I panzerotti di Luini: la vera storia

I panzerotti di Luini: la vera storia

A Milano tutti ne hanno mangiato almeno uno perché da più di 90 anni i panzerotti di Luini sono oramai uno dei piatti tipici della città. Sono stati il primo street food milanese, li hanno mangiati tutti, dai paninari a Lady Gaga, eppure non sono gourmet. E non vogliono diventarlo

Per i milanesi il panzerotto è uno solo: quello di Luini. Chi è nato negli anni Ottanta ci andava quando si bigiava con la scuola; prima ancora ci andavano nonni e genitori. In una città decisamente poco affollata di proposte gastronomiche, il panzerotto di Luini era un must. Oggi la fila davanti alle insegne è composta di turisti con le guide turistiche in mano e davanti le influencer si scattano le foto. La storia di Luini è un pezzo di Milano lungo 90 anni di storia, che oggi è diventato un libro – edito dalla Bocconi – che racconta un esempio di intuizioni di marketing, di evoluzione dei riti cittadini e di come da Luini, mentre tutto attorno cambia, non vogliono invece cambiare nulla.

Bisceglie-Milano solo andata

Luigi Luini nasce nel 1931 a Corte Palasio, paesino del lodigiano. Il papà Agostino è fornaio mentre nonno Carlo, emigrato da Bisceglie nel 1898, e la famiglia materna gestiscono una piccola trattoria di cucina pugliese. Ha quindici anni quando arriva a Milano, in pieno fermento da ricostruzione postbellica. La strada è segnata, «farò il panettiere», e da quel momento la sua sarà una vita tutta spesa “a laurà” – a lavorare –, come dicono a Milano. Ma l’inventiva, la testardaggine e la dedizione con cui perseguirà sempre i suoi obiettivi lo porteranno ben oltre. La storia di Luini è infatti quella di un panzerotto, ma anche quella di un successo imprenditoriale milanese e italiano, che parla pugliese, e che dalla fine degli anni Quaranta ha saputo evolversi tanto da diventare una case history universitario (e guadagnarsi un Ambrogino d’Oro nel 1988).

Come il panzerotto è diventato un tipico piatto milanese

«A centonovanta passi dalla Madonnina, l’offerta commerciale sin dagli esordi si focalizza sui prodotti tipici pugliesi, elemento che da sempre ha costituito il principale fattore di spiccata differenziazione rispetto alla concorrenza», scrive nella prefazione il professore Sandro Castaldo, ordinario di Economia e gestione delle imprese presso il Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi. «Volevamo differenziarci dalla concorrenza, offrire qualcosa che gli altri prestinai non avevano», racconta Luini fra le pagine del libro: all’epoca i prestinee a Milano erano uno o due ogni 500 metri. Grazie a Luini il panzerotto è stato trasformato così in un cibo conosciuto in tutta la città. «Trovate un milanese che non abbia mai mangiato un panzerotto! Il panzerotto si è così radicato nelle abitudini alimentari dei milanesi da essere percepito come un prodotto locale. Invece ci è arrivato grazie a nonno Carlo». Ed effettivamente è proprio vero: chi viene a Milano vuole mangiare l’ossobuco, il risotto, la cotoletta e il panzerotto. Sembra non avere senso, ma se sei un vero Milanese imbruttito di Milano-Milano, sai il motivo.

La vita di tutti i giorni non può essere gourmet, non per tutti per lo meno. Dunque, come assicurare la qualità senza cadere nel ricatto gourmet?

Il primo street food milanese

Anche l’idea stessa di street food che oggi ci sembra naturale, è stata una grande innovazione per Milano. «Il mio è da sempre cibo verticale, consumato in piedi, in strada. Quando ho iniziato, i milanesi stavano chiusi in casa a cucinare per ore i piatti della tradizione». Luini ha precorso di quasi un secolo il trend del cibo di strada, venduto in un punto vendita di minuscole dimensioni e da mangiare in piedi, in pausa pranzo. Peccato che all’epoca i panettieri dovevano chiudere alle 13 e riaprire alle 16. «Pensai quindi a una soluzione: prendere la licenza di somministrazione e diventare una tavola fredda, anche se significava stravolgere, almeno sulla carta, l’attività iniziale». Dopo 90 anni Luini può raccontare come «in via Radegonda, a centonovanta passi dalla Madunina, ho visto Lady Gaga mangiare un mio panzerotto. Ma ho visto anche coppie di fidanzati litigare con ancora l’amore negli occhi, cortei studenteschi imbrattare vetrine, quelli operai urlare “RAI e Televisione puttane del padrone!”, Philippe Daverio sistemarsi il papillon, clochard tendere le mani ai passanti. [..] Me li ricordo, i paninari. Ma anche gli yuppies, i punk, i bocconiani: tutti facevano la fila a gruppi per non confondersi con gli altri». Da Luini ci sono passati tutti, tutti, negli anni Ottanta i giovani che si ritrovavano in centro, oggi turisti, troupe televisive e i soliti affezionati di sempre.

Non cedere al ricatto del panzerotto gourmet

Siamo onesti, oggi Luini non è più quell’indirizzo immancabile per i gourmet, perché in città ha aperto di tutto, la scelta è diventata estremamente vasta e la qualità media è cresciuta a dismisura. Luini non è un panzerotto gourmet, ma mentre lo scrivo noto la contraddizione in termini. Luini è un panzerotto, punto (basta guardare il sito web di Luini). «La vita di tutti i giorni non può essere gourmet, non per tutti per lo meno. Dunque, come assicurare la qualità senza cadere nel ricatto gourmet?». Cito il libro, che pone una domanda esistenziale alla Milano di oggi. Potevano mettersi a citare fornitori di farine, IGP, DOP, vantare giorni di calendario di lievitazione naturale, farine senza glutine e altro. Ma avrebbero fatto la fine di tutte le finte trattorie che cucinano finta tradizione per finti clienti popolari. «Arrivare alla terza generazione di panettieri, conquistare i milanesi con i panzerotti quando ancora erano sconosciuti, puntare tutto sulla continuità e la coerenza a se stessi, per poi cedere a una moda venuta da Oltreoceano? Neanche sotto tortura. Ma soprattutto, perché piegarmi ai capricci del momento per stare al passo con i tempi, avendoli già anticipati di un quarto di secolo?».
Mi è tornata voglia di un panzerotto di Luini. Non perché sia il migliore, il più fighetto, il più perfetto, ma perché è di certo il più milanese e autentico che ci sia.

Il libro.

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