Parrozzo abruzzese | La Cucina Italiana

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La nostra tradizione gastronomica, anche a Natale, regala a volte delle specialità misteriose. Come ad esempio il parrozzo abruzzese e le ferratelle. Vi siete mai chiesti come hanno fatto, ad esempio, i gaufres francesi e belgi a mettere radici, da secoli, in Abruzzo? Oddio, non è che le ferratelle natalizie siano proprio la stessa cosa dei dolci francesi, così come dei waffle tedeschi o dei gofri delle valle piemontesi. Ma ci vanno molto vicino. Mentre tutt’altro aspetto ha il dolce natalizio per eccellenza in Abruzzo, ossia il parrozzo.

Le ferratelle

Diffuse tra Abruzzo, Molise (dove vengono chiamate anche “cancelle” o “cancellate” e la fascia appenninica laziale, le ferratelle (all’Aquila) o pizzelle (a Pescara) o catarrette o neole (Chieti e Ortona) – perché la geografia dei dialetti, in Italia, è a dir poco complicata! – sono delle cialde cotte all’interno di un “ferro”, ossia una doppia piastra reticolata con una sorta di rilievo che crea in queste cialde i tipici avvallamenti. La ricetta è quantomai semplice: occorrono farina, uova, zucchero, olio extravergine d’oliva, limone grattugiato e lievito. Per ottenere una ferratella più croccante basta aumentare le dosi di olio extravergine d’oliva e farina, rendendo l’impasto più consistente. Una volta preparato l’impasto, si inserisce dentro il “ferro”. Ma per un periodo di tempo brevissimo: la tradizione vuole che, per la cottura, basti il tempo di recitare un Ave Maria da un lato e un Pater Nostro dall’altro.

Ragnata e nutella

E ora arriva il bello. Ossia la farcitura: come i gaufres d’Oltralpe, le ferratelle sono perfette per contenere dell’ottima cioccolata. Anche se la tradizione prevede l’utilizzo della ragnata, ossia una confettura d’uva. Oppure il miele. Non mancano però le farciture a base di crema pasticciera e dell’immancabile nutella. Insomma, libero spazio alla fantasia.

Origini romane o fascino d’Oltralpe?

Ed eccoci alla rubrica dei “misteri”. Qual è l’origine delle ferratelle? E poi, c’è un legame di parentela con i gaufres francesi? Secondo la leggenda, sì. Si racconta che le ferratelle nacquero in Abruzzo agli albori della romanità, e furono esportate in Francia e in Belgio dai legionari di Cesare. Ma si tratta di una leggenda. La verità è che risalgono  al XVIII secolo: a quell’epoca le ferratelle – sfruttando, chissà, qualche suggestione d’Oltralpe, di gran moda nel secolo dei Lumi – venivano preparate con dei ferri che recavano lo stemma delle casate nobiliari da un lato e l’anno di produzione dall’altro. Una genesi sorprendentemente simile a quella delle crescentine modenesi e dei ferri usati per produrle, le tigelle. Era usanza che il ferro si portasse in dono alle spose. Ed era infatti in occasione dei matrimoni che le ferratelle venivano preparate, in casa della sposa, e poi offerte agli ospiti che facevano visita alla famiglia per vedere la sua dote. Gira e rigira, le varianti però sono frequentissime. A Ortona, ad esempio, per la “neola” nell’impasto si utilizza anche il mosto cotto, il limone, l’anice e la cannella. In Molise, anice e vino bianco. La variante con due cialde sovrapposte si chiama “coperchiola”, con un ripieno di miele, mandorle e noci.

Il parrozzo abruzzese

Come si vede, più che un “dolce natalizio”, le ferratelle sono un “dolce della festa”. Mentre il Natale, in Abruzzo, a tavola è sinonimo di parrozzo abruzzese. Un semplice impasto a base di uova, zucchero, mandorle, semolino, buccia di limone, olio e liquore, collocato in uno stampo a forma di cupola e poi cotto in forno. Tocco finale, la copertura a base di burro e cioccolato fondente.

E il Vate si scatenò

Il parrozzo affonda le sue radici nella civiltà contadina, e in particolare in quell’antico pane delle mense contadine che i pastori abruzzesi ricavavano dalla meno pregiata farina di mais, e poi cotto nel forno a legna. L’idea di ricavarne un dolce natalizio è invece piuttosto recente: ci pensò, negli anni ’20, il pescarese Luigi D’Amico, titolare di un caffè del centro. La forma di cupola è un omaggio alla forma delle povere pagnotte di mais contadine. E anche la stessa copertura a base di cioccolato è ispirato alle bruciacchiature del forno a legna: un “pan rozzo” dal quale deriva il termine parrozzo. Il primo esemplare fu creato da D’Amico nel 1919, e per prima cosa volle farlo assaggiare all’amico e conterraneo Gabriele D’Annunzio. “Illustre Maestro questo Parrozzo – il Pan rozzo d’Abruzzo – vi viene da me offerto con un piccolo nome legato alla vostra e alla mia giovinezza”, scrisse il barista quando lo spedì a Gardone. La risposta del poeta fu entusiasta: “È tante ‘bbone stu parrozze nov e che pare na pazzie de San Ciattè, c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce. Benedette D’Amiche e San Ciattè…”. E poi andò oltre con altri versi, che si rifanno alla battaglia di Tagliacozzo (1268), che vide la vittoria degli Angioini ai danni degli Svevi: “Dice Dante che là da Tagliacozzo,/ ove senz’arme visse il vecchio Alardo,/ Curradino avrie vinto quel leccardo/ se abbuto avesse usbergo di Parrozzo”. Correva l’anno 1927.E l’ode al parrozzo, ogni Natale, si rinnova.

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