrassarlo prima di aggiungere la pastina.

Pastina e brodo: la giusta proporzione

Troppo asciutta o troppo brodosa: la minestrina non viene mai come si vorrebbe. Molto dipende anche dal tipo di pastina che si sceglie: leggete sempre le indicazioni sulla confezione per essere certi di un risultato perfetto. La regola di base prevede 40 grammi di pastina per 250 di brodo.

Quale pastina scegliere?

Capelli d’angelo, stelline, tubetti, ditalini, filini: sono tantissime le varianti di pastina che si trovano in commercio. Scegliete quella che preferite con un’accortezza: la pastina all’uovo assorbe più brodo e cresce maggiormente, quindi dovrete fare attenzione alle proporzioni per non rischiare di ottenere un piatto asciutto.

Verdure… sì o no?

Gli unici ingredienti in più ammessi in una minestrina classica sono la patata e la carota, tagliate a cubetti piccoli e fatte lessare direttamente nel brodo. Non esagerate nelle quantità: in un litro di brodo sono sufficienti una patata e una carota piccola.

L’aroma in più

Prima di una grattugiata generosa di parmigiano, potete aggiungere un rametto di rosmarino, che dona al brodo un aroma fresco e particolare. State attenti però ad aggiungerlo all’ultimo, in cottura infatti il rosmarino perde i suoi aghi e diventa amaro, oltre a essere difficile pescare un aghetto alla volta nel brodo!

Tiramisù senza caffè: ecco come fare

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Tiramisù senza caffè. Avete storto il naso? Siate pronti a ricredervi. Il caffè è sicuramente l’indiscusso protagonista del tiramisù, ma qualcuno potrebbe avere l’esigenza di prepararlo senza rispettare la tradizione. Eresia? No di certo! I motivi possono essere i più disparati: c’è chi vuole evitare la caffeina, chi preferisce non inserirla nell’alimentazione dei più piccoli o chi, infine, semplicemente ha voglia di sperimentare con ingredienti originali, ricreando però sempre la stessa grandissima emozione.

Ed ecco che l’iconico dolce al cucchiaio tanto amato dagli italiani si trasforma: la tecnica per preparare il tiramisù si può declinare in mille alternative diverse e altrettanto gustose. Il segreto è inzuppare i biscotti nella bagna giusta! Usate il latte al cioccolato, il caffè decaffeinato oppure rivoluzionate il dessert e preparate un tiramisù agli agrumi e un tiramisù al tè matcha. Nella gallery godetevi le nostre ricette più buone di tiramisù, a partire da quelle classiche fino a quelle senza caffè.

Tiramisù senza caffè: il tiramisù per bambini

Come si fa a preparare un tiramisù senza caffè e ottenere gusti e consistenze il più possibile simili alla ricetta originale? Il tiramisù senza caffè per bambini è facilissimo: basta bagnare i savoiardi nel latte, ancor meglio se arricchito con cacao e zucchero. In questo caso dovrete scaldare il latte, aggiungere il cacao continuando a mescolare e infine far raffreddare il tutto prima di inzuppare i savoiardi.

Ingredienti

500 g mascarpone 
300 g biscotti savoiardi 
250 g di latte al cacao 
200 g zucchero 
4 uova 
cacao amaro 
sale

Procedimento

Per preparare il tiramisù senza caffè, iniziate separando gli albumi dai tuorli in due ciotole diverse e unite a questi ultimi lo zucchero e un pizzico di sale. Tenete da parte gli albumi e sbattete i tuorli con la frusta, finché non diventeranno spumosi e chiari. Incorporate il mascarpone nei tuorli sbattuti, mescolando con un cucchiaio. Montate gli albumi con la frusta e uniteli al composto di tuorli e mascarpone, mescolando la crema dal basso verso l’alto.

Versate la bagna prescelta, in questo caso il latte al cacao, in un piatto. Immergete i savoiardi nel latte, 1 secondo per lato, poi distribuiteli affiancati, creando un primo strato sul fondo di una pirofila (30 x 30 cm), senza lasciare spazi vuoti.

Coprite i savoiardi con un terzo della crema e ripetete le stesse operazioni fino a creare altri due strati uguali. Fate raffreddare il tiramisù in frigo per un paio di ore coperto con un foglio di alluminio. Cospargetelo con il cacao soltanto appena prima di servire.

Tiramisù alla birra: birramisù

Il tiramisù senza caffè non è solo per bambini! Fra le versioni di tiramisù alternative più amate c’è il birramisù, che prevede una bagna a base di birra. Lasciatevi sorprendere da questa ricetta golosa.

Ingredienti

400 ml panna fresca 
400 g mascarpone 
300 ml birra 
150 g zucchero 
1 cucchiaio da tè di cacao in polvere 
20 biscotti savoiardi

Procedimento

Per la ricetta del birramisù, mescolare con le fruste la panna fresca, il mascarpone, lo zucchero e 100 ml di birra sino a ottenere una crema densa. Aromatizzate a piacere con un baccello di vaniglia.

Pizza: dall’antichità a oggi | La Cucina Italiana

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La pizza ha una storia tipicamente mediterranea, anche se gli americani sono convinti di averla inventata loro (e bisogna ammettere che è americana la pubblicazione più esaustiva su questo oggetto gastronomico: Modernist Pizza di Nathan Myhrvold e Francisco Migoya, 2021). Variante sottile del pane, nasce per sostenere e trasportare il companatico. Sono le antiche «mense», quelle di cui parla Virgilio quando racconta che i compagni di Enea, giunti alla foce del Tevere, si ritrovarono così affamati da divorare perfino quelle; e per questo, secondo la profezia, in quel luogo fu fondata Roma.

PICIACCIA CON BACCALA' ALLA LIVORNESE
Piciaccia, mai assaggiato la pizza toscana? 

I puristi della pizza sostengono che l’unica vera pizza sia quella napoletana. Ma dopo quella romana e quella gourmet, arriva la pizza toscana chiamata piciaccia

Cibo antichissimo, diffuso in tanti Paesi, la pizza incontra particolare fortuna in Italia. Il nome si trova in documenti medievali: nel 997 certi contadini di Gaeta si impegnano a consegnare, come donativo per i loro signori, delle pizze a Natale e a Pasqua. Forse, all’epoca sono ancora dischi di pane da usare come supporti. Nei ricettari rinascimentali il senso della parola è cambiato: pizza è quasi sinonimo di torta, una preparazione che non «sostiene» bensì «contiene» gli ingredienti. Così è nell’Opera di Bartolomeo Scappi (1570), capolavoro della cucina italiana del Cinquecento. Molto spazio egli dedica alle torte, ai modi con cui si fanno nelle varie località. Una attrae la nostra attenzione: la torta «con diverse materie, da Napoletani detta pizza». Nel momento in cui rappresenta le tradizioni gastronomiche dell’intero Paese, Scappi assimila la pizza napoletana alle torte; ma con una caratteristica distintiva, quella di non essere chiusa bensì aperta: «Senza essere coperta facciasi cuocere al forno».

Pizza di pane raffermo: la ricetta veloce antispreco

Questa pizza napoletana non è quella che conosciamo: il suo sapore è dolce, gli ingredienti sono mandorle, pinoli, datteri, fichi secchi, zibibbo, il tutto pestato e arricchito con rossi d’uovo, zucchero, cannella, mostaccioli, acqua di rosa. È un genere di preparazione che troviamo ancora a fine Ottocento: la «pizza alla napoletana» di Pellegrino Artusi è una crema di ricotta, mandorle, zucchero, uova, scorza di limone, con cui si riempie una pasta frolla «disposta a guisa di torta». Nel frattempo però era nata l’altra pizza. Che non è più una «torta aperta», ma recupera il senso antico della «mensa». Il luogo di attenzione è lo stesso: Napoli, dove, fra Sette e Ottocento, è già documentato lo specifico «mestiere» di pizzaiolo. Questa variante popolare della pizza, che troverà i suoi compagni privilegiati nella salsa di pomodoro, nella mozzarella, nelle acciughe e in poco altro, ancora agli inizi del Novecento sarà guardata con distacco e con dispregio dalla gente del Nord. Ma il modello non tarderà a imporsi, in Italia e nel mondo. In questo come in altri casi, saranno i sapori «poveri» ad avere la meglio.

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