Viviana Varese: rivoluzione? Siamo ancora molto indietro

La Cucina Italiana

Un’intervista a Viviana Varese sul tema Rivoluzione, il concetto che guida l’edizione 2023 di Identità Golose, ci svela il punto di vista della chef stellata di ViVa su alcuni concetti di cui oggi si sente molto parlare, quando si affronta il concetto di rivoluzione nella ristorazione. Con la sua consueta onestà, Viviana Varese ha denunciato alcune criticità e ha ricondotto una certa “arretratezza” in cucina a una più estesa arretratezza sociale. Ecco che cosa ci ha detto. 

Intervista a Viviana Varese

Viviana, la rivoluzione in cucina punta sulla sostenibilità. Secondo lei alta cucina 
e sostenibilità vanno d’accordo?
«Possono andare d’accordo, ma solo se non si ha un ristorante in una grande città. Io, per esempio, ho un locale in Sicilia (Villadorata, a Noto, ndr), e là riesco a essere sostenibile, perché ho la terra, l’orto, le piante, ho il mare vicino. Ho un micro ambiente, insomma, che mi permette di essere davvero sostenibile. In alcuni casi questa cosa della sostenibilità è solo un argomento di moda, su cui si costruiscono dei meravigliosi storytelling, e poi bisogna capire se sono veri o no…». 

Quindi qual è la sua strategia, in tre mosse, per una vera sostenibilità?
«Avere territorio, avere l’orto, sfruttare il più possibile la natura che ti circonda. E questo lo puoi fare veramente quando ce l’hai la natura». 

Oggi il tema della brigata è super attuale…
«Appunto: la sostenibilità riguarda anche le persone, come lavori con loro e come le fai lavorare».

Ecco, secondo lei esiste un modello economico che possa comprendere anche il benessere della brigata? 
«No, oggi no, secondo me non esiste. È tutto lasciato all’iniziativa di noi imprenditori. Perché comunque, nonostante ci critichino continuamente, noi stiamo cercando in tutti i modi di dare spazio e condizioni ottimali ai ragazzi nelle brigate. Io, per esempio, nel mio piccolo… i miei ragazzi fanno 8 settimane di ferie all’anno e fanno 2,5 giorni di riposo». 

In cucina, nelle brigate, ci sono alcuni comportamenti discriminatori, di genere per esempio. Che cosa ne pensa? 
«Esistono, ci sono ancora, non solo nei confronti delle donne. Ci sono per l’omosessualità, anche maschile, e per il colore della pelle. Tendenzialmente diciamo che la cucina in Italia è una cucina bianca, etero, omofoba e machista. La maggior parte, intendiamoci, non tutte».

C’è l’intenzione o la tendenza a superare questi cliché o no? 
«No, secondo me no. È veramente un discorso sociologico molto grande, bisognerebbe invitare qualche bravo docente di sociologia per sentire che cosa ne pensa, e capire un po’ a che punto siamo. E comunque siamo ancora molto indietro… Più avanti di altri stati, tipo il Messico e in generale il Sud America, in alcuni casi anche degli Usa, della Russia, dell’Arabia, di tutta l’Africa. Ma in confronto alla Francia e al Nord Europa, alla Germania, siamo molto indietro. Molto più indietro dei nostri cugini spagnoli, anche, che sono ben più evoluti sulla questione gender e danno molte meno etichette». 

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