Ravioli del plin, storia e ricetta di nonna Metilde | La Cucina Italiana

Ravioli del plin, storia e ricetta di nonna Metilde
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Metilde Cigliutti vive da sempre tra le colline delle Langhe, insieme ai suoi ravioli del plin. E da sempre sa bene che sono un patrimonio di tutta l’umanità, come pochi anni fa ha riconosciuto anche l’Unesco. «I miei genitori» racconta, «erano contadini. Avevano un po’ di vigneti, ma anche alberi da frutta, perché mio padre amava le pesche e coltivava le varietà più rare e originali che trovava. In passato tutto era molto diverso. D’inverno faceva davvero freddo, la neve scendeva in abbondanza e il ghiaccio restava fino alla primavera. Oggi tutto intorno vediamo filari di viti, ma allora c’erano anche tanti campi di grano e granoturco. In queste zone la mietitura è stata fatta a mano fino agli anni Sessanta». Anche la cucina, nel corso degli anni, è cambiata: «La vita in campagna era durissima. Si mangiava di più e le portate dovevano essere molto nutrienti per sostenere la fatica del lavoro. Oggi alcuni piatti sono complicatissimi, ma allora le pietanze erano semplici, preparate con gli ingredienti disponibili in quel momento».

Se vivi nelle Langhe, non puoi fare a meno di tajarin e ravioli e Metilde era una bambina quando ha imparato a fare la pasta fresca da mamma Clementina. «La cucina era il luogo più importante della casa, era l’unico spazio riscaldato, il centro della vita della famiglia. Durante la giornata, il potagé (la stufa a legna) era costantemente acceso, con il contenitore dell’acqua calda pronto per l’uso. Il fuoco era sempre utilizzato, con il sugo che cuoceva lentamente, le minestre che bollivano nel loro brodo denso per tutta la giornata e i piatti che venivano tenuti in caldo per chi arrivava in ritardo».

Metilde ha festeggiato pochi mesi fa il suo cinquantesimo anniversario di matrimonio. Ha conosciuto suo marito Giuseppe andando a lavorare come cameriera per il ristorante Savona di Giacomo Morra, il padre fondatore della famosa Fiera del tartufo di Alba. Durante una festa organizzata dal ristorante al Castello di Racconigi, i due si sono incontrati e da allora sono stati sempre insieme. «Quando ci siamo sposati, abbiamo fatto una grande festa nel cortile di casa e a cucinare per tutti noi è venuto un cugino. Era autunno e avevamo un cesto enorme di tartufi. Ma allora costavano molto meno di oggi».
E così, da Barbaresco si è trasferita qualche chilometro più in là, ad Alba, nella frazione Madonna di Como, dove vive ancora oggi con il marito, il figlio Mario e il cognato Osvaldo. A pochi passi di distanza c’è il suo piccolo agriturismo, Villa Bricco Paglieri, un’unica casa in affitto con dieci stanze. «Quanto sono cambiati i tempi. In passato gli unici stranieri arrivati in zona», conclude Metilde, «erano stati gli americani verso la fine della guerra. Ora arrivano turisti da tutto il mondo per conoscere la nostra terra, le nostre tradizioni e la nostra storia. E quando vengono a trovarci, c’è sempre un bicchiere di vino e qualche fetta di salame ad aspettarli».

I ravioli del plin, la ricetta di Metilde Cigliutti

«Iniziate cucinando l’arrosto di vitello; come una volta, io aggiungo alla carne anche un po’ di acqua e vi cuocio il riso. A parte, sbollento le erbette (spinaci e coste) e poi le salto in padella con il burro. Quando l’arrosto è pronto, trito insieme carne, verdure e riso e amalgamo con formaggio grattugiato, un uovo e un pizzico di noce moscata. La pasta è simile a quella dei tajarin: dieci uova per un chilo di farina. Dovete tirarla con la macchina finché non diventa molto sottile. Si taglia con la rotella in lunghe strisce larghe circa 5 centimetri; si posa il ripieno in piccole quantità a distanza regolare di poco più di un centimetro e più vicino a uno dei due bordi. Dopo aver ripiegato la pasta, in modo da coprire completamente i mucchietti, arriva il momento del plin, il pizzicotto che chiude per bene il ripieno all’interno della pasta fresca sigillandone le estremità, prima di dividere i raviolini con la rotella. Il condimento? Io preferisco burro e salvia, perché lascia apprezzare tutto il sapore del ripieno. E non preoccupatevi per quelli che si rompono durante la preparazione: saranno ottimi alla sera, da gustare col brodo».

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