il senso dei fratelli Camanini per i giovani | La Cucina Italiana

il senso dei fratelli Camanini per i giovani
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Infatti nel 2017, il Gambero Rosso l’ha premiata come miglior uomo di sala dell’anno: quasi incredibile e significativo.
«É vero, ma l’ho considerato realmente un premio al metodo e sopratutto ai ragazzi, a un servizio che sa raccontare il lavoro della cucina. So bene, non è falsa modestia, che in base alla mia storia non potrò mai essere bravo come un maitre o patron di esperienza. Penso a dei fenomeni come Antonio Santini che mi colpì quando disse “se in una giornata non hai almeno due-tre problemini da risolvere, qualcosa non va”. Ha perfettamente ragione»

Quanto è stato utile il fatto che lei sino a pochi mesi prima lavorasse come manager di un’azienda di un settore lontanissimo dalla ristorazione?
«Il fatto che svolgessi un ruolo completamente diverso, mi ha aiutato ad avere – insieme a mio fratello chef – una prospettiva diversa. Da noi ci sono sette persone dedite unicamente alla sala e quindi alle attenzioni dell’ospite e altrettante che cucinano e poi servono i piatti ai clienti, quindi quattordici persone che interagiscono. Un sistema che piace al pubblico e diverte anche noi, tenendo sempre allenata la mente: lo facciamo sin dall’apertura e negli anni lo abbiamo perfezionato, seguendo la crescita del ristorante. Perché io credo che i due aspetti debbano marciare insieme: un locale migliora se migliora la brigata, ma anche la brigata diventa più brava per seguire il miglioramento del posto».

Lei e Riccardo siete molto orgogliosi del grande rapporto di continuità che avete con i ragazzi.
«Vero, quando io e Riccardo abbiamo aperto avevamo solo 6 dipendenti, ora sono 23, tutti assunti a tempo indeterminato con ovviamente vitto ed alloggio a nostro carico. È veramente il risultato che ci rende più felici: siamo partiti con l’obiettivo di essere del tutto economicamente sostenibili senza aiuti esterni, il che ha reso tutto più lento e più difficile, ma adesso con una
soddisfazione doppia. Non dimentico che per due stagioni io e mio fratello non ci siamo ricavati uno stipendio».

Parliamo del concetto, sempre discusso, della stage. Voi come vi comportate?
«Nella ristorazione il bagaglio che si può acquisire in quattro mesi di stage è ben poco. Per questo richiediamo un periodo di permanenza per gli stagisti di sei mesi e consigliamo per i neo assunti uno stop minimo di due anni. Riccardo dice sempre che per capire bene Gualtiero Marchesi sono occorsi tre anni. Le permanenze lunghe assegnano più regolarità alla brigata e la possibilità di intendere a fondo tutto quello che facciamo. In compenso chi viene da noi condivide tutto, faccio un esempio: tutte le preparazioni vengono catalogate e codificate, quando poi sono definite e messe a punto diventano accessibili a tutti i cuochi e camerieri. Qui non si custodiscono segreti».

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