dove mangiare bene nella capitale | La Cucina Italiana

dove mangiare bene nella capitale
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Roma magica. Mi piace andare a Roma, anche da milanese, sì. Mi piace andare a cena nelle trattorie della capitale fedeli a se stesse e allo stesso tempo sempre capaci di rinnovarsi. Diciamo che se la città seguisse la propria cucina e la propria capacità di rinascita, avrebbe risolto i propri problemi. Di solito, mentre il treno entra alla Stazione Termini, ancora sul binario, faccio due telefonate.

Una a Francesco Panella, ormai chiamato a vita Francè. Lui, star di Little Big Italy che va in onda sulla Nove, è un fenomeno televisivo ma anche un eccellente ristoratore e imprenditore. Quando sei all’Antica Pesa il minimo che ti può capitare è di imbatterti in Russell Crowe. Alle pareti ci sono le foto di tutti, e quando dico tutti intendo da Al Pacino a Madonna e Brad Pitt, Hollywood al completo. E sono cent’anni che questo ristorante è «la» trattoria di Trastevere, avventura iniziata nel 1922 quando in via Garibaldi c’era la dogana di riscossione del dazio sul grano e gli addetti ai lavori avevano bisogno di ristoro. Francesco, tv permettendo, è sempre lì ad accoglierti con quel calore romano che ti fa sentire a casa e una volta mi ha pure presentato a James Cameron, il regista statunitense due volte premio Oscar, con la disinvoltura che ha sempre con tutti i suoi ospiti, famosi o meno, e con la sua squadra in sala efficiente e preparata, e molto sorridente. Simone, il fratello chef, propone una cucina romana a volte rivisitata, come il ramen in versione romana, che trovo strepitoso, o le classiche puntarelle ma con il twist della bottarga e dei lamponi. D’estate è un sogno perché c’è la terrazza. Insomma si sta bene. Roma ha questo calore un po’ spettinato però sempre così vicino.

L’altra telefonata è a Fulvio Pierangelini, cuoco straordinario. Ha un bel caratterino (scusa chef) e un gran cuore. Oggi è il direttore creativo dei ristoranti degli hotel Rocco Forte, e la sua cucina è sempre viscerale, onesta, composta da sapori puri e sorprendenti nella loro semplicità. Ha un rapporto tattile con il cibo ed è come se gli ingredienti avvertissero il suo tocco. Guai a usare un coltello «contro» un pomodoro! Andare al mercato con lui è come camminare con i Måneskin nel centro di Roma. Un po’ lo prendo in giro ma non dimentico che il critico storico del quotidiano francese Le Figaro François Simon – per intenderci colui che ha ispirato il personaggio di Anton Ego nel cartone animato Ratatouille – lo ha definito nel libro (meraviglioso) Pique-assiette (scroccone) il miglior cuoco del mondo. Letto con questi occhi. Persino la quinoa che è un ingrediente da me amato ma non particolarmente sexy, diventa eccellente tra le manone di Fulvio. Una volta a casa sua, quando abitava a due metri da piazza del Popolo, la preparò con una crema di barbabietole degna del Talismano della felicità insieme a una purea di cavolo romano. Fulvio è così, verace, sofisticato, nevrotico, colto, francofono e tutto non necessariamente in quest’ordine. Anni fa, a Parigi, entrai in una macelleria sull’Île Saint-Louis e vidi che il macellaio rubizzo e scontroso come da cliché aveva scritto il nome di Fulvio sulla carta dove segnava i numeri per fare di conto. Gli chiesi: «Mi scusi, quello è Pierangelini?». Lui mi guardò come se fossi una strega e io chiamai Fulvio per passarglielo al telefono. Si fermava qui prima di andare da Azzedine Alaïa. Ora l’ho appena rivisto all’Hotel de la Ville, a Trinità dei Monti, a pochi metri da quella scalinata che arriva in piazza di Spagna. Parlo così tanto di Fulvio a Roma perché è una destinazione nella destinazione.

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