Gelato al carrello: al ristorante rivive un classico italiano

Gelato al carrello: al ristorante rivive un classico italiano

Il gelato al carrello arriva in sala, è il momento del dessert: viene spinto sulle rotelle. È una montagna di crema bianca, soffice e cremosa. È contornato da ciotole piene di praline, zuccherini, creme e topping. Tutti si voltano per ammirarlo, ma lui si dirige verso un tavolo preciso. Il cameriere si mette in posizione davanti al cliente e con gesti teatrali arriccia attorno a un cucchiaio un ciuffo di gelato per depositarlo in una coppetta. «Che cosa gradisce per accompagnarlo?”. Cioccolato, frutta, meringhe, caramelle colorate, sciroppi, liquori sono tutti lì in bella mostra… Non è un luna park, ma un ristorante elegante, magari stellato… è in un attimo si torna bambini. Il gelato al carrello, infatti, più che un’invenzione moderna è il ritorno di una grande tradizione di sala. Da andare a provare.

La cucina di sala dimenticata

C’è stato un tempo in cui in sala i camerieri facevano fiammare crêpes suzette flambé, o cuocevano alla lampada (un fornellino ad alcol o gas) piatti di carne, proprio davanti agli occhi del cliente. Si chiamava “cucina di sala”, la discendente diretta dei grandi banchetti alla corte di Francia e poi durante gli anni della Belle Époque, quando la cucina era un tutt’uno fra cibo e servizio, gusto e presentazione, tecnica e scenografia. Il “servizio alla russa” come viene denominato, prevede infatti che si impiatti davanti al cliente e chi è iscritto nella generazione X o in quella dei boomer ne ricorda ancora gli echi italianizzati di branzini al sale puliti e porzionati in bella vista. Chi segue chef e ristorati sui social conosce i famosi Paccheri alla Vittorio, che sarebbero solo semplice pasta al pomodoro se non venissero mantecati al momento in una grande padella e in un ristorante a tre stelle Michelin. Si usava nei ristoranti che si volevano dare un tono, e il gelato era una perfetta versione made in Italy del carrello dei dolci che si servivano in Francia nei grandi ristoranti, direttamente proporzionale nella vastità al grado di eleganza. Altro che minimalismo, la cucina spettacolo non è però finita per nulla, semplicemente non è più quella degli chef catodici o delle fumate bianche di azoto, ma è quella che va in scena – letteralmente – all’interno dei ristoranti e che puntando molto, nuovamente, nel servizio di sala.

Il ritorno dei carrelli

Il luna park della ristorazione contemporanea ha cancellato per anni i guèridon, preferendo le cucine a vista, rendendo l’ospite un voyeur più che il protagonista dell’azione. Poi sono ritornati i piatti finiti in sala, con brodi, salse, goccioline e cucchiaiate con cui completare le ricette al tavolo. Se in Piemonte nelle grandi trattorie i carrelli dei bolliti non erano mai scomparsi, in città e nei ristoranti contemporanei, il servizio è diventato rigorosamente  “all’italiana” ovvero con piatti che escono già completi dalla cucina. I carrelli sono rimasti appoggiati alle pareti, in disuso, tranne in alcuni ristoranti che storicamente hanno mantenuto questo tocco vintage nei propri menù, rendendolo un’icona. Lo faceva già la suocera di Philippe Leveillé al Miramonti (Brescia), a I due Platani di Parma lo mantecano ancora con la stessa Carpigiani del 1964, a Bologna segue i carrelli dei bolliti e a Milano Marittima dagli anni Novata lo si fa volare in sala.

Io mi ricordo di averlo visto la prima volta ad Hong Kong da Otto e Mezzo dello chef Umberto Bombana, tre Stelle Michelin, che a fine pasto serviva un sorbetto al limoncello al Franciacorta, diventato un suo signature in tutti i suoi ristoranti dell’Asia. L’ho poi ritrovato a Milano, un gelato alto come una montagna, portato in città dal grande maître e patron Alberto Tasinato che alla sua Locanda Alla Scala insieme agli antipasti all’italiana con la michetta e alle lasagne, ha introdotto in città questo nuovo classico della ristorazione italiana, che all’estero ci riconoscono e qui ancora dobbiamo imparare a riscoprire. Ecco dove farlo.

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