Enrico Crippa e l’altissima “cucina del mercato” di Piazza Duomo

Enrico Crippa e l'altissima “cucina del mercato” di Piazza Duomo

I giornalisti sportivi americani dicono che dietro qualsiasi risultato esistono verità, bugie e classifiche. Concordiamo. Ed ecco perché bisogna prendere con gioia quanto è uscito dall’ultima premiazione della The World’s 50 Best Restaurants che ha dato lustro alla nostra ristorazione: sei locali nei primi 30, due nei primi 10. Mai visto prima. «In alto, prego, le bandiere e i canti», avrebbe scritto Gianni Brera; ma poi deve subentrare il richiamo alla realtà e ammettere che ci sono ristoranti stranieri che dovrebbero stare venti o trenta posizioni più in basso e l’unico locale italiano che ha perso una posizione è Piazza Duomo: era 18° nel 2021, ora è 19°. Non cambia nulla, per noi e soprattutto per la famiglia Ceretto che ha portato il locale nel centro di Alba – insieme al nume Enrico Crippa – in soli sette anni alle tre stelle Michelin, difese con successo dal 2012. Ma la cosa divertente è che non si è mai mangiato così bene al primo piano del palazzo di piazza Risorgimento, dove i gourmet stranieri attendono con mezz’ora di anticipo l’apertura, come fosse una funzione sacra. 

Senza un copione fisso

Ci siamo andati anche noi a pranzo, pochi giorni dopo la premiazione. Con il desiderio di provare il menù Viaggio-Crippa, non per scarso interesse verso quello denominato Barolo, anzi. È un percorso-tributo – presentato nel 2021 – dove il simbolo enoico delle Langhe, il Barolo appunto, funge da elemento portante: entra nel novero dei migliori degustazione recenti della nostra cucina: per la qualità dei piatti e delle etichette, ma anche per la visione culturale e il coraggio di smontare (con classe) il Monumento del Vino. Tutto questo sarebbe stato impossibile senza il contributo di un altro provocatore quale Vincenzo Donatiello, direttore di Piazza Duomo dal 2015 e ora impegnato nell’apertura di Alba by Enrico Crippa a Doha, prima avventura dei Ceretto fuori dal Piemonte. Il Viaggio-Crippa è una storia diversa, è «cucina del mercato» ad altissimi livelli, senza un copione fisso: nel senso che va oltre il concetto di stagionalità o di territorialità. Vuol dire avere la possibilità di cambiare il gioco, anche quotidianamente, sapendo di contare su una dispensa ricchissima e un team di cucina sempre pronto all’opera. Oltre che sfruttare un talento raro, come quello del cuoco brianzolo.

L’Insalata è fuori carta

Nella pratica, significa che la dozzina di piatti nel percorso possono ritrovarsi il giorno dopo o anche la settimana dopo. Ma anche uscire di scena improvvisamente perché dal mitico orto della Tenuta Monsordo Bernardina non arriva più quanto piace allo chef. Mitico e soprattutto creato quando non era tendenza averlo: 400 m2 di coltivazione in serra e 3000 m2 di appezzamento nel quale crescono specie vegetali, botaniche e orticole. Crippa ci va ogni giorno, più per ricavare l’ispirazione in cucina che per raccogliere personalmente il prodotto. «Quando un vegetale non è più disponibile, il piatto va ripensato: quindi lo fai sparire o muti il ruolo nel piatto». Spiegazione concreta? La storica Insalata 21,31,41,51 (oggi fuori carta) dove il numero indica gli elementi verdi che la compongono: non solo è diversa fra estate e inverno, ma anche tra il servizio del pranzo e quello della sera, talvolta persino tra un commensale e l’altro. «Nel tempo della mia pedalata quotidiana, ci ragiono», dice Crippa, talmente appassionato (e competente) di ciclismo che sulla carta servita al tavolo c’è un disegno che lo raffigura in sella, ma con la toque.

Omaggio a Warhol

Il Viaggio-Crippa – attraverso riferimenti geografici – esprime la capacità formidabile di Crippa nel trovare un gusto inedito, sempre freschissimo come è insito nella cucina del mercato, unendo elementi comunque semplici. Esaltati da una cromia tra le più belle che si possano incontrare in un ristorante italiano. Per esempio, Riviera è un piatto di zucchine e vongole di rara classe. Come la provocazione di Milano, dove i pisellini croccanti galleggiano su un brodo di zafferano che da lombardo (peraltro non nostalgico) porta anche a fine pasto nella pita di Bangladesh. Essere un campione vuol dire cimentarsi sull’animella – trend ormai scontato -, ma unendo fagiolini e lavanda in un equilibrio pazzesco. C’è anche un omaggio all’arte: il dessert Oxidation Painting, una delle grandi opere di Andy Warhol. «È un menù che vuole raccontare, senza retorica, l’impegno dei miei coltivatori, allevatori e fornitori in generale nel portarmi il massimo in cucina: poi sta a me e ai miei ragazzi preparare piatti che esaltino tutto il lavoro», spiega Crippa, mai banale e mai in cerca di copertine. «A me piace che chi viene qui capisca subito dove si trova. I miei piatti sono diversi, ma tutti bianchi: un foglio su cui disegnare. E questo menù, nato durante la pandemia, ha l’obiettivo di far viaggiare le persone con i sapori». Missione compiuta, garantiamo noi.

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