Aperitivo: cosa ordinare per non sembrare un boomer?

La Cucina Italiana

Avete presente quando al bancone del bar, ora dell’aperitivo, siete accanto a un altro cliente mentre ordina un cocktail dall’aspetto meraviglioso e dal nome intrigante? Un cocktail che vorreste assaggiare, ma avete paura di fare la figura del boomer chiedendo «lo stesso» senza sapere nemmeno come è fatto? Ecco, a chi scrive è capitato, e questo nonostante anni di pratica ai banconi di diversi bar, per piacere o per lavoro. Questione di abitudine, forse, e per molti è così: i miei genitori, boomer all’anagrafe, per l’aperitivo continuano a ordinare solo acqua tonica o il mitico Martini nelle occasioni speciali. Ma perché?

Può darsi che sotto sotto ci sia una spiegazione anche storica, insieme alla confortevole pigrizia: d’altronde per secoli l’aperitivo è stato uguale a se stesso. Lo ha inventato Ippocrate per solleticare l’appetito di pazienti inappetenti: un vino dolce aromatizzato con fiori e assenzio. Come lui hanno fatto gli antichi Romani, limitandosi ad aggiungere alla sua ricetta salvia e rosmarino, e poi i farmacologi medioevali hanno creato nuovi infusi. Un principio che è stato alla base della creazione di alcuni tra i più grandi liquori italiani dell’aperitivo,  il vermut su tutti, inventato a Torino a fine Settecento, e che ha scandito un rito appannaggio dell’alta società almeno per tutto l’Ottocento e inizio Novecento. Perché l’aperitivo, come lo conosciamo noi, cocktail e stuzzichini, è nato molto dopo: intorno agli Ottanta, dopo la nascita dei bitter, dei nuovi spirit iconici come il Campari e dall’esplosione della miscelazione sulla scia di un trend scoppiato con il Proibizionismo negli Usa. Il punto è che, come è successo per la cucina, anche i cocktail da allora sono cambiati, ed è cambiato completamente l’aperitivo. Tornando al punto, allora, cosa ordinare all’aperitivo per non sembrare un boomer?

Perché il “solito” è démodé (ma non siate timidi)

Primo consiglio: «No pestati, mojito, caipiroska, drink dall’indiscusso successo anni Novanta e primi anni del nuovo millennio. Sono i tipici casi che fanno risultare abbastanza boomer chi li chiede» dice Desirè Verdecchia, bar director dei Bulgari Hotels & Resorts. Il motivo è che, semplicemente, ora c’è molto altro: «Ormai l’offerta è così ampia che pensare di bere “il solito” è limitante. Vuol dire che non si ha voglia di leggere il menù o non si sa da dove cominciare» osserva Martina Bonci, bar manager del Giardino 25, il caffè e cocktail bar di Gucci a Firenze. «La nostra bravura come bartender sta anche in questo: far sentire ogni ospite a proprio agio, capire cosa gli piace, e così costruirgli un drink come un abito sartoriale. In questo modo raggiungi due risultati: aiuti chi ti sta davanti a comprendere meglio i propri gusti, e gli fai conoscere un nuovo sapore». Primo punto, allora: non rimuginate su “cosa bere”, piuttosto non fate i timidi e chiedete cosa bere.

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