Cameriere, uomo, donna | La Cucina Italiana

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Appena la cameriera si allontanò, partirono le scommesse. Io mi feci prendere dall’ottimismo. Sarà stata la sicurezza che mi infondevano le braccia di Gianfranco, così scure di sole che sembravano un’esplosione di forza nel contrasto cromatico con la polo bianca che indossava. Saranno state la pace, la serenità e la felicità che respiravo nell’aria ferma di quel tramonto magnifico. Oppure sarà che ero rimasta troppo tempo in spiaggia e mi ero presa un colpo di sole. Sta di fatto che scommisi con sicumera sull’abilità della cameriera di indovinare tutte le ordinazioni.
E sbagliai ogni pronostico: la birra piccola chiara e la vegetariana finirono dalla mia parte del tavolo. Senza se e senza ma.

Pensai che probabilmente avevo proprio preso un colpo di sole. Non era da me quella predisposizione alla fiducia verso il prossimo, mi conosco. E quindi, sì, ci restai male. Non per la scommessa in sé, figuriamoci, in palio ci sono le faccende di casa: chi perde dovrà stirare o stendere, oppure lucidare i pavimenti, preparare il pranzo e la cena. Tutto qui. È solo un gioco.
Eppure provavo una sensazione strana, amara, che però non riuscivo a comprendere. Non ne capivo l’origine né la destinazione. Mi sentivo ferita, ecco sì, mi sentivo ferita. Ma forse la parola giusta è: offesa. E provavo una sensazione di smarrimento. No, no, non era smarrimento. Tradimento, questo era: tradimento. Sì, io mi sentivo tradita, in qualche modo. E ci misi un po’ per mettere a fuoco quella sensazione. 
Perché lentamente cominciavo a capire. A capire che a infondermi quell’ottimismo che aveva indirizzato la mia scelta non era stata la sicurezza che emanavano le braccia di Gianfranco, per quanto possenti e capaci di trasmettere tutto l’amore che prova per me con una stretta contro il suo petto. E non c’entravano nulla il tramonto, la strada di luce sul mare, l’aria calda, la felicità che provavo in quel momento speciale. E nemmeno il colpo di sole che, tuttavia, avevo rischiato davvero dopo una giornata stesa sul lettino. 

Io mi sentivo tradita perché la mia scelta era stata condizionata dal fatto di trovarmi di fronte non un cameriere, ma una cameriera. Una giovane donna che, chissà per quale strano giro della mente, avevo immaginato bevesse birra scura e preferisse una pizza con salsiccia e salame piccante. 

Ma non era neppure questo, perché alla fine i gusti son gusti, e non hanno alcuna attinenza con il genere, e quindi quella ragazza avrebbe potuto benissimo bere una piccola chiara e preferire la vegetariana, e non perché è donna, ovviamente. È che forse avevo immaginato, in un battito di ciglia, mentre le guardavo quelle belle gambe abbronzate, le spalle dritte attraversate dalla coda di cavallo, il viso dai tratti decisi, lo sguardo intelligente, che chissà quante volte anche lei era stata vittima di questi banali stereotipi. A tavola o in qualsiasi altro ambito della vita. E quindi, mi ero detta, mi ero illusa, in un pensiero che m’aveva attraversato come un lampo, che quella giovane cameriera sarebbe stata più sensibile dei suoi colleghi maschi, più attenta. 

Perché, a pensarci bene, in questo mondo annoiato e folle, frenetico e pigro, distratto e furibondo, indifferente, conformista, sconclusionato, cialtrone, forse, basterebbe fare una domanda, ogni tanto, e non dare tutto per scontato. In questo mondo dove tutti guardano tutto e nessuno vede niente, forse, basterebbe stare un po’ più attenti.

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